Dalla Palma, prepararsi all'addio provando a truccare la vita
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La "confessione" del make up artist Diego Dalla Palma: l'eutanasia, gli eccessi erotici, la solitudine e la ferita profonda che nel suo segreto lo attraversa. Perché la vita non si può truccare.
La morte ti fa bello. Parrebbe questo l’intento del 75enne Diego Dalla Palma – famoso make-up artist, ossia più piattamente: truccatore – quando, intervistato dal Corriere, parla della sua morte, voluttuosamente ricercata anzitempo grazie ad un cocktail di farmaci. L’ultimo drink prima che il locale chiuda.
Dalla Palma non è nuovo a questi annunci funebri, ma questa volta, a suo dire, fa sul serio, tanto che ha ingaggiato un avvocato, un notaio e un medico. «Non voglio assolutamente affrontare il numero 80 — dichiara l’azzimato truccatore della moda —Non voglio! Ho conosciuto la malinconia e il dolore, mai la tristezza. Oggi sono leggero, quasi felice. Beato. E senza paura. Ho deciso». Come è artatamente decadente tutto questo. Una posa nata dal connubio di un Oscar Wilde de’ noiantri e di un D’Annunzio da bigino, rimanendo nella cornice glitterata del pop.
Il "Nostro" nutre un cavalleresco disinteresse per la vita (cit. James Bond), un esacerbato rifiuto per la prosaicità della vita fatta, come racconta il futuro de cuius, di posture malferme e di doppi cambi di mutande al giorno. Il suo senso alto, apollineo ed estetizzante della vita viene turbato dall’ingravescenza della senilità tanto da domandarsi: «È vita?». Ecco allora la scelta aristocratica di prendere congedo sdegnoso verso un’esistenza degradata che non corrisponde più ai suoi eccelsi canoni di grazia ed eleganza.
E così licenzia la vita, come si fa con un dipendente non più adeguato ai suoi compiti. Ma prima, ci confida, ha già vissuto una esperienza di pre-morte: la morte dei social, perché è lì che i contemporanei vivono veramente. Se non sei social, non esisti. «Esco dai social – ci rivela tragico – Ho preparato cinque post per annunciare l’addio». Il post, il succedaneo del biglietto d’addio dei suicidi adatto al suicidio social.
Invitto e magnanimo - «Ho già perdonato tutti» - onorerà con la sua assenza la propria dignità personale, fatta per non scendere a compromessi con lo squallore che ogni decadimento fisico e cognitivo porta con sé. Prima che gli anni lo possano umiliare, egli non sarà più fra noi. La dipartita si colorerà di toni struggenti e malinconici, quasi un Addio monti di manzoniana memoria: «Sarò da solo, in un luogo del cuore, all’estero. […] Ho architettato una situazione non teatrale, non plateale: riservata, tranquilla». È l’eroe romantico solo contro il destino avverso: «io, qui, non ho più né fidanzati, né fratelli, né figli». L’uscita di scena non sarà teatrale, ma la chiacchierata con il Corsera lo è eccome.
L’intervista non è solo l’occasione per lanciare il suo ultimo libro – perché anche agli aspiranti suicidi i soldi non puzzano – ma è anche l’occasione per ripercorrere le tappe della sua esistenza che – è ciò che si evince dal testo letterale dell’intervista – quasi si riduce ad una inesausta maratona erotica. E così veniamo a sapere – noi che volevamo rimaner digiuni da certi pettegolezzi narcisi – che la sua prima volta fu con una certa Giuseppina. Ma, quasi a scusarsi di tanta eterosessualità, ansioso subito aggiunge: «In realtà, però, sentii subito forte il richiamo della figura maschile». Richiamo che lo portò da adolescente tra le braccia di un ragazzo e poi del fratello di lui. Il "nostro" si appresta a morire, ma trepida nel dare prova di aver vissuto da autentico Epicuro: «L'ho fatto ovunque: cabine telefoniche, bagni pubblici, parchi, cantieri dismessi, postriboli, cinema porno». Ma state tranquilli, nulla di pornografico, di triviale: «La mia sessualità è sempre stata accompagnata da una forte spiritualità». Ed è forse da accreditarsi a tanta spiritualità che Dalla Palma si ritrovò un giorno, come racconta, in un’orgia con 19 persone consumata in un abbaino a Venezia.
Dalla Palma, dunque, ci sussurra lievemente adieu. Parole di maniera che rivelano il tentativo di truccare la vita quando questa è troppo brutta da guardare in faccia. Un maquillage per coprire una sofferenza disperante, profonda a cui va tutta la nostra sincera comprensione cristiana. Nei cenni che Dalla Palma ha fatto del suo passato ci pare che occhieggiano almeno due attrici comuni e d’importanza cardinale delle biografie delle persone omosessuali: una madre il cui peso specifico è assai rilevante e l’autocommiserazione. La prima è definita, tra le altre caratteristiche, come autoritaria. Egli ne conserva ancora i capelli di quando era giovane nel portafogli: reliquia da venerare come se fosse una dea. Lei è stata la prima a cui ha confidato la propria omosessualità. Una madre che, forse, ha fatto ombra al padre, alla figura maschile della famiglia?
La seconda attrice è l’autocommiserazione, il senso di profonda inadeguatezza rispetto al mondo maschile che pare essere la filigrana dell’intervista al Corsera. Nel portafoglio, oltre alle ciocche della madre, conserva una foto. Significativo il suo commento: «Una foto che mi ritrae da bambino, dopo la malattia, con i pugnetti chiusi, dietro a due ragazzini ricchi che venivano in vacanza sulle montagne, che neanche mi guardavano. In quello scatto c’è tutto quello che ero e che sarei diventato».
Forse che Dalla Palma è ancora quel bambino malato bisognoso di amore, di stima, di essere confermato nel suo valore come persona? Ancora oggi a distanza di anni – aspetto molto rilevante – sente il bisogno di rivelare che era stato malato e che quei due ragazzi non lo consideravano (così come forse quei conduttori dai quali non vuole più andare?). E lui in quella foto non è in primo piano. Viene dopo. E poi: i due ragazzini sono ricchi, lui no. I due ragazzini si abbracciano. Lui è escluso da quell’abbraccio. Tutto ci parla di una ferita profonda nell’autostima. Eppure ha conservato quella foto tra le decine che sicuramente possiede perché la considera la perfetta sintesi della sua vita. Ed ha ragione. Ha purtroppo ragione.

