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IL DOCUMENTO

“E il Verbo si è fatto ideologia”. Al Sinodo una Chiesa falsificata

Il Documento di lavoro per il Sinodo sulla sinodalità, presentato il 27 ottobre, è la riproposizione del frasario tipico dell’ideologia pseudo-cristiana con cui le gerarchie ecclesiastiche martellano continuamente i fedeli: inclusività, Chiesa senza porte, rifiuto della divisione tra credenti e non.

Ecclesia 07_11_2022 English Español

Il 27 ottobre scorso, il Cardinale Mario Grech, Segretario Generale della Segreteria Generale del Sinodo, ha preso per primo la parola durante la conferenza stampa di presentazione del Documento di lavoro per la Tappa Continentale del Sinodo, un documento di sintesi di quanto emerso dalle consultazioni. A dire il vero “Allarga lo spazio della tua tenda”, questo il titolo del documento, è la sintesi delle sintesi. Le varie risposte dei fedeli sono infatti confluite nelle rispettive diocesi, dalle diocesi alla conferenza episcopale di riferimento, che ha provveduto appunto a preparare un primo compendio. Queste sintesi sono state quindi inviate alla Segreteria del Sinodo, che, attraverso un gruppo di “esperti”, ha provveduto a preparare un’ulteriore sintesi, cioè il documento che è stato ora reso pubblico. Secondo quanto affermato dal Cardinal Jean-Claude Hollerich, hanno risposto 112 conferenze episcopali su 115, 15 Chiese cattoliche orientali, 17 Dicasteri romani, l’Unione dei Superiori e delle Superiori Maggiori e alcuni movimenti e associazioni. Nulla è stato detto su quanti però siano stati i cattolici in carne ed ossa ad inviare osservazioni.

Il Cardinal Grech manifesta la sorpresa sua e «del gruppo che ha collaborato alla lettura delle sintesi e alla scrittura del Documento», a motivo della «singolare convergenza su molti punti di contributi che provenivano da contesti ecclesiali e culturali assai diversi». A insospettire, più che stupire, è però l’uniformità espressiva, in stretto “sinodalismo”, dei virgolettati riportati. Grech mette le mani avanti riconoscendo che «il Documento è stato redatto a partire dalle sintesi delle Conferenze episcopali e non direttamente dai contributi delle Chiese particolari»; ma al contempo ne rivendica la fedeltà ai contributi originari, escludendo categoricamente la possibilità «che tutte le Conferenze episcopali abbiano di proposito soffocato la profezia del Popolo di Dio», sospetto che sarebbe «altrettanto ideologico che supporre il contrario». Affermazione che implica, e forse il Cardinale non se n’è accorto, che anche la supposizione che non via sia stata alcuna falsificazione risulta ideologica.

Ed in effetti, l’ipotesi più probabile, dando un’occhiata alle sintesi riportate, è che ormai nella Chiesa sia in atto una falsificazione sostanziale, profonda, che va nella duplice direzione: dall’istituzione ai fedeli (o almeno una parte di essi), e da questi ultimi verso l’istituzione. Il cardinale Grech la chiama «dinamica della restituzione»; in sostanza, un continuo passaggio: «dall’ascolto del Popolo di Dio i singoli Vescovi potranno verificare se e quanto la sua Chiesa si riconosce nel Documento; le possibili osservazioni al Documento potranno essere inviate dalle singole Chiese alle Conferenze episcopali, le quali potranno a loro volte produrre per la tappa continentale una sintesi più organica, che contribuirà al discernimento della Assemblea continentale».

Perché si tratta di un processo di falsificazione? Perché molto del popolo di Dio, soprattutto quello “impegnato”, è stato raggiunto non dalla predicazione del Vangelo, ma dal frasario tipico dell’ideologia pseudo-cristiana. Ai propri pastori vengono dunque restituiti quei desiderata che in realtà sono stati preventivamente indotti dal martellamento ideologico dei pastori stessi (fatte salve alcune eccezioni) e delle loro varie commissione diocesane e parrocchiali. I pastori poi hanno inviato agli uffici competenti delle conferenze episcopali queste risposte, che sono state opportunamente sintetizzate, ovvero meglio amalgamate all’ideologia ecclesiale dominante. Così riformulate, torneranno indietro ai pastori e al popolo, di modo che possano “interiorizzare” ancor meglio l’ideologia e il suo frasario. E così via, in una dinamica che viene chiamata «dinamica circolare di profezia-discernimento», secondo appunto un vocabolario ideologico ormai ben collaudato.

Ad emergere, così, non è affatto il sensus fidei, come suggerisce il documento al n. 9, cioè il consenso dei fedeli, in virtù della virtù teologale della fede, infusa in loro nel Battesimo, ma semmai una consultatio fidelium, ideologicamente condotta e riportata.

Vediamo in concreto qualche esempio dell’ideologia all’opera, riportando alcune di quelle citazioni che, secondo il documento, «provano a dare una idea della ricchezza dei materiali ricevuti, lasciando risuonare la voce del Popolo di Dio di ogni parte del mondo».

Iniziamo da una citazione della sintesi offerta dalla CEI, che sarebbe una delle voci che chiedono un’inclusività totale nella Chiesa: «La Chiesa-casa non ha porte che si chiudono, ma un perimetro che si allarga di continuo». Oppure, una proveniente dalla CE portoghese: «Il mondo ha bisogno di una “Chiesa in uscita”, che rifiuta la divisione tra credenti e non credenti, che rivolge lo sguardo all’umanità e le offre, più che una dottrina o una strategia, un’esperienza di salvezza, un “traboccamento del dono” che risponda al grido dell’umanità e della natura». O ancora questa formulazione contorta della CE argentina: ««È importante costruire un modello istituzionale sinodale come paradigma ecclesiale di destrutturazione del potere piramidale che privilegia le gestioni unipersonali».

Di fronte a formulazioni di tal fatta, ci sono solo due possibilità: o le risposte iniziali sono state ampiamente distorte per conformarle al verbo attuale della chiesa sinodale, oppure le risposte sono autentiche, ma provengono da quella minuscola porzione di cattolici impegnati (che però si ritrova – sempre loro - in tutti i consigli pastorali, diocesani, commissioni, e quant’altro) sufficientemente ideologizzata. Quella “porzione eletta” che, per capirci, sostiene la liceità dell’aborto, ma insegna catechismo; fa il ministro straordinario, ma non crede alla transustanziazione; mette sottosopra la parrocchia per togliere le candele di cera e salvare il pianeta dal global warming, ma tiene almeno 24 gradi in casa.

Un altro aspetto onnipresente nel documento è il martellamento sull’inclusività. Nel § 13, si afferma che la «Chiesa sinodale [..] impara dall’ascolto come rinnovare la propria missione evangelizzatrice alla luce dei segni dei tempi, per continuare a offrire all’umanità un modo di essere e di vivere in cui tutti possano sentirsi inclusi e protagonisti». Chi sono gli esclusi che devono essere «inclusi e protagonisti»? Chi sono costoro che non si sentono rappresentati nella Chiesa? La lettura del § 39 fa emergere più che il sospetto che si tratti di persone che vivono e pensano in modo da contraddire la fede su aspetti sostanziali; e che non hanno minimamente intenzione di cambiare, ma attendono invece un cambiamento da parte della Chiesa, perché riconosca come ispirato dallo Spirito Santo, come voce profetica, o segno dei tempi – secondo il già più che collaudato frasario sinodale - quanto invece esprime semplicemente un sentimento, un desiderio, un modo di vivere che dev’essere corretto e purificato: «Tra coloro che chiedono un dialogo più incisivo e uno spazio più accogliente troviamo anche coloro che per diverse ragioni avvertono una tensione tra l’appartenenza alla Chiesa e le proprie relazioni affettive, come ad esempio: i divorziati risposati, i genitori single, le persone che vivono in un matrimonio poligamico, le persone LGBTQ, ecc.» Indicazione corredata da una citazione della sintesi ideologicamente corretta inviata dalla CE degli USA: «La gente chiede che la Chiesa sia un rifugio per chi è ferito e piegato, non un’istituzione per i perfetti. Vuole che la Chiesa incontri le persone ovunque si trovano, cammini con loro anziché giudicarle, e costruisca relazioni reali attraverso la cura e l’autenticità, non il senso di superiorità».

Nella stessa linea sono i paragrafi dedicati al tema della presunta esclusione delle donne dalla vita della Chiesa: «Molte sintesi […] chiedono che la Chiesa prosegua il discernimento su alcune questioni specifiche: ruolo attivo delle donne nelle strutture di governo degli organismi ecclesiali, possibilità per le donne con adeguata formazione di predicare in ambito parrocchiale, diaconato femminile. Posizioni assai più diversificate vengono espresse a proposito dell’ordinazione presbiterale per le donne, che alcune sintesi auspicano, mentre altre la considerano una questione chiusa» (§ 64). Il contributo degli istituti di vita consacrata suona la carica: «Nei processi decisionali e nel linguaggio della Chiesa il sessismo è molto diffuso […]. Di conseguenza, alle donne sono preclusi ruoli significativi nella vita della Chiesa, e subiscono discriminazioni in quanto non ricevono un salario equo per i compiti e i servizi che svolgono. […] In alcune Chiese c’è la tendenza a escludere le donne e ad affidare compiti ecclesiali ai diaconi permanenti; e anche a sottovalutare la vita consacrata senza abito».

Chissà se la sottovalutazione della vita consacrata senz’abito sia il problema principale della Chiesa oggi. Di sicuro fa un certo senso che, nel documento, si taccia di quello che ormai è sotto gli occhi anche dei più ciechi tra i ciechi: apostasia di massa, liturgie da rigurgito, crollo delle vocazioni sacerdotali e religiose, disprezzo della vita umana, famiglie sfasciate. E un pontificato che è sempre più causa del disorientamento dei fedeli.