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ALL'UDIENZA GENERALE

Eutanasia, il Papa stoppa la Civiltà Cattolica

Un secco no all'eutanasia e al suicidio assistito è stato pronunciato ieri da papa Francesco durante l'udienza generale, proprio mentre in Italia comincia l'iter parlamentare della proposta di legge per legalizzare il suicidio assistito e mentre si attende il pronunciamento della Corte Costituzionale sul referendum radicale. L'intervento del Papa si ponte in antitesi con il tanto discusso articolo della Civiltà Cattolica che sosteneva la necessità di approvare la legge sul suicidio assistito, in nome del male minore.
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Vita e bioetica 10_02_2022
Il Papa durante l'udienza

Il Vaticano dice no al suicidio assistito e quindi alla relativa legge che ieri ha ripreso il suo iter parlamentare alla Camera. Ieri si è svolta presso l’aula Paolo VI la consueta udienza generale del Papa, che è stata dedicata al tema “San Giuseppe patrono della buona morte”. Il Santo Padre ha articolato una interessante riflessione sulla morte. Qui a noi interessa mettere in evidenza quei passaggi che interessano il tema dell’eutanasia.

Il Santo Padre, all’inizio del suo discorso, ha pronunciato una frase assai preziosa, forse la più importante di tutto il suo intervento: “la fede cristiana non è un modo per esorcizzare la paura della morte, piuttosto ci aiuta ad affrontarla”. L’eutanasia può essere interpretata anche come uno stratagemma volto ad eludere il momento della morte, quasi un tentativo di dominarla decidendo il tempo in cui si vuole uscire di scena. Un modo truffaldino per ingannarsi e credere che si può rimettere al centro l’autonomia della persona, che si sente sopraffatta dagli eventi, uccidendola.  Un modo quindi per esorcizzare la morte.

La fede cristiana invece non esorcizza, non è un pannicello caldo, una elaborata menzogna per tentare di rendere meno doloroso il trapasso, una congerie di storielle sull’Aldilà che dovrebbero tranquillizzarci. Bensì la fede dà senso alla nostra vita così tanto senso che riesce a riempire di significato anche il momento estremo della vita, ad illuminare gli antri oscuri della morte con la luce di Cristo che infatti, appena morto, si recò agli Inferi. È per questo che chi crede non crede nell’eutanasia perché sa che la morte, come scriveva Giovanni Paolo II, è alla fine un passaggio: “da vita a vita”. In questa prospettiva la morte la scontano solo i viventi, chi rimane, i sopravvissuti, non chi la sperimenta. Il Papa, implicitamente, ci ricorda tutto questo.

Successivamente Francesco ha ribadito la giusta condanna contro l’accanimento terapeutico: “non possiamo evitare la morte, e proprio per questo, dopo aver fatto tutto quanto è umanamente possibile per curare la persona malata, risulta immorale l’accanimento terapeutico”. Ecco che il Pontefice correttamente individua il momento in cui scatta l’accanimento clinico, quando cioè si è fatto tutto il possibile per salvare la vita del paziente.

Poi c’è l’elogio delle cure palliative: “La seconda considerazione riguarda invece la qualità della morte stessa, la qualità del dolore, della sofferenza. Infatti, dobbiamo essere grati per tutto l’aiuto che la medicina si sta sforzando di dare, affinché attraverso le cosiddette ‘cure palliative’, ogni persona che si appresta a vivere l’ultimo tratto di strada della propria vita, possa farlo nella maniera più umana possibile”.
Però successivamente mette in guardia dall’uso distorto di queste cure che possono essere utilizzate per fini eutanasici. Infatti elevate dosi di oppioidi possono portare a morte e questo può essere un fine ricercato direttamente, un fine dunque eutanasico. Il Papa così puntualizza: “Dobbiamo però stare attenti a non confondere questo aiuto con derive anch’esse inaccettabili che portano a uccidere”.

Questo passaggio permette al Pontefice di esprimere in modo netto la condanna della Chiesa per ogni forma di eutanasia: “Dobbiamo accompagnare alla morte, ma non provocare la morte o aiutare qualsiasi forma di suicidio. […] La vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata”. Un divieto, quello riguardante l’eutanasia, di morale naturale che quindi riguarda i credenti e i non credenti: “E questo principio etico riguarda tutti, non solo i cristiani o i credenti”. Un monito quindi rivolto a chi pensa di confessionalizzare l’eutanasia quasi che sia un illecito morale solo per chi crede.

Il discorso del Papa non è stato fatto a caso, ma, come accennato prima, è un implicito messaggio rivolto, da una parte, ai parlamentari italiani che stanno esaminando il testo di una proposta di legge volta a legittimare il suicidio assistito e dall’altra a tutti i fedeli e cittadini e alla Corte costituzionale chiamata ad esprimersi sul referendum proposto dai Radicali, referendum che vuole depenalizzare quasi totalmente il reato dell’omicidio del consenziente. Dunque il Papa ha pronunciato un doppio no: alla legge sul suicidio assistito e alla depenalizzazione dell’omicidio del consenziente.

Questo discorso si pone allora in antitesi con il recente articolo pubblicato su La Civiltà Cattolica a firma di padre Carlo Casalone dal titolo “La discussione parlamentare sul ‘suicidio assistito’” in cui il gesuita appoggiava il varo di questa legge come male minore, ossia come soluzione ottimale per evitare danni peggiori in futuro. Qualcuno potrebbe sospettare, però, che il discorso del Papa sia solo di facciata. Ossia si potrebbe pensare che al di là delle Mura Leonine ci sia una netta condanna dell’aiuto al suicidio, ma non una condanna della presente proposta di legge sul suicidio assistito che permette di evitare una legge ben peggiore. Ma se così fosse perché pronunciare un simile discorso proprio in concomitanza con la ripresa dei lavori parlamentari sulla proposta di legge sul suicidio assistito? Non ci pare una buona sponda per appoggiare il varo di una simile legge, anzi ci sembra un vero e proprio bastone tra le ruote. Inoltre la conclusione logica che discende necessariamente dalla parole assai chiare del Papa è la seguente: se il suicidio assistito è un male, mai può essere legalizzato.