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COMUNISMO

Come la Cina rende le religioni organi di Stato

Il 3 e il 4 dicembre, il Partito Comunista Cinese ha tenuto a Pechino la “Conferenza nazionale sul lavoro riguardante gli affari religiosi”. L’ultima volta che una simile conferenza si era tenuta, nel 2016, era iniziata una più dura repressione nei confronti di tutte le confessioni religiose. Ora non ci si attende niente di meglio.

Libertà religiosa 11_12_2021
Pechino, Museo del Partito Comunista

Ancora brutte notizie per la libertà di religione in Cina. Non ci si deve fare ingannare dai toni trionfalistici della stampa di Pechino, che acclama una nuova era per lo sviluppo dei culti legali. L’annuncio dato da Xi Jinping, all’inizio del mese, è solo quello di un nuovo giro di vite. Il 3 e il 4 dicembre, il Partito Comunista Cinese ha tenuto a Pechino la “Conferenza nazionale sul lavoro riguardante gli affari religiosi”. L’ultima volta che una simile conferenza si era tenuta, nel 2016, era iniziata una più dura repressione nei confronti di tutte le confessioni religiose, incluse quelle ufficialmente riconosciute dallo Stato. La conferenza della settimana scorsa, alla luce delle dichiarazioni e dei commenti, non promette niente di meglio.

Xi Jinping, intervenendo nei lavori, presieduti dal premier Li Keqiang, ha prima di tutto sottolineato il “problema” della propaganda religiosa, del proselitismo, non controllato dalle autorità statali. Su Internet, a quanto sostiene il presidente cinese, ci sono ancora margini di libertà. Dunque, si ripropone di condurre un’azioe d sorveglianza molto più efficace e punizioni per i fedeli che usano i social network per fare proseliti, o per criticare la politica religiosa del governo.

Quanto al ruolo “positivo” delle religioni, il presidente auspica che le cinque religioni approvate dal governo (dunque anche l’Associazione Patriottica cattolica) sviluppino “una teoria religiosa del socialismo con caratteristiche cinesi”. Prima di tutto adottando l’ideologia ufficiale, marxista, del Partito, poi promuovendo valori patriottici in tutte le loro attività. Quanto all’ambito consentito della loro azione, Xi ritiene che debba limitarsi ai luoghi di culto, mentre “non devono interferire nella vita sociale”, soprattutto nell’educazione dei giovani, che spetta al Partito in via esclusiva.

Ma è l’aspetto repressivo-punitivo quello che pare interessare maggiormente ai vertici del Partito, perché nella Conferenza si è soprattutto sottolineato il compito delle burocrazie che hanno a che fare con le religioni e che potrebbero essere tentate di agire al di fuori dei canoni del marxismo. Per questo, si sottolinea, “È necessario coltivare un gruppo di quadri del Partito e del governo che siano ben preparati nella teoria marxista delle religioni, a conoscenza delle pratiche religiose e in grado di lavorare bene con fedeli religiosi, facendo studiare loro il punto di vista marxista delle religioni, i lavori sulle teorie e le politiche religiose del Partito Comunista e la conoscenza delle religioni”. Il marxismo, lungi dall’essere superato dal “modello cinese”, ne è ancora il cuore. E a questo proposito, Xi ha anche svelato l’arcano quando ha spiegato che per “sinizzazione” delle religioni (l’obiettivo fissato nel 2015 e sempre perseguito da allora) non si intende semplicemente l’infusione di valori e tradizioni cinesi in tutte le pratiche religiose, ma solo il controllo del Partito Comunista Cinese su tutte le religioni.

La stampa ufficiale di Pechino esulta: “Gli esperti lodano la scelta di questa politica, che è l’unico modo corretto per i gruppi religiosi per svilupparsi e integrarsi nella società cinese, specialmente nel momento in cui la situazione delle religioni nel mondo sta diventando più complessa”, si legge sul Global Times. L’articolo è corredato anche da una foto di un uiguro musulmano che danza felice (uno ancora vivo).

Nell’articolo non compare alcuna difficoltà, ma si sostiene, citando Xi Jinping, che degli “sforzi sono necessari per meglio allineare e guidare i fedeli religiosi affinché lavorino assieme alla società per rendere la Cina un grande Paese socialista moderno da tutti i punti di vista e per realizzare il Sogno Cinese di un rinnovamento nazionale”. Un esperto citato, Zhuo Xinping, ex direttore dell’Istituto delle religioni del mondo dell’Accademia cinese delle Scienze Sociale, ritiene che “Sviluppare la religione nel contesto cinese può aiutare le religioni e i fedeli a giocare un ruolo positivo nella costruzione della società”. Poi rimpalla le accuse: “Negli ultimi anni, le politiche della Cina per indurre le religioni ad adattarsi alla società socialista sono state spesso travisate dai media occidentali come una ‘repressione della libertà di religione’. Ma Zhuo ritiene che questo atteggiamento rifletta un’egemonia culturale, tipica di chi cerca di imporre la sua ideologia religiosa sugli altri e dileggia le politiche religiose degli altri Paesi”. Poi ritiene anche che negli Usa le confessioni cattolica e protestanti siano “protette” e le altre religioni vengano invece represse. Cosa che fa capire quale scarsa dimestichezza abbiano gli “esperti” cinesi della libertà di religione occidentale.

Non si fa illusioni Li Qiang, su Asia News: “Il controllo democratico sulla religione non è altro che l’inasprimento della repressione religiosa da parte del regime del Partito comunista cinese (Pcc)”. Solo per citare i casi più recenti di repressione nei confronti della sola Chiesa Cattolica, nonostante siano stati rinnovati gli accordi con il Vaticano nel 2020: il vescovo Shao Zhumin è stato di nuovo arrestato e poi rilasciato, Jia Zhiguo è stato posto agli arresti domiciliari, monsignor Guo Xijin è teoricamente libero, ma luce e gas della sua abitazione gli sono state tagliate come forma di pressione, monsignor Zhang Weizhou è sottoposto a sessioni politiche di rieducazione. Sono solo alcuni esempi di come il regime intende “allineare e guidare i fedeli religiosi affinché lavorino assieme alla società per rendere la Cina un grande Paese socialista”.