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DATI EUROSTAT

Demografia, l’Europa sarà sempre più marginale

Nel 2100 gli europei dell’UE a 28 Stati saranno solo il 4,5% della popolazione mondiale contro il 13,5% del 1960. Così le ultime proiezioni dell’Eurostat. Ai bassi tassi di fecondità si accompagna il progressivo invecchiamento, con conseguenze su lavoro, pensioni, sanità, ecc. Servono politiche serie per la natalità, pena un Vecchio Continente sempre più ai margini del mondo.

Attualità 07_04_2020

La struttura demografica dell'Unione Europea e il suo sviluppo hanno enormi conseguenze per i suoi cittadini in una serie di settori, tra cui: economia, mercato del lavoro, protezione sociale, ma anche equità intergenerazionale, assistenza sanitaria, pensioni, ambiente, cibo e nutrizione e persino futuri risultati elettorali. L'impatto è già notevole e determinerà anche il futuro ruolo dell'UE nel mondo. Dunque, la demografia segnerà sempre più il destino dell'intera Europa, piaccia o meno.
La crescita storica della popolazione nell’UE a 28 Paesi si sta ora stabilizzando. La popolazione dell'UE-28 è cresciuta da 406,7 milioni nel 1960 a 513,5 milioni nel 2019. Eppure, c’erano solo 5,075 milioni di nati vivi nel 2018 rispetto ai 7,60 milioni del 1961.
Le proiezioni di base dell’Eurostat suggeriscono che la popolazione dell’UE-28 sia destinata a crescere più lentamente che nell’Europa del passato, con un picco di 524,7 milioni nel 2040, prima di scendere a 504,5 milioni nel 2080.
Allo stesso tempo, secondo le Nazioni Unite, la popolazione mondiale è cresciuta molto più rapidamente, da poco più di 3 miliardi nel 1960, a quasi 7,7 miliardi nel 2019, e si prevede che aumenterà ulteriormente, passando da 10 miliardi nel 2057 a quasi 11 miliardi nel 2100.
Pertanto, nonostante la crescita demografica degli ultimi decenni, l'Europa sta avendo via via una proporzione sempre più ridotta della popolazione mondiale, in calo dal 13,5% del 1960 al 6,7% del 2019. Le previsioni ci dicono che saremo sempre più marginali e solo il 5,1% della popolazione mondiale sarà europeo nel 2057, solo il 4,5% nel 2100. Oltre ad essere marginali, saremo anche più vecchi. All'interno della popolazione dell'UE, il profilo di età ha subito enormi cambiamenti e si prevede che si evolverà ancora di più in futuro. L'Europa sta invecchiando drammaticamente, spinta da significativi aumenti dell'aspettativa di vita e tassi di natalità più bassi: l'età media nell'UE-28 è passata da 38,3 anni nel 2001 a 43,1 nel 2018: pari a 4,8 anni di aumento in soli 17 anni. Nel 2004 si sono registrati, per la prima volta in assoluto, tanti anziani (di età superiore ai 65 anni) quanti bambini (da 0 a 14 anni) nell'UE-28.
Pensate che questo non avrà conseguenze? La popolazione attiva dell'UE-28 (definita come di età compresa tra 15 e 64 anni) si è ridotta la prima volta nel 2010 e dovrebbe diminuire ogni anno fino al 2060. Ciò porterà ad una corrispondente riduzione di forza lavoro, produttività, imprese, economia, crescita e, alla fine, benessere.
Le politiche pubbliche e sociali che possano modificare i trend demografici sono ad oggi limitate e comunque richiedono tempo per poter produrre un impatto significativo. Per esempio, queste politiche devono includere forme di incoraggiamento alle persone ad avere più figli attraverso il sostegno alle famiglie, ma anche misure di incoraggiamento dei giovani di Paesi terzi con competenze a migrare verso l'UE. Più politiche per la natalità, più politiche famigliari e più discriminazione positiva verso i migranti, che dovrebbero essere giovani, preparati e disponibili ad integrarsi. A questi ritmi di invecchiamento europeo, nei prossimi anni avremo solo circa cinque persone in età lavorativa (15-64) per ogni quattro persone più vecchie o più giovani di questa fascia d'età. Questo sbilanciamento, come si legge nel rapporto dell’Eprs (European Parliamentary Research Service), avrà una serie di “implicazioni in una vasta gamma di settori, tra cui l'economia, il mercato del lavoro, l'assistenza sanitaria e le pensioni”.
Negli ultimi decenni, l'aspettativa di vita è aumentata continuamente nell’UE e nella maggior parte dei Paesi sviluppati: il fatto che questa tendenza continui non riguarda solo i singoli cittadini, ma anche i loro governi, visti gli impatti su una serie di politiche pubbliche, dal sistema di cura ai congedi parentali, dal servizio sanitario al turismo, eccetera. I tassi di fecondità sono invece in calo nell'UE-28 dalla metà degli anni Sessanta. L'UE-28, nel complesso, ha avuto un tasso di fecondità totale superiore a 2,1 nati vivi per donna fino alla metà degli anni Settanta, scendendo al di sotto di questo livello nel 1975. I tassi hanno continuato a diminuire ulteriormente, toccando il fondo a 1,44 nel 1998 e 1999, poi fino alla metà degli anni 2000 si è notata una modesta ripresa, raggiungendo quota 1,5 nel 2005 prima di salire 1,61 nel 2010, per ridiscendere a 1,59 nel 2017 (vedi qui).
Anche i tassi di fecondità nel mondo sono andati nel complesso declinando, ma rimangono comunque a 2,43. Con il calo del numero di bambini nati nell'UE-28, crescono di importanza sia le politiche pro natalità e pro famiglia, sia le politiche migratorie.
Bassi tassi di fecondità rispetto ai periodi passati non significano solo una crescita della popolazione più lenta (o assente), ma influiscono anche sul profilo di età media dell'UE-28. Insieme all'aumento dell'aspettativa di vita, questi ultimi cali nei tassi di fecondità sono all’origine dell’invecchiamento della popolazione dell'UE. La fine dell'Europa, ben al di là dell'impatto tragico del Coronavirus, appare segnata, a meno che proprio la crisi drammatica che stiamo tutti vivendo faccia rinsavire ciascun singolo governo e l'intera Europa e li spronino ad intervenire con determinazione e urgenza massima per promuovere natalità e politiche famigliari.
Mentre Trump e molti Stati americani vietano l'aborto, dichiarandolo servizio sanitario non essenziale, molti Paesi del mondo e diversi europei - Italia, Francia, Olanda, Portogallo, Regno Unito, Spagna e tutti gli scandinavi inclusi - continuano a favorire la morte dei concepiti pur in presenza della devastante crisi epidemica in corso. Questa è la più evidente mancanza di buonsenso europeo (vedi anche qui). Non c'è da consolarsi del fatto che l'Onu, dopo aver dichiarato “in pericolo il genere umano”, abbia deciso di promuovere anche finanziariamente “il servizio essenziale” dell'aborto.
Immaginiamoci tra dieci anni il silenzio delle nostre città e campagne: aria pura, uccellini cinguettanti, persino il ritorno delle lucciole... non un crocchio di marmocchi all'angolo che combatte fantastiche battaglie, non quel gruppetto d'amici che tira il calcio al pallone. Aria pulita, bene, ma in un silenzio mortale… a questo si avvia l'Europa, accecata dagli egoismi nazionali e dall'ubriacatura “verde”.