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il caso

Conflitto tra monache, in due ci rimettono il velo: il giallo di Ravello

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La ventilata soppressione di una delle più antiche presenze francescane femminili ha innescato un braccio di ferro che ha al centro i beni della comunità e ha coinvolto anche la Santa Sede, portando alla dimissione di due religiose. E il caso resta ancora aperto.

Ecclesia 15_02_2023

A Ravello, sulla costiera amalfitana, dal 1297 vi è una delle più antiche presenze francescane femminili nel monastero di Santa Chiara, al centro di un “caso” legato alla paventata soppressione.

Dopo un “braccio di ferro” fra le tre monache superstiti, la Federazione delle Clarisse Urbaniste e la Congregazione vaticana (ora Dicastero) per gli Istituti di Vita Consacrata, nel monastero è rimasta la più anziana, suor M. Cristina (97 anni), con nuove consorelle, mentre le altre due, suor Massimiliana e suor Anna, riluttanti agli ordini di trasferimento, sono state dimesse dallo stato religioso, cioè “smonacate”. La loro “resistenza” sarebbe stata motivata dal desiderio di donare il patrimonio del monastero al Papa prima di andar via. Ma perché resistere così ostinatamente se alla fine la soppressione non c’è stata?

«Il monastero per il momento continua e ci sono più suore di prima, tra cui una infermiera che si sta occupando della sorella più anziana», conferma una fonte vicina alla vicenda, che parla di «vari commissariamenti» susseguitisi nel corso degli anni per la mancanza di strutture necessarie alla vita religiosa. Numero esiguo, defezioni, nessuna badessa o superiora. «Un polverone sollevato ad hoc», secondo la nostra fonte, che considera infondato il timore di speculazioni sui beni del monastero («impensabile, un edificio del XIII secolo è soggetto a determinati vincoli». E comunque la soppressione «non sarebbe avvenuta finché c’era da sistemare una suora di 97 anni»). Le altre due avrebbero manifestato ostinazione verso i superiori, resistendo agli ordini di trasferimento, per cui smonacarle è stata «l’extrema ratio», tanto più che era anche stato chiesto loro in quale monastero volessero trasferirsi. Peregrina anche l’idea di donare al Papa il monastero in cui vivevano, ma che non era di loro proprietà («Come se io le donassi la fontana di Trevi», commenta la nostra fonte, pur menzionando la possibilità che le superstiti di un monastero soppresso dispongano dei beni, «ma loro non erano in condizioni essendo commissariate»). Effettivamente il monastero continua, ma – aggiunge – «non sappiamo fino a quando» e si ha l’impressione che la provvisorietà che trapela da vari «per ora» sia legata alla sopravvivenza della religiosa ultranovantenne.

A questo quadro, però, aggiunge ulteriori elementi un’altra voce: l’avvocato rotale Fabio Adernò che dal gennaio 2022 ha assistito le monache. Adernò premette che i monasteri sui iuris dipendono dalla Santa Sede e pertanto godono di una certa autonomia rispetto alle federazioni che, pur rafforzate dalla costituzione apostolica Vultum Dei Quaerere del 2015, non hanno una «giurisdizione vera e propria, ma una sorta di governo fraterno, di coordinamento e mutuo aiuto». Fraternità incrinata circa dieci anni fa, quando i problemi gestionali relativi a una piccola azienda agricola avviata dalle sorelle, hanno poi sollecitato l’attenzione delle superiore e l’invio di una visita volta anche a verificare se ci fossero le condizioni per mantenere la comunità, priva di badessa e ridotta a tre dopo alcune defezioni.

Qui entra in gioco la Congregazione vaticana che nel 2021 annuncia la soppressione del monastero di Ravello, a norma dell’art. 72 dell’istruzione Cor orans, la quale dispone che «i beni del monastero soppresso [...] seguono le monache superstiti». Queste decidono di donarli alla carità del Papa, ma «a dicembre 2021 la Congregazione nomina un commissario (p. Giorgio Silvestri)». È un commissariamento, specifica Adernò, «relativo alla gestione dei beni, non alla comunità religiosa che sarebbe comunque finita con la soppressione». A gennaio 2022 le monache ricorrono all’avvocato Adernò, che tenta di mettersi in contatto con le altre parti in causa. «Non ricevendo risposta mi sono presentato spontaneamente in Congregazione, parlando con un officiale». La conversazione, inizialmente cordiale, si arena su un punto: le monache devono innanzitutto trasferirsi. «Ma se vanno via prima, il monastero sarà estinto, non semplicemente soppresso», obietta l’avvocato messo alla porta dall’interlocutore.

Differenza non irrilevante: in caso di estinzione i beni passano direttamente «alla persona giuridica superiore rispettiva, cioè alla Federazione dei monasteri», (Cor Orans, art. 73). Inviano così «una supplica al Santo Padre, che tramite la segreteria di Stato ha risposto di aver accettato la donazione (23 giugno 2022)»; ma invece dell’atto giuridico necessario a perfezionarla, due settimane dopo a tutte e tre (compresa la più anziana) giunge un ordine di trasferimento, mediante altrettanti decreti della Congregazione datati 28 giugno, che l’avvocato propone di impugnare. Le monache rispondono che non vogliono ribellarsi, ma solo portare a termine la donazione (non avrebbero più titolo per farlo, altrimenti).

Ad agosto 2022 in una riunione in Vaticano tra le varie parti in causa emerge il principio che il soggetto abilitato a dialogare con l’Apsa (l’Amministrazione del Patrimonio della Santa Sede) sarà la comunità locale: «cioè le tre suore che dunque hanno più di una ragione per restare a Ravello finché non fosse completata la donazione». E invece a ottobre 2022 giunge la prima ammonizione canonica dalle badesse dei monasteri in cui avrebbero dovuto trasferirsi (compresa l'anziana suor Maria Cristina). Alle remonstratio canoniche delle tre viene risposto che se non si presenteranno saranno dimesse dall’istituto.

A novembre-dicembre 2022, Adernò si spende per proporre alle controparti «un tavolo di lavoro: lasciate che portino a termine la donazione al Papa e si trasferiranno. Questa è stata sempre la nostra posizione». Dopo una nuova lettera al Papa, il Sostituto risponde il 28 gennaio 2023 rassicurando suor Massimiliana e la comunità. Il 1° febbraio Adernò viene contattato dal commissario: suor Massimiliana e suor Anna devono lasciare non solo il monastero ma anche la vita religiosa. I decreti sono approvati dal Papa in forma specifica, e in quanto tali inoppugnabili. La consorella anziana resta con le nuove suore in arrivo. Dunque, tanto caos per un normale avvicendamento? «Se fosse stato così dall'inizio le monache non avrebbero sollevato tutto quel polverone per trasferire i beni al Santo Padre (e neanche ne avrebbero avuto facoltà, essendo riservata appunto alle “superstiti” in caso di soppressione)».

«Una situazione kafkiana», prosegue Adernò chiedendosi perché il Santo Padre dimetta dallo stato religioso due monache che un anno fa intendevano donargli dei beni. «La cosiddetta disobbedienza, causa formale per cui sono state dimesse a norma del can. 696 § 1, si è configurata perché hanno disobbedito ai superiori per tener fede all’impegno preso... con il Papa». La questione giuridica di questa donazione rimasta in sospeso passa quasi in secondo piano rispetto a due vocazioni che forse si potevano salvare, tanto più che all’origine non vi sono stati problemi dottrinali o storiacce di abusi – come quelle relative a chierici finora non laicizzati o sospesi dal ministero – ma “solo” divergenze di carattere gestionale-patrimoniale che però sono costate il velo a suor Anna e suor Massimiliana.