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Centrosinistra senz’anima: insegue il potere senza programmi

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In vista delle prossime elezioni regionali Pd e Cinque stelle litigano esclusivamente sui posti di potere senza accennare ad un programma. Una sinistra afona, senza visione, prigioniera dei propri leader e delle proprie faide.

Politica 04_09_2025

Nel centrosinistra italiano, alla vigilia delle elezioni regionali d’autunno, domina una nebbia fitta fatta di personalismi, liti intestine, candidature incerte, alleanze traballanti e assenza pressoché totale di contenuti. È una scena che si ripete in tutte le regioni, con una costante deprimente: i programmi per il governo dei territori non esistono, non se ne parla, non interessano. I leader del Partito Democratico, dei Cinque Stelle e di quel che resta della galassia progressista sembrano concentrati solo su chi deve candidarsi e con quale sigla, mentre il merito, le idee, le proposte per cambiare la sanità, rilanciare il lavoro, migliorare i trasporti o affrontare le crisi ambientali vengono sistematicamente ignorate.

Nessuno dice ai cittadini perché dovrebbero votare a sinistra o a destra: le coalizioni si presentano senza una visione, senza una strategia, senza una piattaforma politica chiara. L’unico linguaggio parlato è quello delle correnti, delle gelosie personali, delle vendette incrociate e degli accordi sottobanco. Emblematico, in questo senso, il caso della Puglia: il governatore uscente Michele Emiliano, dopo anni di potere assoluto e di gestione bulimica del consenso, ha annunciato il suo ritiro dalla corsa, salvo poi far filtrare l’ipotesi di un suo ritorno come assessore in una eventuale giunta guidata da Antonio Decaro, attuale sindaco di Bari, che però non ha ancora sciolto la riserva, stretto com’è tra mille veti incrociati e rancori personali.

Decaro, infatti, non sopporta Nicola Fratoianni e compagni, ma soprattutto non tollera la possibile candidatura di Niki Vendola, espressione di Alleanza Verdi-Sinistra, che però è formalmente libero di correre. Emiliano si defila per disciplina di partito, ma la sensazione è che voglia uscire dalla porta per poi rientrare dalla finestra, controllando il futuro esecutivo regionale dall’interno o dall’esterno. Tutto si decide nelle stanze chiuse, tra conti personali e spartizioni, mentre i cittadini sono chiamati ad assistere in silenzio.

La situazione è analoga in Calabria, dove per la poltrona di governatore correrà Pasquale Tridico, ex presidente dell’INPS, come figura spendibile per una candidatura progressista. Ma anche qui le acque sono agitate, con i Cinque Stelle divisi tra chi vuole marcare una discontinuità e chi invece è pronto ad allearsi con chiunque pur di avere un posto al tavolo. Eppure il voto è dietro l’angolo, ma di un programma serio per la Calabria – una delle regioni più fragili d’Italia – nessuno parla. Né di come combattere l’emigrazione sanitaria, né di come creare lavoro vero, né di come risanare la pubblica amministrazione. Tutto ruota intorno alle candidature, come se il nome da solo bastasse a risolvere i problemi di un territorio.

Nelle Marche, Matteo Ricci, ex sindaco di Pesaro, è alle prese con una situazione simile: anche lì, il campo largo è più una trincea che un’alleanza, i veti si rincorrono, i Cinque Stelle giocano a rimpiattino e l’unico dibattito reale è su chi può permettersi di intestarsi una possibile, e per ora lontana, vittoria.

In Toscana, Eugenio Giani – presidente uscente e nuovamente candidato – è stato digerito a fatica da Elly Schlein, che probabilmente avrebbe preferito una figura più “sua”. Nessuno, però, si interroga su cosa abbia davvero fatto Giani in questi anni, su quale sia la sua proposta per un secondo mandato, su come si possa rilanciare un modello di sviluppo sostenibile in una regione ancora attraversata da gravi problemi economici e sociali. Tutto si consuma all’interno del partito, in un dibattito autoreferenziale che esclude i cittadini.

Ma il caso più esplosivo resta la Campania, dove il governatore uscente Vincenzo De Luca – padrone assoluto del territorio – è pronto a vendere cara la pelle. L’ipotesi di una candidatura di Roberto Fico, ex presidente della Camera, è osteggiata proprio da De Luca, che lo considera inadatto ad amministrare perché “non ha mai amministrato nulla”. Un attacco diretto, brutale, che rende bene l’idea del clima avvelenato nel centrosinistra. Il Movimento 5 Stelle, in questo contesto, appare come un’ombra di sé stesso: ha rinunciato al vincolo del secondo mandato, ha accettato compromessi su tutto, e ora si prepara ad appoggiare candidati come Vendola in Puglia – già governatore in passato – o a chiudere un occhio sul sistema di potere deluchiano in Campania pur di ottenere qualche poltrona. L’identità originaria del Movimento, quella fatta di rinnovamento, di anticasta, di trasparenza, è completamente svanita. E intanto, mentre gli accordi saltano e i tavoli si moltiplicano, i temi veri spariscono. Nessuno parla di sanità, che è materia regionale e che potrebbe diventare uno dei cavalli di battaglia della sinistra. Nessuno propone soluzioni per migliorare il trasporto pubblico, per sostenere l’agricoltura, per contrastare il cambiamento climatico a livello locale. Nessuno dice nulla sui diritti sociali, sull’inclusione, sulla casa, sui servizi per i disabili, sugli asili nido, sul lavoro nei territori. La Schlein e i vertici del PD passano le giornate ad attaccare Giorgia Meloni a livello nazionale su temi importanti – dal salario minimo alla sanità – ma nelle campagne elettorali regionali tutto questo scompare. I candidati della sinistra non hanno un messaggio, un’idea, un piano. Solo facce, sigle, ripicche.

Il risultato è una sinistra afona, senza visione, prigioniera dei propri leader e delle proprie faide. Una sinistra che non propone nulla ma pretende fiducia. Una sinistra che ha abbandonato le sue storiche battaglie – il lavoro, i diritti, l’equità – per inseguire assetti e cariche. In questo scenario, non stupisce che l’astensione sia destinata a salire ancora. Perché mai un cittadino dovrebbe andare a votare se nessuno gli dice cosa vuole fare una volta eletto? Se gli unici argomenti sono i nomi, i bilanciamenti interni, le alleanze elettorali senza anima perché scomodarsi per recarsi alle urne? E vale anche per il centrodestra, che pure in alcune regioni si presenta compatto, ma che non brilla certo per visione programmatica. La vera sconfitta, però, è del centrosinistra, che dovrebbe incarnare una proposta alternativa, inclusiva, moderna, e invece si presenta in alcuni contesti territoriali con le stesse facce di vent’anni fa, senza una riga di programma, senza un’idea di futuro. In questo vuoto desolante, le regioni rischiano di diventare solo pedine in un risiko nazionale, senza alcun rispetto per le comunità, per le necessità dei territori, per la qualità della vita delle persone. Si vota, ma non si sceglie nulla. Non una visione, non una direzione, non una speranza. Solo il meno peggio, o nessuno.