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PRISMA

Crisi, positiva risposta dell'Italia

Le decisioni annunciate dal governo italiano vanno nella giusta direzione, ma ci sono due incognite: l'inefficienza dell'amministrazione e le decisioni sui tagli.

Prisma 08_08_2011
Con l’annuncio, giunto mentre in Europa era notte, che l’agenzia americana di classificazione (rating) Standard & Poors non mette più i titoli di Stato degli Usa al primo posto in quanto a solidità e solvibilità, si è aperta per così dire ufficialmente la grande crisi finanziaria internazionale che già serpeggiava da alcune settimane.
 
Con le decisioni che ha comunicato nel corso della conferenza stampa convocata ieri nel tardo pomeriggio, Berlusconi ha però senza dubbio segnato un grosso punto a favore sia per il nostro Paese che per l’intera Eurolandia, ovvero per l’insieme degli Stati la cui moneta è l’Euro. Dopo un giro di consultazioni con i capi di governo dei maggiori tra di essi  ha infatti saputo precedere tale notizia ormai imminente con il varo di un “pacchetto” di misure finalmente coraggiose sia per i contenuti che per il metodo.

Salvo ripensamenti cui ci auguriamo di non dover assistere non è infatti in programma al riguardo alcuna “concertazione” di sostanza con quel blocco di corporazioni (Confindustria, Associazione Bancaria e sindacati storici) che qualche giorno fa, con un pronunciamento di sapore paleo-latinoamericano, avevano in pratica cercato di squalificare non solo il governo ma la sfera della politica in generale tentando di opporre ad essi un pericoloso e oscuro disegno tecnocratico.

Il carattere molto schizofrenico della crisi in atto non consente al momento di poter dire quanto questi provvedimenti saranno efficaci, ma di certo non saranno irrilevanti né alla scala italiana né alla scala di Eurolandia e dell’Unione Europea. Situandosi infatti nel quadro di un accordo con la Germania difendono non soltanto la nostra economia, ma attraverso di essa quella dell’intera Unione e quindi l’Euro.

Come ha precisato il ministro Tremonti, che affiancava Berlusconi nella conferenza stampa in questione, si tratta in sostanza di alcune grandi decisioni, attinenti sia al mondo delle istituzioni e sia al mondo dell’economia: quelle che attengono al mondo delle istituzioni, su cui qui ci soffermiamo in particolare, sono l’anticipo dal 2014 al 2013 della scadenza entro la quale il governo si impegna a giungere al pareggio di bilancio (ovvero un piano di riduzione della spesa pubblica molto più rapido di quanto in precedenza fosse stato previsto), e la modifica dell’art. 41 della Costituzione, uno dei più “sovietici” della nostra carta fondamentale, in forme che rendano possibile un’ampia liberalizzazione dell’attività economica.


Se tanto il contenuto quanto il metodo del “pacchetto” annunciato ieri meritano apprezzamento e  tutto il possibile sostegno, non mancano tuttavia  le incognite. La prima riguarda la capacità del governo di attuarlo in modo rapido ed efficace con l’amministrazione statale sgangherata, costosa e inefficiente che ci ritroviamo ad avere. Il timore di perdere troppi voti a Roma ha fatto sì che questo governo, come peraltro tutti quelli che l’hanno preceduto, non abbia neanche provato a porre mano alla vera prima riforma fondamentale di cui il nostro Paese ha bisogno, ovvero quella appunto dell’amministrazione statale che deve essere ridotta e riorganizzata radicalmente non meno di quanto radicalmente negli scorsi decenni si è ridotta e riorganizzata la grande industria manifatturiera del Nord. 

Quest’ultima ha dovuto farlo sotto la spinta perentoria del mercato. Nel caso della burocrazia ministeriale un’analoga spinta dovrebbe essere venuta dalla politica, ma sinora ciò è mancato. Come si fa allora ad arare il campo presto e bene se il trattore è guasto, i pezzi di ricambio non ci sono e l’aratro nessuno sa bene dove sia andato a finire?


La seconda incognita sono i criteri che guideranno la scelta dei tagli della spesa pubblica. Se saranno cioè orientati appunto all’efficienza della pubblica amministrazione e alla liberazione delle energie della società civile oppure se ancora una volta, come sin qui è accaduto, i ministri cederanno alle pressioni di privilegi di massa ingiustificabili (basti pensare al caso dei precari della scuola statale) che per essere di molti non sono perciò meno costosi e nefasti per il bene comune dei privilegi ingiustificabili di pochi.

E’ vero che si può ridurre la spesa pubblica senza tagli insostenibili alle prestazioni di solidarietà sociale, ma allora occorre dare davvero spazio al “no profit” da ogni punto di vista, compreso quello fiscale, senza puntare a mettere ad esempio sullo stesso piano, e sotto la medesima scure, tanto le esenzioni fiscali ingiustificate di settori produttivi quanto la tassazione delle famiglie, pretendendo che dei coniugi con figli a carico paghino come un “single” tutto palestra e vacanze alle isole Maldive o come una coppia di fatto così unita da ritenere di non doversi prendere il disturbo di dare la vita a dei piccoli estranei sconosciuti che potrebbero danneggiarne la felice intesa.