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CRISI DEGLI AEROPORTI

Caos aerei, viaggiatori a terra per la gioia dei verdi

Se in questi giorni estivi vi capita di perdere un viaggio perché il vostro aereo è cancellato, se all’aeroporto vi perdono i bagagli, se vi capita di partire con ore di ritardo, non siete i soli. Il fenomeno è mondiale. E la causa è anche politica: l'ambientalismo che si "vergogna" del viaggio aereo e che inizia a tradursi in politiche contro le compagnie.

Economia 20_07_2022 English Español
Voli cancellati

Se in questi giorni estivi vi capita di perdere un viaggio perché il vostro aereo è cancellato, se all’aeroporto vi perdono i bagagli, se vi capita di partire con ore di ritardo oppure di compiere un viaggio di nove o dieci volte più lungo del previsto, non siete i soli. E per una volta, non siete vittime dell’inefficienza solo italiana. In tutto il mondo, infatti, è in corso una grave crisi dei viaggi aerei.

Fra i maggiori aeroporti (al di fuori dell’Italia), il Toronto Pearson International registra il 52,9% delle partenze con ritardi oltre i 15 minuti, Francoforte il 46,4%, Parigi Charles De Gaulle il 42,8% e Londra Heathrow il 40,2%. Oltre ai ritardi è più forte il rischio di cancellazione. Il record, in questo caso, è detenuto dall’aeroporto di Newark (che serve l’area metropolitana di New York) con il 7,8% di voli cancellati. In questo periodo caldissimo, per chi vola per lavoro o per vacanza, l’alta temperatura non è dunque la maggior causa di sofferenza, perché ha una possibilità su due di partire in ritardo e nei casi peggiori quasi una su dieci di restare a terra. Anche se parte, corre più rischi di perdere il bagaglio: in confronto all’anno precedente, la percentuale di smarrimento è aumentata del 30% quest’estate. E per non parlare degli scioperi, frequenti, non solo in Italia, del personale a terra. Oltre al fatto che proteste come quella dei tassisti della settimana scorsa, in Italia, non permettono di raggiungere l’aeroporto (o di tornare a casa) per le persone che non sono automunite o non hanno mezzi pubblici a portata di mano. Un disastro, insomma, che rischia di compromettere la ripartenza del turismo dopo due anni di stop forzato per la pandemia.

Le cause di questa crisi del viaggio aereo sono sia naturali che politiche. Ma a ben vedere sono soprattutto politiche. La causa “naturale” è nel drastico taglio di personale durante i due anni di pandemia. Con gli aerei a terra e i passeggeri ridotti al minimo, le compagnie aeree hanno licenziato tantissimo, ma non riescono ad assumere di nuovo il personale necessario in tempo per sfruttare la buona stagione. A Heathrow, per esempio, è tornato fra l’80 e l’85% dei viaggiatori rispetto ai livelli pre-pandemici, ma il personale di terra delle compagnie è ancora ridotto al 70%. Il personale qualificato, neo-assunto, ha bisogno di mesi per essere formato. Per il personale di volo occorre ancora più addestramento e investimento da parte delle compagnie. La difficoltà a trovare o ritrovare il personale necessario è la dimostrazione che impiegati con anni di esperienza hanno trovato altri lavori, negli ultimi due anni in cui sono rimasti a terra. Oltre al fatto che, la comparsa di nuove varianti del virus e conseguenti nuove restrizioni imposte dai governi, hanno generato tante false partenze, costringendo le compagnie a rinviare piani di rilancio delle loro attività.

Veniamo però all’aspetto politico, che è la causa prima della crisi. I voli sono stati ridotti al minimo, non tanto per la paura della pandemia, ma per la chiusura delle frontiere internazionali, per il lockdown imposto dai governi di quasi tutto il mondo industrializzato. Gli aerei sono stati i più penalizzati, in rapporto alla sicurezza che potevano offrire (una circolazione dell’aria migliore rispetto a treni e mezzi pubblici di terra).  E sulle compagnie aeree tuttora si scatena un accanimento ideologico da parte dei partiti e movimenti ecologisti. La pandemia è stata vista come “occasione” per liberarsi del trasporto aereo, responsabile delle maggiori emissioni di CO2: il 2% del totale. Prima del Covid, Greta Thunberg aveva dato il suo esempio personale, recandosi a New York in barca a vela. In Svezia, nel 2018, era nato, ispirandosi al suo viaggio, il movimento Flygskam, che vuol dire letteralmente “vergogna del volo”.

Durante la pandemia, le emissioni di CO2 sono diminuite in modo sensibile, anche grazie al fatto che gli aerei sono rimasti a terra. Il mondo delle scienze naturali è stato il primo a sostenere un cambio di abitudini, permanente e non solo dettato dal virus. Articoli come Ripensare al modo di viaggiare nel mondo post-pandemico, pubblicato su Nature il 5 gennaio 2021, suggeriscono più teleconferenze e meno viaggi per chi deve organizzare o partecipare a incontri di lavoro. “Viaggiare meno” è sempre stato uno slogan dei verdi. I movimenti ambientalisti più radicali, come Extinction Rebellion, hanno chiesto ai governi di non concedere ristori alle compagnie aeree. E Paesi come la Francia li hanno concessi, ma solo in cambio di piani verificabili di riduzione drastica delle emissioni, come richiesto da altri movimenti ambientalisti più “moderati” come Greenpeace. In questi mesi, la crisi delle compagnie aeree è aggravata da una serie di cause ambientaliste. Il 6 luglio, ad esempio, tre associazioni olandesi hanno fatto causa alla Klm, rea di farsi pubblicità con quelle che gli ecologisti accusatori ritengono essere: “Affermazioni fuorvianti secondo le quali sta rendendo i voli sostenibili”. In neolingua, la Klm starebbe facendo “greenwashing”, cioè fingerebbe di essere sensibile all’ecologia. La politica è molto recettiva su questi temi e l’idea di imporre “tasse ecologiche” sui biglietti è tornata di moda negli anni della pandemia e sarà sempre più adottata dai Paesi occidentali firmatari degli accordi di Parigi, soprattutto in Francia. In Unione Europea, in generale, le compagnie aeree tornano ad essere nel mirino perché non riescono a rispettare le quote di emissione consentite e sono molto lontane dagli obiettivi di de-carbonizzazione.

Il mercato del trasporto aereo, dunque, è sempre più difficile per questa serie di iniziative politiche (e non economiche) ostili: movimenti ambientalisti che orientano le opinioni pubbliche, politiche ecologiste repressive, costi che aumentano artificialmente. Di conseguenza: investimenti scoraggiati, più difficoltà ad assumere nuovo personale qualificato, il tutto che si somma a due anni di crisi pandemica. La gente che affolla gli aeroporti, però, è la dimostrazione che nessuno ha veramente “ripensato al modo di viaggiare”. La gente comune vuole ancora andare da un punto all’altro del pianeta, velocemente e al minor costo possibile. E solo pochi e ricchi idealisti che bigiano la scuola (e lo chiamano “sciopero”) possono pensare di attraversare l’Atlantico in barca a vela.