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USA DOPO IL VOTO

Effetto Trump, studenti "stressati" social processati

Usa, nei giorni successivi all’elezione di Donald Trump, assieme alle scene di rivolta in tutte le maggiori città americane, ci giungono strane notizie. La prima riguarda le università, alcune delle quali hanno sospeso lezioni ed esami. La seconda arriva dal mondo del media, che ora accusa i social network di aver consentito la diffusione di messaggi pro-Trump.

Educazione 13_11_2016
Studentesse contro Trump

Usa, nei giorni successivi all’elezione di Donald Trump, assieme alle scene di rivolta in tutte le maggiori città americane, ci giungono strane notizie. La prima riguarda le università, alcune delle quali hanno sospeso lezioni ed esami, non per una calamità naturale, ma per permettere agli studenti di “riprendersi dallo shock” della vittoria del presidente repubblicano. La seconda arriva dal mondo del media, che ora accusa i social network di aver consentito la diffusione di messaggi “razzisti”. Leggasi: di aver consentito agli elettori e sostenitori di Trump (collettivamente considerati razzisti) di essersi espressi liberamente.

Un professore di psicologia dell’Università del Michigan ha rinviato gli esami della sua materia dopo aver ricevuto email di studenti che si definivano “troppo stressati” a causa del risultato elettorale. Nella mail di risposta, augura tutto il bene possibile ai suoi allievi, “in questi tempi difficili”. Nella prestigiosa Columbia University, una decine di esami sono stati cancellati o rimandati. Alcuni professori hanno cancellato le loro lezioni o le hanno sostituiti con dibattiti sull’esito del voto delle presidenziali. Un professore di Sessualità e Cittadinanza (esiste un corso di sessualità e cittadinanza, non è un collettivo femminista), ha dichiarato alla stampa locale che gli studenti del suo corso “sono devastati”. A Yale, un professore di Economia ha inviato una mail ai suoi studenti informandoli che i suoi esami sono ora “facoltativi”. Nella mail la motivazione è che: “molti studenti, a torto o a ragione, esprimono di avere timore per se stessi e per le loro famiglie”. Un professore dell’Università del Connecticut, invece, ha giustificato l’assenza degli studenti dalle sue lezioni, mandando il messaggio: “So che per molti di voi, questo processo elettorale, è stato molto provante, mentalmente e fisicamente”.

Sempre più università chiuse per politica, insomma. Fino agli anni Novanta, comportamenti del genere sarebbero stati considerati anti-professionali e gli studenti contestatori e assenteisti sarebbero stati ripresi duramente. Una contestazione palese contro la massima carica dello Stato, poi, ha dell’incredibile in un paese in cui l’inno e la bandiera sono ancora al centro della vita educativa. Ma è ormai normale oggi, in campus in cui gli studenti hanno diritto alle “comfort zones” in cui non sentire discorsi di volta in volta tacciati di sessismo, razzismo, omofobia, islamofobia, afro-fobia. Università dove sono punite le “micro-aggressioni” (gli insulti a sfondo razziale) che nella maggior parte dei casi sono considerate tali se solo ricordano all’interlocutore la sua origine (basta chiedere a un asiatico-americano da dove viene). Per gente che, evidentemente, è stata educata a vivere nella bambagia di un mondo progressista, la vittoria di Trump deve apparire come una violenza fisica e dunque è più che giustificata la fuga nella propria cameretta.

Non per caso il dito accusatore viene puntato sui social network, uno specchio della realtà sociale più fedele rispetto a quello distorto dei media e delle accademie politicizzate. Già gli amministratori dei social si danno da fare a censurare pareri non conformi, giudicati “offensivi”. Basta una segnalazione per essere bannati dai solerti amministratori di Facebook, per esempio. Ovviamente non possono censurare un discorso politico, specie sotto elezioni. Ma proprio per questo sono sotto accusa. Sono soprattutto i media tradizionali (stampa e televisioni) che ora condannano senza appello il ruolo dei social media, in particolare Facebook, Twitter e Reddit. Dove sono circolate molte notizie false, molte teorie cospirative contro la Clinton e tanta propaganda per Trump. Obiettivamente, rispetto al silenzio su emailgate e ai sondaggi completamente sbagliati pubblicati fino all'ultimo, i peccati di cui sono accusati i social dai loro colleghi sono veniali. Ma soprattutto: non sono “colpa” dei social. Sono semmai gli utenti che postano i contenuti, non stiamo parlando di testate in cui la linea editoriale è decisa dal direttore e dall’editore. Eppure Facebook deve porgere le sue scuse, ammettere che “qualcosa non ha funzionato”, che l’algoritmo con cui le notizie vengono selezionate era troppo sbilanciato a favore di Donald Trump. Come un algoritmo (una formula matematica) possa essere fazioso è un altro mistero della scienza.

Pare proprio che dopo l’era Obama, l’America sia ormai un reality show grande quanto un paese, col finale già scritto. Va tutto bene solo finché vince un presidente nero, emblema dell’anti-razzismo e con una moglie che coltiva l’orticello alla Casa Bianca. Ma se viene votato dalla maggioranza un uomo dai capelli arancio che parla delle donne con lo stesso stile di un Clemente Russo, allora vuol dire che deve essere cambiata la realtà. E nel frattempo è lecito fuggire, rifugiandosi nel proprio “stress”.