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fama di santità

È un "segno" il corpo della monaca che amava il rito antico

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Suor Wilhelmina Lancaster, morta nel 2019 a 95 anni, è stata ritrovata in uno stato di conservazione sorprendente che attira un flusso costante di pellegrini. Straordinaria anche la sua vita, che a 70 anni l'ha portata a fondare una comunità religiosa dopo la riscoperta della liturgia tradizionale.

Ecclesia 02_06_2023

Non è chiaro se l’inattesa conservazione del corpo di suor Wilhelmina Lancaster sia un fenomeno naturale o se abbia del miracoloso, ma da lunedì scorso la fondatrice delle Benedettine di Maria Regina degli Apostoli – morta nel 2019 a 95 anni – riposa sotto una teca di vetro, invece che in una tomba chiusa, nella sua abbazia di Gower, Missouri. Troppi i pellegrini che hanno pacificamente invaso le sacre mura dal giorno dell’esumazione, avvenuta il 18 maggio.

Ci si aspettava di riportare in monastero nient’altro che ossa, come aveva detto alle monache il personale del cimitero, tanto più che la bara mostrava una crepa da cui erano filtrati sporco e umidità. Ma proprio da quella crepa si vedeva un piede integro, facendo sobbalzare la madre badessa. «La sporcizia caduta all'inizio aveva schiacciato i tratti del viso, soprattutto l'occhio destro, per cui abbiamo applicato una maschera di cera. Ma le ciglia, i capelli, le sopracciglia, il naso e le labbra erano tutti presenti, la bocca accennava un sorriso», racconta una monaca. «Dopo aver ripulito la bara da muffa e funghi, a causa delle condizioni di umidità, sembrava che le avessimo messo addosso l'abito proprio quel giorno» – un elemento significativo conoscendo la vita di suor Wilhelmina e quanto le stesse a cuore l’abito religioso. Quell’evento riservato, pensato per riseppellire i resti in abbazia nel nuovo tempietto di San Giuseppe, dall’intimità del chiostro si è esteso a un fiume inarrestabile di persone (gestito grazie all’aiuto di volontari e della polizia locale) che tuttora si recano a visitare la salma di suor Wilhelmina.

Tra i visitatori c’è stato anche il vescovo di Kansas City, mons. James V. Johnston, che il 26 maggio ha emesso un prudente comunicato annunciando «un’indagine più approfondita» sui resti di suor Wilhelmina e invitando a non trattarli come reliquie, non essendo ancora avviata una causa di canonizzazione – per la quale occorre attendere, salvo dispense, i cinque anni dalla morte. Circa la conservazione della salma, se l’antropologo forense Nicholas Passalacqua la considera «non troppo sorprendente», essendo racchiusa in una bara, si dice invece sorpreso David Hess, docente di scienze mortuarie: «Mi sarei aspettato di trovare il corpo decomposto, magari non proprio ridotto alle ossa, ma pesantemente decomposto», a meno che non fosse imbalsamato. Ma non c’è stata alcuna imbalsamazione, conferma Jack Klein, titolare dell’agenzia funebre che all’epoca si occupò della sepoltura, e oggi esprime altrettanto stupore per le condizioni del corpo, che lasciamo dunque esaminare agli addetti ai lavori. Poiché se questo è certamente un aspetto eclatante, non è tuttavia quello decisivo circa la possibile santità della persona. Molto di più, ricordano le stesse monache, contano «la vita e le grazie ricevute».

La vita di Mary Elizabeth (nome secolare di suor Wilhelmina) fu straordinaria sin dall’infanzia, stando a delle memorie scoperte dopo la sua morte: nel giorno della sua prima Comunione Gesù le avrebbe chiesto di essere sua. «Egli è così attraente – disse lei – come avrei potuto dirgli di no?». A 13 anni scrisse alla superiora delle Oblate della Provvidenza chiedendo di esservi ammessa, malgrado la giovane età. Vi entrò poi al termine della scuola e visse complessivamente 75 anni di vita religiosa, nel corso dei quali diede prova di altrettanta determinazione per restare fedele alla sua vocazione. È estremamente significativo il fatto che nella bara si sia conservato anche l’abito, invece di deperire: proprio quell’abito per cui aveva lottato nei turbolenti anni del post-concilio, quando lo si voleva semplificare o accantonare insieme a tanti altri aspetti della vita religiosa. E che la salvò anche fisicamente, poiché fu proprio la “rigida” foggia tradizionale a deviare il coltello brandito da uno studente squilibrato.

La fondazione delle Benedettine di Maria Regina degli Apostoli avvenne proprio per tornare all’osservanza religiosa che aveva scelto da ragazza. Nel frattempo suor Wilhelmina aveva riscoperto la liturgia tradizionale grazie ai sacerdoti della Fraternità Sacerdotale San Pietro (fondata nel 1988, all’indomani del motuproprio Ecclesia Dei, quale espressione della paternità manifestata da San Giovanni Paolo II verso i fedeli legati al rito antico). E fu grazie al loro sostegno se nel 1995, quando aveva già 70 anni, ebbe l’audacia di fare i bagagli e dare inizio insieme a un gruppo di consorelle – dapprima in Pennsylvania, poi dal 2006 in Missouri – a questa comunità monastica “antica e nuova”, che segue l’ufficio divino e la Messa secondo l’antica liturgia ed è caratterizzata da una forte impronta contemplativa e mariana. Il 10 settembre 2018 avvenne la benedizione abbaziale della prima badessa, madre Cecilia Snell. La “buona battaglia” di suor Wilhelmina era compiuta e la tenace religiosa poteva addormentarsi nel Signore l’anno seguente. Era il 29 maggio 2019, ai primi Vespri dell’Ascensione.

Fin qui la biografia “esterna”; quella interiore è una storia d’amore ininterrotta sin da quel primo “incontro” avvenuto nella Prima Comunione: «“Perché ti sei fatta religiosa?”, le chiese il cappellano – a raccontarlo è suor Scolastica Radel – la sua risposta immediata fu: “Perché mi ero innamorata di Nostro Signore”. E si può ben dire che sia rimasta innamorata fino alla fine dei suoi anni». Questo amore si riversava nella devozione alla Vergine e la gente lo percepiva: «Ogni volta che le parlavi della Madonna potevi vedere in lei quella scintilla», ricorda Regina Trout, una ex postulante. Per le consorelle era una «nonna spirituale», dice mons. James Conley, vescovo di Lincoln, in Nebraska, che era solito visitare il monastero quando veniva a trovare i genitori a Kansas City: «Aveva sempre un sorriso sul viso e loro la adoravano, prendendosi cura di lei con così tanto amore». Il presule aggiunge che suor Wilhelmina era «il cuore spirituale dell’intera comunità» e «aveva un gran senso della bellezza della liturgia».

Un «cuore spirituale» che ancora batte nell’abbazia di Gower, stando alle numerose confessioni che i sacerdoti hanno amministrato per ore e ore sul prato e alle testimonianze dei pellegrini. Come Jessica e Jason, una coppia di non vedenti che a suor Wilhelmina hanno chiesto la grazia di un figlio per il loro matrimonio. E altri che invece non hanno chiesto nulla, ma rivelano di aver provato una grande pace e la consapevolezza che Dio opera nella loro vita. «Ho visto donne andarsene in lacrime. Ho visto la misericordia di Dio operare qui», dice Jody Carpenter, coordinatrice dei volontari, che frequenta l’abbazia da molti anni e non fa mistero di vedervi un “segno” in tempo di restrizioni papali contro la liturgia tradizionale: «Da quando siamo passati alla Messa tradizionale ho visto una fede più forte nei nostri figli». La sua è una testimonianza molto schietta che smentisce qualsiasi sospetto “élitarismo”: «Non vogliamo imporre la Messa in latino a nessun altro. E non ci mettiamo al di sopra di nessuno, perché siamo tutti peccatori. Siamo tutti peccatori, credimi, sono ben lontana dall'essere perfetta».

Jody prega «che il papa e i cardinali vedano cosa sta succedendo qui e continuino a farci celebrare la nostra Messa in latino». Non si sa mai che anche a Gower – come ha già ricordato Luisella Scrosati sui giovani pellegrini di Parigi-Chartres – si manifesti il monito di Gamaliele: «non vi accada di trovarvi a combattere contro Dio» (At 5,39), cancellando con un colpo di spugna le generose aperture di San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, con Ecclesia Dei e Summorum Pontificum, da cui sono scaturiti frutti spirituali e forse anche dei nuovi santi, la prima dei quali potrebbe essere un giorno proprio suor Wilhelmina.