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USA

Dazi di Trump in sospeso. In attesa di sentenza, è scontro fra poteri

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Tutti col fiato sospeso: i dazi di Trump sono legali e verranno applicati o no? Il Tribunale del Commercio Internazionale blocca il presidente, ma la Corte d'Appello Federale blocca la sentenza in attesa del processo d'appello. Forte conflitto di poteri.

Esteri 30_05_2025
Container in sospeso (La Presse)

Negli Usa, giusto per aumentare il livello di caos per chiunque voglia fare import-export, è in corso una dura battaglia legale sui dazi imposti da Trump nel “Giorno della liberazione”, il 2 aprile scorso. Una corte federale che giudica in materia di diritto commerciale, la Corte del Commercio Internazionale di New York, ha bocciato i dazi. Nella sentenza si afferma che il presidente degli Usa non avesse il potere di imporli, è una materia che spetta al Congresso. La Casa Bianca ha subito fatto ricorso e la Corte d’Appello federale ha sospeso la sentenza della Corte del Commercio Internazionale, fino al raggiungimento della sentenza. Trump è pronto a portare il caso fino alla Corte Suprema.

Per introdurre i dazi, sia i primi contro Messico e Canada, sia quelli del “giorno della liberazione” contro quasi tutto il resto del mondo, Trump è ricorso ad una legge, l’Emergency Economic Powers Act (Ieepa) del 1977, che permette al presidente di agire con urgenza in materia di commercio internazionale, anche senza passare dal Congresso. Mercoledì 28 maggio, la Corte del Commercio Internazionale degli Stati Uniti si è schierata con 12 Stati e una manciata di piccoli imprenditori, stabilendo che Trump non aveva l'autorità di imporre dazi così estesi. Questi Stati, tutti con procuratori generali democratici, hanno lamentato un aumento sensibile dei prezzi causato dai dazi. Nella loro denuncia del mese scorso, Stati come l’Oregon, l’Arizona e il Colorado hanno snocciolato un elenco di beni importati che, secondo loro, sono diventati più costosi.

In una causa separata, dinanzi alla stessa Corte, le piccole imprese, tra cui un importatore di vino di New York, un marchio di abbigliamento per ciclisti del Vermont e un rivenditore di attrezzatura da pesca della Pennsylvania, hanno sostenuto che i dazi minacciano le loro attività perché importano beni e materiali fondamentali.

Il tribunale di New York ha dato loro ragione, non nel merito ma nel metodo. «La corte non si pronuncia sulla saggezza o sulla probabile efficacia dell'uso dei dazi da parte del presidente come leva negoziale - ha scritto il collegio di tre giudici (di cui uno nominato dalla prima amministrazione Trump) - Tale uso è inammissibile non perché sia imprudente o inefficace, ma perché la legge non lo consente».

Giovedì 29 (ieri, per chi legge) un altro giudice di Washington si è unito alla Corte del Commercio Internazionale nel ritenere illegali i dazi di Trump. Il giudice Rudolph Contreras ha affermato: «Nei cinque decenni trascorsi dall’entrata in vigore dello Ieepa, nessun presidente fino ad ora ha mai invocato la legge (...) per imporre dazi». Contreras sta agendo a seguito di una causa avviata da altre due piccole aziende, produttori di giocattoli che importano dalla Cina.

Sempre giovedì mattina, il Dipartimento di Giustizia aveva chiesto alla Corte d'Appello Federale degli Stati Uniti di congelare la sentenza emessa mercoledì dalla Corte del Commercio Internazionale in attesa dell'esito del ricorso. E la Corte d’Appello ha dato ragione alla Casa Bianca, sospendendo gli effetti della sentenza fino alla conclusione di un processo d’appello. Il Dipartimento di Giustizia potrebbe, per accelerare i tempi, rivolgersi direttamente alla Corte Suprema.

Chiaramente gli imprenditori che commerciano con gli Usa e i governi che stanno negoziando i nuovi accordi con Trump (a partire dall’Ue) restano in sospeso. Ma il potere negoziale di Trump è ora minato dalla stessa esistenza di una battaglia legale sui dazi. Mentre i suoi partner commerciale, in Asia e in Europa, si possono sentire già più avvantaggiati. La battaglia fra potere esecutivo e potere giudiziario, dunque, ha già provocato un effetto politico. Lo fa notare la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, che denuncia: «… una tendenza preoccupante e pericolosa che vede giudici non eletti inserirsi nel processo decisionale presidenziale. L’America non può funzionare se il presidente Trump, o qualsiasi altro presidente, per quella materia, vede le sue delicate negoziazioni diplomatiche o commerciali ostacolate da giudici attivisti».

La sentenza del 28 maggio, infatti, si aggiunge ad una ormai lunga lista di pronunciamenti di giudici che bloccano le azioni dell’amministrazione Trump su tutti i fronti: sull’immigrazione, sulle università, sulla nuova politica nei confronti degli studi legali, i giudici stanno legando le mani al presidente.

Questo ultimo caso, però, implica anche altri due conflitti fra poteri. Uno è quello fra gli Stati e il Governo federale. Solitamente erano i Repubblicani a difendere il diritto degli Stati contro la tendenza centralizzatrice delle amministrazioni democratiche. Oggi le parti si invertono e i 12 Stati (con procuratori generali democratici) che hanno fatto ricorso sono i capofila di una battaglia “verticale”, in difesa degli interessi delle periferie contro il centro. L’altro conflitto, per ora, è solo potenziale: quello fra il Congresso e il Governo federale. Infatti la Corte del Commercio Internazionale ritiene che il presidente non abbia l’autorità di emettere dazi, autorità che spetterebbe invece al Congresso. Trump vuole evitare un voto parlamentare, per avere il pieno controllo sulla vicenda e mani libere nel negoziato con i partner commerciali in Asia e in Europa. Non sono molti i membri del Congresso, a parte Rand Paul nel Partito Repubblicano, che denunciano l’abuso dell’esecutivo ai danni del legislativo. Ma se anche la Corte Suprema dovesse confermare la sentenza, abolendo i dazi, volente o nolente il Congresso tornerebbe al centro della scena.