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IL CASO

E allora non paghiamo le tasse al Comune di Roma

Il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha trascritto sui registri civili ben 16 "matrimoni" gay celebrati all'estero. Il prefetto lo ha ammonito: le "nozze" sono contro la legge italiana e saranno cancellate. Ma se il primo cittadino viola la legge, perché i suoi cittadini dovrebbero seguire le leggi comunali?

Editoriali 19_10_2014
"Nozze" gay a Roma

Tutte le strade portano a Roma. Anche quelle dell’orgoglio gay. Ieri mattina (sabato 18 ottobre) in Campidoglio il sindaco di Roma Ignazio Marino ha trascritto nei registri comunali il “matrimonio” di sedici coppie omosessuali che si erano “sposate” all’estero.

«Dobbiamo pensare che oggi è un giorno normale. Crediamo fortemente che tutti siano uguali e abbiano gli stessi diritti davanti alla legge. E allora quale diritto più importante c’è di dire al proprio compagno o compagna ‘ti amo’?» ha dichiarato il primo cittadino capitolino nella Sala della protomoteca.

Il prefetto Giuseppe Pecoraro non ha aspettato un secondo e così ha ordinato: «Cancellare le trascrizioni o ci sarà l’annullamento». All’indirizzo di Marino ha poi aggiunto: «Se non procederà alla cancellazione delle trascrizioni sarò costretto io a farlo per legge». Ed infatti martedì o mercoledì si provvederà ad invalidare queste trascrizioni che appaiono inutili sul piano giuridico-amministrativo – sul punto qualche giorno fa era stato molto esplicito il Ministro dell’Interno Alfano – ma assai utili sul piano massmediatico e quindi ideologico. Uno spottone per le “nozze” gay ed un ulteriore invito al Parlamento a non insabbiare il disegno di legge sulle unioni civili omosessuali di marca Renzi.

Al prefetto fanno eco le parole di Alfano che su Facebook così commenta: «Marino ha firmato trascrizioni per nozze gay. Ribadisco per l’attuale legge italiana ciò non è possibile. La firma di Marino non può sostituire la legge: ha fatto il proprio autografo a queste rispettabilissime coppie».

Sulla stessa frequenza d’onda l’Ufficio per le comunicazioni sociali della CEI (ma forse non era meglio due parole da parte dell’Ufficio Famiglia?): «La notizia della trascrizione oggi, in Campidoglio, di matrimoni tra persone dello stesso sesso, avvenuti all’estero, sorprende perché oltre a non essere in linea con il nostro sistema giuridico, suggerisce una equivalenza tra il matrimonio ed altre forme che ad esso vengono impropriamente collegate. Una tale arbitraria presunzione, messa in scena proprio a Roma in questi giorni, non è accettabile».

Dunque il succo delle critiche a Marino è il seguente: questi atti sono illegittimi perché il nostro ordinamento giuridico non prevede “matrimoni” tra persone dello stesso sesso. Critica sacrosanta. Ma a noi vengono da aggiungere due considerazioni. La prima: perché, come ha suggerito il consigliere Ncd Marco Polarici, non denunciamo il sindaco? Perché non chiediamo che venga commissariata la giunta? Se c’è una responsabilità civile per i magistrati c’è anche quella degli amministratori della cosa pubblica: facciamola valere allora. Una bella sanzione pecuniaria o una richiesta di risarcimento per aver danneggiato il buon senso di tutti. Marino è reo di giocare alla fantapolitica, di aver abusato della pazienza popolare, di tentata truffa alla ragionevolezza di Stato e civica. Se ci fosse il reato di “assurdo” il sindaco prenderebbe il massimo della pena senza attenuanti né sconti. Anzi ci sarebbero pure le aggravanti della “noia con recidiva”, perché – ammettiamolo – noi popolino siamo stufi di questa solfa delle “nozze” gay, anzi proprio lessi. Davvero abbiamo nella nostra testa etero altro a cui pensare.

Secondo pensierino. Se il primo cittadino di Roma fa spallucce alla Costituzione, sì proprio alla Co-sti-tu-zione, perché noi ultimi cittadini non possiamo bellamente ignorare le normative di carattere amministrativo? Ad esempio le multe per divieto di sosta: non paghiamole più. E pure quelle sui rifiuti. È questione di logica giuridica elementare: se chi comanda considera legittimo trasgredire le norme di rango costituzionale, a maggior ragione sarà legittimato a fregarsene di codici e codicilli il comandato, cioè il cittadino comune. Marino non è d’accordo con noi? Ma così ci discrimina, non vi pare?

Il sindaco di Roma parla di diritti civili e noi di disobbedienza civile. Se l’aggettivo “civile” magicamente serve per nobilitare ogni illecito, usiamolo anche noi, ma non a nostro vantaggio bensì a vantaggio della famiglia. È questa una proposta intollerante, poco democratica? Meglio essere poco o per nulla democratici che molto democretini.