Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
disagi su rotaia

Elogio teologale del pendolare: colui che è paziente

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Il pendolare è il paziente. Lui è ormai l’imperturbabile nell’empireo. È l’impassibile Giobbe a rotaia. Il rassegnato in seconda classe. Che alla mattina si sveglia con il messaggino di Trenitalia che gli comunica, puntualmente, il ritardo del suo treno. 

Attualità 04_10_2024

Ieri ho battezzato ufficialmente il protettore dei pendolari: San Giobbe. Pertanto, pretendo che ogni 10 maggio, che è la sua memoria liturgica, Trenitalia mi faccia gli auguri. Magari utilizzando quel diabolico servizio di messaggistica che ogni mattina mi avvisa degli immancabili ritardi sulla mia linea. Solo la sua pazienza, la sua tenacia, solo la sua catartica rassegnazione di fronte alle sventure della vita può essere, ormai arrivati a questo punto, consolazione e certezza che anche noi, pendolari di lunga percorrenza, abbiamo un santo a cui votarci, al quale accendere una candela.

Perché se il problema delle infrastrutture è diventato il tema dei temi nell’agenda dopo che per l’ennesima volta un piccolo imprevisto ha paralizzato tutta la rete ferroviaria italiana (mercoledì è stato un chiodo!), per noi che il problema dei treni lo viviamo tutti i giorni, è stato il giorno del riscatto.

C’è un problema coi treni? Ma davvero? E lo scoprite adesso?

Io alla mattina mi sveglio alle 6.30 quando il treno che prenderò a Reggio Emilia è già partito felice da Ancona. E puntualmente Trenitalia mi ha dà il buongiorno mentre svito la moka: «Gentile cliente…». Al solo leggere quel «Gentile cliente…» io so già che non sarà una giornata facile. Il ritardo è puntuale e la puntualità dell'app sui ritardi altrettanto. 

Così mi rivesto di pazienza, virtù bistrattata che dovrebbe essere aggiunta alle altre 4 virtù cardinali e già che ci siamo pure a quelle teologali, vado in doccia perché è nella pazienza che si vede chi è un vero uomo e chi invece uno smart worker.  

Poi arrivo in stazione e puntualmente il ritardo comunicatomi da Trenitalia come minimo è raddoppiato. Parentesi: ci sono delle volte in cui provo a fare il furbo: allora parto con calma, me la prendo comoda e vado al bar, tanto il treno è ancora a Forlì. E invece, arrivo al binario e il maledetto è già bello che arrivato e ripartito senza di me. Ma come? E il ritardo? Scherzi da capostazione. Come quando arrivi a Milano Centrale due minuti prima del previsto e l'altoparlante dice: «Siamo in arrivo, in anticipo, a Milano Centrale». In quel "in anticipo" c'è una voce automatica che si fa umana, un'inflessione quasi lieta, come una parola mai pronunciata prima, l'unica customer satisfaction possibile di questi tempi. Un evento incredibilmente insolito e per questo trionfale tanto che noi ci guardiamo come bambini all'acquario di Genova nell'ammirare questo esemplare raro: «Wow... in anticipo...e ora quante cose posso fare con un treno in anticipo di due minuti?». 

Ma non è quasi mai così. 

Comunque, di solito, quando arrivo sul marciapiede va così: inizia una situazione di affidamento celeste. Aspetto il treno delle 9 che arriva da Roma, che poi arriva già con un ritardo che non si capisce perché, essendo un treno diverso su una linea diversa, ma si vede che tra Frecciarossa deve esserci una solidarietà di corpo: se è in ritardo uno, allora anche gli altri per spirito di gruppo ci mettono almeno dieci minuti di regola. Che poi, dieci minuti di ritardo dalle nostre parti non sono neanche considerati ritardo, non siamo mica in Giappone.

Solo che i bolognesi - furbastri eh, i bolognesi? Sono sempre i primi della classe - lo hanno già occupato tutto. Allora salgo sul treno dalla carrozza 3, quella dove scendono i controllori – un pendolare ormai conosce tutti gli spostamenti delle sue guardie -, e contratto come Troisi in Non ci resta che piangere alla dogana: «Sono un abbonato, il mio treno è perso nelle campagne romagnole per un … boh…, guasto diciamo così. Posso salire?».  

Lui ti guarda con lo sguardo di Ivan Drago, forte del suo cappello e del suo fischietto, il perfido: «Guardi, senza biglietto non si parte». Tu vagli a spiegare che non hai potuto spostare la prenotazione perché non hai trovato posto o perché è passato l’orario di partenza del tuo treno e l’app non ti consente di cambiare. È successo che sono stato lasciato a piedi perché il capotreno quella sera aveva mangiato pesante, dormito ancor più pesante e svegliatosi all’alba con un macigno sul groppone. L’ho mandato a quel paese all’istante, l'Ivan Drago, con una certa liberazione.

Ma il più delle volte il capotreno è un umile lavoratore a 275 km orari e ti fa salire: «D’accordo, ma stia in piedi tra la carrozza 7 e la 8». Ringrazio deferente come se mi avessero concesso una coperta al Polo nord, eseguo e regolo il traffico dei privilegiati seduti che si alzano per sgranchirsi le gambe e vanno in bagno. «Tocca a lei signora…, no senta, la signorina col cagnolino era in fila da prima di voi».

E mica è finita: arrivati a Milano la coincidenza per Monza è evaporata come un lontano ricordo, quando addirittura non persa per un istante di scatto finale, un misero secondo per un misero metro di vittoria: tu che cambi binario, corri a perdifiato, sali al 4 e appena arrivi sul marciapiede il controllore ti chiude le porte del regionale in faccia e ti guarda come se fosse impossibilitato da una forza arcana a girare la manopolina della porta: alza le mani che smbra che dica: «Che sfortuna, poveretto». E io rimango a piedi. Ancora.

Quindi il pendolare è paziente. Paziente e basta. Lo riconosci dagli altri viaggiatori del girone dantesco del ritardo cronico perché non corre neanche più. Io ho smesso di correre per prendere i treni, tanto io sono paziente e rassegnato in classe standard. Il pendolare aspetta gli eventi, non cerca scorciatoie per prendere un treno che solo tu sai che c’è, perché tanto è inutile. Si lascia scivolare tutto come la pioggia sui finestrini.

Prendete quello che è successo a me ieri: il locale per Locarno con un ritardo di 25 minuti va a posizionarsi al binario 5. Di fianco, al 6, c’è puntuale in partenza quello per Tirano. Mi vanno bene entrambi, tanto io scendo a Monza. Solo che – domandona - quale sarà quello che partirà per primo? Chiedo al controllore: «Scusi, quale dei due parte prima?». Risposta? «E chi lo sa?». Capito? Chi lo sa, dice lei, mentre cerca di capire perché il semaforo è ancora rosso. Resto così a metà del marciapiede ad attendere il fischio finale con l’idea di salire sul primo dei due treni appaiati pronti ai blocchi di partenza come a Le Mans. Farò il salto in lungo non appena parte il fischio. No, dai… entro. Scelgo quello per Locarno perché ha i sedili più nuovi. Parte per primo quello per Tirano. Capite, adesso, perché Giobbe? Altri dieci minuti di ritardo che si accumulano. Capite perché non ha nemmeno senso pensare o ragionare che cosa sia meglio fare?

Bisogna solo essere pazienti e rassegnati. E pure silenziosi, mentre gli altri viaggiatori bestemmiano in turcomanno, il pendolare lo riconosci per la sua atarassicità epicurea di fronte alla prova. Correte, urlate, dimenatevi pure, ma sempre qui al binario rimanete.

E al ritorno? Un altro giro di valzer… con qualche variazione sul tema.

L’altro giorno da Monza il locale per Centrale era in straritardo. Faccio due conti, perderò il Frecciarossa a Milano, quindi cambio la prenotazione e farò rotta su Garibaldi dove ci sarà un altro Freccia di lì a poco. Tutto ok. Ma il treno per Garibaldi arriva con un ritardo di 20 minuti. Nessun problema, ce la faccio. Salgo. Parto. Arrivati a Sesto San Giovanni un annuncio dagli altoparlanti bofonchia qualche cosa. Cos’ha detto? Mannaggia agli auricolari, non ho sentito. Però vedo che tutti scendono dal treno, ma proprio tutti tutti. Quindi? Il convoglio cambia di colpo destinazione a va a Chiasso. Ma come a Chiasso? Risposta: «Il ritardo accumulato era oltre il consentito, quindi si è deciso di non farlo fermare a Garibaldi e così adesso torna indietro a Chiasso». E noi? Altro treno, altra attesa e altro Frecciarossa perso. Il secondo della giornata.

Ora. Prendete questo standard e moltiplicatelo per uno, due, quattro anche sei o sette volte al mese. E avrete trovato il senso della vita del pendolare.

Dalla mia app, lo storico mi informa di tutti i disguidi del mese. Il catalogo di settembre è questo: 3 settembre, Gentile cliente a causa di un guasto…; 10 settembre, Gentile cliente, a causa del forte maltempo…; 16 settembre, Gentile cliente a causa della circolazione fortemente rallentata…; 18 settembre, Gentile cliente, a causa di accertamenti dell’autorità giudiziaria…; 19 settembre, Gentile cliente per le condizioni meteo critiche nei pressi di Faenza…; 23 settembre, Gentile cliente a causa di un guasto alla linea…; 26 settembre, Gentile cliente a causa di un guasto al treno…; 30 settembre, Gentile cliente a causa di un guasto alla linea

Capite perché il pendolare è il paziente? Lui è ormai l’imperturbabile nell’empireo. È l’impassibile Giobbe a rotaia, che trattiene tutte, ma proprio tutte le parolacce della storia pronunciate nei 20 dialetti e sottolinguaggi urbani possibili immaginabili. «Le ricordiamo che per un ritardo superiore a 30 minuti può chiedere il rimborso del viaggio». Ma se ho un abbonamento mensile che diamine di rimborso potrò mai chiedere?