Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Venerdì Santo a cura di Ermes Dovico
TASSE

Fisco esoso. La metà del tempo lavoriamo per lo Stato

Nel quarto trimestre del 2021, la pressione fiscale italiana ha battuto il record del 51,8% del Pil. In generale, la pressione fiscale in Italia è stata del 43,5% in tutto il 2021, siamo il quinto Paese più tassato d'Europa. E potremmo essere il primo, se calcolassimo la pressione "reale" (togliendo l'economia in nero dal Pil). Come facciamo a reggere questo peso, in tempo di inflazione e di crisi? Il governo non sembra molto intenzionato a ridurre la pressione, nemmeno con le riforme introdotte dal nuovo Def. E soprattutto potrebbe arrivare presto la sorpresa del ritorno dell'Imu sulla prima casa.

Economia 06_04_2022
Manifestazione contro le tasse (foto del 2010)

Nel quarto trimestre del 2021, la pressione fiscale italiana ha battuto il record del 51,8% del Pil. Si tratta di una crescita di 0,7 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e il dato più alto dal 2014. Quasi il 52% di quel che abbiamo guadagnato, dunque, è stato trattenuto dallo Stato. Detto in altro modo: nell’ultimo trimestre dell’anno scorso, abbiamo lavorato per più della metà del nostro tempo per lo Stato e non per noi.

Il dato annuale è solo leggermente più rassicurante: la pressione fiscale totale italiana, nel corso del 2021, è stato del 43,5% del Pil, sempre in aumento di 0,7 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Anche qui: sembra poco, ma non è un dato che dipende interamente dalle proporzioni e dunque dalla riduzione del Pil causa Covid e misure anti-pandemiche. Il prelievo fiscale, nel 2021, è aumentato di ben 146 miliardi di euro. Sono risorse in più (rispetto all’anno precedente) che lo Stato ha prelevato dalle tasche dei cittadini e contribuenti italiani.

L’Italia non ha lo Stato più esoso d’Europa, secondo le statistiche nazionali, nel 2021 ci hanno superato la Francia (pressione fiscale al 48,4%), il Belgio (47,2%), la Danimarca (45,9%) e la Svezia (44,4%). In fatto di servizi, Belgio e Francia sono paragonabili all’Italia. La Danimarca e la Svezia offrono al cittadino un welfare decisamente più ricco (eticamente si può discutere sui servizi, ma quantitativamente più ricco).

L’Italia, però, potrebbe essere al primo posto di questa classifica, se si tiene conto che il Pil italiano, su cui viene calcolata dall’Istat la pressione fiscale, come ricorda la Cgia di Mestre: “si riferisce non solo alla ricchezza prodotta in un anno dalle attività regolari, ma anche da quella “generata” dalle attività sommerse (cioè non in regola con il fisco) e da quelle illegali che consistono in uno scambio volontario tra soggetti economici (contrabbando, prostituzione, traffico di sostanze stupefacenti)”. Al Pil italiano, dunque, andrebbe sottratto il “nero”, di tutte quelle attività che non pagano tasse. E attualmente è stimato in circa 202 miliardi di euro, su un Pil complessivo di 1.781,221 miliardi di euro. Dunque il Pil reale su cui andrebbe calcolata la pressione fiscale è di 1.579,221 miliardi. E la pressione fiscale reale è dunque pari a circa il 50% del Pil. Ora, non è lecito fare paragoni con gli altri Paesi europei senza conoscere quanta economia hanno in nero. Ma scommettiamo che questo dato reale della pressione fiscale piazza l’Italia sopra alla Danimarca e alla Svezia?

Poi aggiungiamo l’inflazione, che ha raggiunto il +6,7% a marzo su base annua. Perché aggiungere l’inflazione? Perché, semplicemente, è una forma di “tassazione occulta”. Riduce il potere di acquisto dei cittadini, a causa dell’aumento della quantità di denaro in circolazione.

Se noi spendiamo la metà del nostro tempo a lavorare per lo Stato, invece che per noi, è difficile trovare sollievo nel nuovo Def (Documento economia e finanza) presentato dal governo, in base al quale la pressione resta pressoché costante. Anche perché si è ridotta la previsione di crescita del Pil: invece che del 4,7% ora è prevista del 3% nell’anno prossimo. Sempre che non ci siano altri brutti imprevisti.

Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia, lancia anche l’allarme sulla possibile reintroduzione dell’Imu sulla prima casa. Infatti, la riforma del catasto è solo una delle due richieste fatte dall’Ue all’Italia. L’altra è proprio quella di reintrodurre l’Imu sulla prima casa. Il presidente di Confedilizia sostiene: «La Commissione europea – oltre a raccomandare all’Italia di “aggiornare” il catasto al fine di compensare con maggiore tassazione sugli immobili una minore imposizione “sul lavoro” – ha suggerito anche di reintrodurre l’Imu sull’abitazione principale in via generalizzata. Cioè tasse sulla prima casa». Inoltre è probabile che con la riforma catastale: «le modalità di individuazione delle abitazioni considerate “di lusso” potrebbero portare a risultati molto diversi dagli attuali, con l’inclusione nella tipologia “di lusso” di un numero maggiore di unità immobiliari». E sulle abitazioni considerate “di lusso” l’Imu colpisce anche attualmente le prime case. Non ci sarebbe neppure bisogno di una nuova legge per reintrodurlo.

La casa, il “mattone”, è un bene rifugio per la maggioranza assoluta delle famiglie italiane. Secondo gli ultimi dati disponibili i proprietari immobiliari in Italia sono 25 milioni e 500mila, quasi la metà della popolazione nel suo complesso. E non si tratta quasi mai di gente ricca: solo 1 milione e 400mila ha un reddito superiore a 55mila euro. Una nuova tassa sulla prima casa, sarebbe la ciliegina sulla torta, per una popolazione che si sta rapidamente impoverendo: la povertà assoluta riguarda 5 milioni e mezzo di individui (il 9,4% della popolazione), dato stabile rispetto all’anno scorso, ma più che raddoppiato rispetto a dieci anni fa.