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DOTTRINA SOCIALE

Con Leone XIV ritorna finalmente la legge naturale

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Nel discorso ai parlamentari il Papa pone la legge naturale come punto di riferimento per legiferare anche sui temi etici, anche riguardanti la sfera intima personale. Una importante e necessaria ripresa del magistero della Chiesa dopo anni di oblìo.
- Il Papa alla scuola di San Tommaso, di Tommaso Scandroglio

Editoriali 23_06_2025

Finalmente si torna alla legge naturale. Leone XIV ne ha riparlato nel discorso ai Parlamentari in occasione del Giubileo dei Governanti (vedi qui) del 21 giugno scorso. Diciamo “si torna” perché il principio della legge naturale era stato recentemente piuttosto trascurato dal magistero, mentre da tempo è addirittura abbandonato o trasformato dalla teologia prevalente. Siamo tutti interessati a vedere come il Papa svilupperà il richiamo al suo lontano predecessore, da cui ha preso il nome, alla sua enciclica Rerum novarum e, più in generale, alla Dottrina sociale della Chiesa. Nei suoi discorsi di questo primo mese di pontificato ce ne ha dato già alcuni esempi che la Bussola è stata sollecita a segnalare. Ciò è accaduto, per esempio, quando ha ricordato il dovere della formazione alla Dottrina sociale e ad intendere quest’ultima come finalizzata alla evangelizzazione (qui). Ora è il caso della legge naturale.

Nel discorso sopra ricordato, Leone XIV ha parlato della «legge naturale, non scritta da mani d’uomo, ma riconosciuta come valida universalmente e in ogni tempo, che trova nella stessa natura la sua forma più plausibile e convincente». Ha quindi citato un autore precristiano, Cicerone, il quale già aveva visto questa legge e l’aveva descritta con queste parole: «La legge naturale è la diritta ragione, conforme a natura, universale, costante ed eterna, la quale con i suoi ordini invita al dovere, con i suoi divieti distoglie dal male […]. A questa legge non è lecito fare alcuna modifica né sottrarre qualche parte, né è possibile abolirla del tutto; né per mezzo del Senato o del popolo possiamo affrancarci da essa né occorre cercarne il chiosatore o l’interprete. E non vi sarà una legge a Roma, una ad Atene, una ora, una in seguito; ma una sola legge eterna e immutabile governerà tutti i popoli in tutti i tempi» (Cicerone, De re publica, III, 22).

«La legge naturale – ha continuato il Papa -, universalmente valida al di là e al di sopra di altre convinzioni di carattere più opinabile, costituisce la bussola con cui orientarsi nel legiferare e nell’agire, in particolare su delicate questioni etiche che oggi si pongono in maniera molto più cogente che in passato, toccando la sfera dell’intimità personale».

Non si tratta di cose nuove, ma, come si diceva, della ripresa di quanto sempre insegnato dal magistero della Chiesa. Se nuove sembrano queste osservazioni è perché da tempo non le udiamo più pronunciare

Gli uomini hanno una comune conoscenza di alcuni principi morali fondamentali che essi apprendono nel momento stesso in cui la loro intelligenza si apre alla realtà. Questa, infatti, intenziona il pensiero umano a cogliere un ordine naturale e finalistico fonte di doveri prima e di diritti poi. Che questa legge sia inscritta “nei nostri cuori” come spesso viene detto, non significa che sia un sentimento, essa infatti è una conoscenza frutto dell’intelligenza umana nel cogliere l’ordine delle cose. Che la legge si dica “naturale” significa due cose: la prima è che l’uomo la conosce per “connaturalità” ossia seguendo la sua natura intelligente; la seconda è che per lui è spontaneo ed immediato – quindi naturale in questo senso – conoscerla. Per questi motivi Leone XIV la considera «valida universalmente, plausibile e convincente». Tutti gli uomini ne condividono la grammatica in quanto espressione delle conoscenze del senso comune, quelle conoscenze che coincidono o derivano necessariamente dalla primissima apprensione della realtà da parte della nostra intelligenza.

Un punto merita attenzione. In teoria la legge naturale è patrimonio della coscienza di ogni uomo, ma in pratica essa si fonda su una visione delle capacità della ragione umana che solo la religio vera riesce a garantire. Infatti, molte religioni o non riconoscono nemmeno la possibilità di una legge naturale o la interpretano in modo da deformarla. Questo stabilisce una relazione particolare tra la dottrina della legge naturale e la religione cattolica (diciamo cattolica e non cristiana perché per i protestanti, per esempio, qualche problema c’è). In altre parole, dato che la natura umana in questa fase decaduta non possiede pienamente se stessa, la legge naturale ha bisogno di due sostegni: quello di una ragione capace di cogliere tutto il reale e quello di una religione che sostenga e purifichi nei momenti difficili questo impegno.

Qui incontriamo due aspetti particolari dell’intervento di Leone XIV. In primo luogo, a nostro avviso non è certo che la Dichiarazione dei diritti dell’uomo dell’ONU, che egli sembra identificare con la legge naturale, si avvalga della corretta concezione della ragione umana o non sia invece frutto anche dei riduzionismi dell’epoca moderna: una nuova visione di persona, un certo convenzionalismo di origine lockiana, incertezze sul concetto di “natura”, sostanziale laicità del quadro.

In secondo luogo, rileggiamo questo passo del discorso del Papa: «Per avere allora un punto di riferimento unitario nell’azione politica, piuttosto che escludere a priori, nei processi decisionali, la considerazione del trascendente, gioverà cercare, in esso, ciò che accomuna tutti». Egli aveva appena finito di parlare del dialogo interreligioso. È importante – decisivo, per certi aspetti – il rimando al trascendente perché la legge naturale rimanda all’indisponibile in quanto «non scritta da mani d’uomo» e l’ordine naturale di cui essa è espressione ci rimanda a Dio. Ma non ad un generico trascendente, ma solo al Dio vero ed unico, per usare le parole di papa Benedetto.

 



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