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IL RAPPORTO

Censis: italiani tristi e rassegnati. È il sintomo dell'ateismo

Il 56° Rapporto Censis descrive il ripiegamento su sé stessi degli italiani, che per il 90% si dicono tristi per effetto di «pandemia, guerra e crisi ambientale». Malinconia, nichilismo e passività predominano – informa l’istituto – di fronte alla presa di coscienza dei propri limiti. Il fragilismo fotografato dal Censis ha una radice: la perdita della fede.

Attualità 06_12_2022

È uscito il 56° Rapporto Censis. In un comunicato stampa dell’istituto possiamo leggere che gli italiani hanno patito le “quattro crisi sovrapposte dell’ultimo triennio: la pandemia perdurante, la guerra cruenta alle porte dell’Europa, l’alta inflazione, la morsa energetica”. Da queste crisi è germinata poi e soprattutto la paura di una terza guerra mondiale, di una crisi economica e di nuovi virus.

E come rispondono i nostri compatrioti? Rimboccandosi le maniche? Marciando verso il nemico? Lanciando il cuore oltre l’ostacolo? No. Raggomitolandosi su sé stessi. Scrive il Censis: “Non si registrano fiammate conflittuali, intense mobilitazioni collettive attraverso scioperi, manifestazioni di piazza o cortei. […] Quella del 2022 non sembra però una Italia sull’orlo di una crisi di nervi, segnata da diffuse espressioni di rabbia e da gravi tensioni sociali. […] Si manifesta invece una ritrazione silenziosa dei cittadini perduti della Repubblica”. E più avanti con toni ancor più incisivi: “8 italiani su 10 affermano di non avere voglia di fare sacrifici per cambiare, diventare altro da sé. È l’astuzia operativa della soggettività che, nel flusso degli eventi inattesi degli ultimi anni, adesso esprime una inedita impermeabilità ai miti proiettivi, che può tracimare nell’esplicita rinuncia all’autopromozione individuale. Il bilancio? L’89,7% degli italiani dichiara che, pensando alla sequenza di pandemia, guerra e crisi ambientale, prova tristezza, e il 54,1% ha la forte tentazione di restare passivo. È la malinconia a definire oggi il carattere degli italiani, il sentimento proprio del nichilismo dei nostri tempi, corrispondente alla coscienza della fine del dominio onnipotente dell’«io» sugli eventi e sul mondo, un «io» che malinconicamente è costretto a confrontarsi con i propri limiti quando si tratta di governare il destino”.

L’homo italicus 2020-2022 è stato travolto da crisi mondiali e nazionali perché la sua casa non è stata fondata sulla roccia della fede. Il fragilismo imperante aspettava solo un refolo di vento per far crollare a terra il sig. Rossi e, addirittura, sono arrivati dei tornado.

Il Censis ci dice che l’italiano del 2022 è un uomo malinconico. E chi indugia nella malinconia – eccetto quella per Dio – è facile preda dei poteri forti, perché uomo passivo, ma ancor prima è facile preda di Satana, perché laddove si insinua la tristezza si fanno breccia contemporaneamente la sfiducia in primis verso la grazia di Dio e la ricerca di succedanei alla felicità che, spesso, presentano inevitabili aderenze con il peccato: lo stordimento tramite la droga, l’alcol e il sesso, i soldi facili, l’adeguamento alla legge della giungla.

Il Censis ci dice che queste quattro sberle che il sig. Rossi ha ricevuto negli ultimi anni gli hanno fatto aprire gli occhi sulla sua condizione di uomo pieno di limiti verso la storia e i suoi dolorosi spasmi. Il Censis lo afferma con certezza, noi solo lo speriamo, perché potrebbe essere l’occasione per volgere gli occhi al Cielo per chiedere aiuto, consci che è un inganno credersi padroni del mondo, del proprio destino, avendo rubato l’onnipotenza a Dio. E invece, così ci racconta il Rapporto Censis, eccolo lì l’italiano medio chiuso solipsisticamente al mondo, imbucato nella sua tana per scampare ad ansie senza volto però dalla pungente e affilata presenza, ansie che in quella stessa tana crescono a dismisura perché si nutrono del buio in cui si è ficcato. L’italiano post Covid e pre conflitto nucleare è dunque curvo sul suo ombelico perché centro di quel microcosmo in cui si è barricato per paura dei virus, della guerra, dei soldi e del lavoro che manca. Un italiano inerte, che procede nella vita per inerzia, forse a forza di nervi, perché la fede è morta, i grandi ideali pure e anche le ideologie. Di nichilismo parla apertamente il Censis: l’italiano come un tronco cavo e con le radici (culturali) tagliate il quale, essendo morto, non ha più sete, non ha più linfa, non ha più foglie.

Un uomo svuotato di sé e, ci informa sempre il Censis, asfissiato e sfiancato da paradigmi che ormai gli paiono estranei, lontani, lontanissimi dal suo vissuto che ormai striscia facendo lo slalom tra le esigenze primarie dell’esistenza, tutto concentrato ad accaparrarsi la nuda sopravvivenza biologica tra agenti patogeni e conti in banca in rosso: “Gli italiani non sono più disposti a fare sacrifici: l’83,2% per mettere in pratica le indicazioni di qualche influencer, l’81,5% per vestirsi secondo i canoni della moda, il 70,5% per acquistare prodotti di prestigio, il 63,5% per sembrare più giovani, il 58,7% per sentirsi più belli. E il 36,4% non è disposto a sacrificarsi per fare carriera nel lavoro e guadagnare di più”.

È un uomo rinsavito questo, ridestatosi dai miasmi mefitici delle vanità del mondo? Può essere, ma può essere anche il ritratto di un uomo stanco perché tutto ormai è fatica inutile, deluso e deludente, ripiegato in sé stesso, stufo di tutto e di tutti, che ha tirato i remi in barca, che non vuole spendersi perché non c’è più nulla per cui valga la pena soffrire, che, come scrisse una volta Thomas Wolfe, è stato battuto senza aver combattuto, stremato da slogan come “L’impossibile è niente”, “Volere è potere” e “Basta crederci”. Gli avete detto di non credere a Dio ma a sé stesso ed ora non crede a nulla. Parabola inevitabile dell’individualismo ateo. Ecco l’italiano modello 2022 ha detto solo “basta” e non “basta crederci”. Il Rapporto usa l’aggettivo “perduto”: non poteva che smarrirsi l’uomo contemporaneo, lontano dalla luce della verità di Cristo; non poteva che perdersi dietro ai diritti civili, al politicamente corretto, ai labirinti della teoria del gender, ai “Vaffa” dei politici, alle vite dorate e spesso drogate degli influencer, ai social che lo hanno sprofondato nella solitudine dei like.

Si sente sconfitto perché, diciamocelo, si è battuto per valori inesistenti, si è forse accorto di essere stato Don Chisciotte che combatteva contro i mulini a vento ed ora batte in ritirata con ritmo lento e misurato, in silenzio - “ritrazione silenziosa” scrive il Censis - senza fretta perché non più inseguito da nessuno. Il mondo lo ha masticato per bene e infine l’ha sputato. Ora chiede solo di rimanere al calduccio, nella sua comfort zone, lontano da guerre e da ospedali. Di essere lasciato in pace davanti a Netflix.