Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Callisto I a cura di Ermes Dovico
L'ANALISI

Dopo le Regionali Renzi comincia a tremare

Ufficialmente canta vittoria, ma le percentuali storiche di astensione alle Regionali di domenica scorsa suonano come un campanello d’allarme per Matteo Renzi. Con Forza Italia a pezzi, il Patto del Nazareno scricchiola e le tensioni sociali non danno tregua.

Politica 25_11_2014
Matteo Renzi

Ufficialmente canta vittoria, ma le percentuali storiche di astensione alle Regionali di domenica scorsa suonano come un campanello d’allarme per Matteo Renzi. Si può minimizzare finché si vuole il responso delle urne, ma due aventi diritto su tre in Emilia Romagna non sono andati a votare. La “benedizione” del premier all’ex bersaniano Stefano Bonaccini non è servita per galvanizzare la base dem, che ha disertato i seggi con proporzioni numeriche inimmaginabili. 

Lo scandalo dei rimborsi dei gruppi ha sicuramente inciso sulla disaffezione dell’elettorato, così come il boicottaggio da parte dei sindacati e il crollo degli iscritti al Pd. Il calo dell’8% rispetto alle europee (700.000 voti in meno) rende la vittoria di quel partito meno entusiasmante e apre scenari di estenuante conflittualità interna. Le minoranze di Civati, di Fassina  e dei bersaniani hanno ripreso a rumoreggiare e fanno notare con accenti diversi come l’idillio tra Renzi e gli italiani si sia già ridimensionato, anche a causa della sua linea “poco di sinistra”.

Il voto in Emilia Romagna e in Calabria sembra poter mettere in crisi il Patto del Nazareno e ridare fiato alle trombe dei dissensi all’interno delle principali forze politiche. Saranno dunque inevitabili ripercussioni nazionali, al di là di quanto asseriscono i leader.

Il test regionale ha prodotto una serie di effetti innegabili sullo scenario generale. Anzitutto la fuga dalle urne, che ha penalizzato tutti i partiti tranne la Lega. Quest’ultima, nel centrodestra, appare la forza egemone. Nella rossa Emilia, il partito di Salvini sfiora il 20%, doppia Forza Italia ed esprime il candidato presidente, che raccoglie circa il 30% dei consensi. Un risultato ragguardevole costruito in breve tempo, considerata la scarsissima visibilità di Alan Fabbri, del Carroccio.

Ma la debacle di Forza Italia apre la strada alla resa dei conti tra i fedelissimi berlusconiani e le truppe vicine a Fitto (Capezzone, Carfagna, Polverini e altri), sempre più a disagio verso l’appiattimento del partito sulle posizioni renziane. Il parlamentare europeo barese, che capeggia la fronda interna all’ex Cavaliere, chiede che vengano azzerati tutti gli incarichi di partito e che si apra un serio confronto interno per cercare di capire come siano potuti evaporare in pochi anni ben 7 dei 10 milioni di elettori che votarono per gli azzurri alle politiche del 2008.

La Lega ha quadruplicato i voti in Emilia Romagna e si prepara a scalare il centrodestra per imporre la leadership di Salvini, anche se questa prospettiva difficilmente troverebbe il consenso dei moderati che attualmente, in numero sempre minore, si ritrovano sotto le insegne di Forza Italia.

Il Nuovo Centrodestra in Calabria riporta un modesto risultato, così come in Emilia Romagna, dove annaspa; in entrambe le regioni ha deciso di correre da solo, alleato con gli altri cespugli centristi.

Stando alle indiscrezioni più accreditate, in Calabria molti ex esponenti del partito di Alfano avrebbero sostenuto subdolamente il vincitore Oliverio, che ha ottenuto la presidenza della Regione con oltre il 60% dei consensi. Nessun accordo, invece, tra i centristi e i forzisti, a riprova della profondità della frattura tra le due anime del centrodestra.

Altro dato che balza nitidamente all’occhio è il tonfo dei grillini, che perdono ben 8 punti percentuali in Emilia Romagna e 17 punti in Calabria. La parabola dell’ex comico sembra già nella sua fase discendente, anche perché la sua carica attrattiva sull’elettorato di protesta sembra affievolirsi soprattutto quando le elezioni non si svolgono su base nazionale e il carisma del capo incide meno. È il problema di tutti i partiti viziati da leaderismo, che non riescono a radicarsi sul territorio e a costruire una classe dirigente ramificata e ben organizzata.

Lo tsunami uscito dalle urne corrisponde a un’ulteriore delegittimazione della classe politica, è un altro trionfo dell’antipolitica e probabilmente inciderà sul percorso delle riforme nazionali, che potrebbero subire un ulteriore rallentamento. Il nuovo Italicum, nelle intenzioni di Renzi, dovrebbe essere approvato entro fine anno, ma Berlusconi troverà il modo di prendere tempo per strappare dalle armi di Palazzo Chigi l’arma del voto anticipato. E poi quel sistema elettorale varrebbe solo per la Camera e, ove si dovesse votare prima della riforma del Senato, non potrebbe essere applicato anche al rinnovo dell’assemblea di Palazzo Madama, con un’evidente schizofrenia nell’attribuzione dei seggi. Se a questo scenario estremamente incerto si sommano le aspre tensioni sociali (sciopero generale indetto da Cgil e Uil per il 12 dicembre e raffica di altre agitazioni di qui a Natale) e l’incombente prospettiva delle dimissioni di Napolitano con la conseguente necessità di trovare un’ampia convergenza sul nome di un sostituto di garanzia, ce n’è abbastanza per dire che Renzi non può certo dormire sonni tranquilli.