Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
EDITORIALE

Eterologa, il governo ripensi al decreto-legge

Dopo la Toscana altre quattro Regioni annunciano di voler procedere autonomamente nella regolazione della fecondazione eterologa: è l'esito scontato della decisione del governo di rimandare tutto a una improbabile decisione del Parlamento. Urge tornare sui propri passi. 

Editoriali 03_09_2014
Sergio Chiamparino

Riassunto delle puntate precedenti. Il 9 aprile 2014 con la sentenza n. 162 la Corte costituzionale dichiara illegittima la legge sulla Pma-procreazione medicalmente assistita, nella parte in cui non ammette il ricorso alla tecnica eterologa; due mesi dopo deposita la motivazione della pronuncia. Oltre all’enunciazione dei principi posti a base della decisione, la Consulta precisa che per effetto della sentenza non rivivono le circolari che dal 1985 al 1997 hanno disciplinato, in assenza di legge, la PMA in Italia; la Corte ribadisce invece che i limiti voluti dal Parlamento dieci anni fa con le disposizioni della legge 40 restano in piedi, e li menziona espressamente. Dunque, ancora oggi:

1. l’accesso alle tecniche di PMA, eterologa inclusa, continua a interessare “coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertili, entrambi viventi”, con esclusione dei single, delle coppie dello stesso sesso, dei soggetti che hanno oltrepassato l’età “potenzialmente fertile”; 

2. il ricorso alla PMA esige a monte una condizione di sterilità/infertilità medicalmente documentata, non essendo ammessa quando l’obiettivo è la selezione genetica del figlio;

3. continuano a essere vietate e sanzionate pratiche come la commercializzazione dei gameti e la maternità surrogata;

4. la presunzione di paternità è regolata come per l’omologa: i figli di una PMA eterologa “hanno lo status di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime”, e ciò rende inammissibile per la PMA eterologa l’azione di disconoscimento della paternità;

5. per le donazioni di gameti, posto che non sono remunerabili, vi è “l’esigenza di consentirle entro un limite ragionevolmente ridotto”;

6. il diritto alla identità genetica, e quindi alla conoscenza del donatore da parte del nato da eterologa, almeno per dati significativi quali quelli attinenti alla salute, va disciplinato in analogia a quando accade per le adozioni o per la madre che non intende essere nominata.

Nelle settimane seguenti al deposito della motivazione si accende la dialettica fra coloro che ritengono la sentenza della Consulta immediatamente eseguibile senza interventi legislativi e facendo ricorso a semplici regolamentazioni amministrative, e chi – in primis il ministro della Salute – giudica necessario, per la complessità e il profilo dei diritti in gioco, accompagnare l’applicazione della sentenza da norme di rango primario.

Il ministro Lorenzin avvia a tal fine un tavolo tecnico, il cui esito, a fine luglio, è l’indicazione di punti essenziali da inserire in un intervento legislativo urgente: dal numero massimo consentito di donazioni alla tracciabilità donatore/nato, per permettere al nato da eterologa una anamnesi completa, da informazioni sull’identità del donatore che scongiurino unioni artificiali fra gameti e ovuli di persone con legami di parentela alla disciplina del consenso informato di coppie e donatore, dalle regole sui limiti di età alla omogeneità dei costi dell’accesso alla tecnica. 

La seduta del Consiglio dei ministri dell’8 agosto sembra quella giusta perché il Governo vari il decreto-legge. E invece la bozza elaborata dal ministero della Salute resta una bozza. Il presidente del Consiglio Renzi la blocca, garantendo però alla Lorenzin di proibire fughe in avanti in attesa di una legge dal Parlamento. Così al posto del decreto l’11 agosto l’on. Lorenzin invia una lettera ai capigruppo di Camera e Senato, con la quale sollecita «tutti i gruppi parlamentari ad assumere iniziative dirette a una tempestiva attuazione della sentenza della Consulta, secondo le indicazioni provenienti dal Giudice delle leggi e nel rispetto dei principi costituzionali vigenti».

Una missiva singolare; se per il governo è necessario dare “tempestiva attuazione” a una sentenza della Corte costituzionale non ha che da esercitare il proprio potere legislativo d’urgenza. Se invece intende condividere le scelte col Parlamento con una discussione che non subisca i tempi ristretti della conversione in legge di un decreto può proporre un disegno di legge. Di fatto, trascorre quasi un mese e alcune Regioni mostrano impazienza: Toscana, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto e Umbria annunciano, in assenza di una legge nazionale, di voler procedere autonomamente. Con l’effetto di una applicazione prevedibilmente non omogenea né in linea con le disposizioni sopravviventi della legge 40.

Si arriva a oggi. La conferenza Stato-Regioni convocata per il pomeriggio con gli assessori alla sanità e per domani con i presidenti ha il compito di concordare delle linee-guida; in tal senso si è espresso il presidente della conferenza, Sergio Chiamparino. Qualunque strada si immagini presenta dei rischi:

- l’assenza di una legge, benché auspicata dal governo, rende probabile che chiunque, fondandosi sulla sentenza della Corte costituzionale, si rivolga a un giudice ordinario. Il risultato sarà che pure su questo versante la giurisdizione detterà le regole al posto di un legislatore inerte;

- l’adozione di linee-guida da parte delle Regioni consiste comunque in un atto amministrativo in una materia che coinvolge diritti, taluni di rilievo costituzionale. Si aggiunga che un atto amministrativo può comunque, se non gradito, essere impugnato al Tar, e quindi non garantisce una regolamentazione stabile;

- i tempi del Parlamento non sembrano veloci: le Regioni attenderanno, nel momento in cui non sono note neanche semplici proposte di legge in materia? Nulla esclude peraltro, ricordando le maggioranze che finora si sono formate nelle Camere su temi eticamente sensibili, che dai lavori parlamentari possa venir fuori la demolizione di ulteriori limiti e cautele contenuti nella legge 40.

Per concludere. Lo strumento della legge è ineludibile. La scelta più sensata è che il governo riprenda la strada del decreto-legge: i punti-chiave sono già individuati, l’urgenza c’è tutta, visto il tempo che è trascorso dalla sentenza della Corte, la delimitazione del campo potrebbe cautelare in sede di conversione in Parlamento. Per la prima volta, affrontando tematiche così delicate, il governo Renzi dimostrerebbe buon senso: è un’occasione da non (ri)perdere.