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FINE VITA

Biotestamento, medici con le spalle al muro

La legge sulle Dat approvata il 14 dicembre non prevedendo l'obiezione di coscienza, obbliga i medici a praticare l'eutanasia. A meno di non disobbedire apertamente alla legge, come ha dichiarato che farà il superiore del Cottolengo. Quanti lo seguiranno?
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Vita e bioetica 17_12_2017

Con un colpo di reni in fine di legislatura il duo laicista nel panorama politico italiano ha partorito la legge sul fine vita. Siamo piacevolmente sorpresi che sul loro quotidiano i vescovi italiani abbiano assicurato di non riconoscersi in questa legge. Per mesi mentre noi sui media insieme ai politici del centrodestra sensibili combattevamo per fermare la legge Renzi-Grillo, ci eravamo sentiti un po’ soletti, stante il grande impegno per ius soli, ambiente, accoglienza, Rohingya, Lutero e un sacco di altre cose importantissime che hanno derubricato l’eutanasia a questione minore. Siccome è segno di maturità ecclesiale chiedere perdono, faccio anch’io atto di docilità domandando perdono per tutte le volte che ho distolto pastori e comunicatori dall’importante opera pastorale del saper vivere di Donna Letizia.

I risvolti tragici di questa legge sono tanti e tali che nella prossima legislatura sarà opera di carità mettere mano all’accetta per fare del provvedimento legna da ardere. Alcuni settori dei medici cattolici hanno invocato l’obiezione di coscienza. Bello, ma per farlo c’è un problemino non proprio secondario: l'obiezione di coscienza non è prevista dalla legge. La sezione milanese dei medici cattolici che ha commentato con favore l’approvazione finale del testo, non è preoccupata dalla lacuna; per bocca del suo presidente Alberto Cozzi ci viene fatto sapere che il medico «può disattendere le Dichiarazioni anticipate di trattamento Dat quando sono palesemente incongrue».

Già, ma incongrue rispetto a cosa il collega Cozzi non lo dice. Se una persona dovesse scrivere nelle DAT che in caso di arresto cardiaco con possibilità di danno neurologico permanente rifiuta la rianimazione cardiopolmonare, pur disapprovando totalmente tale scelta, non potrei individuare alcunché di incongruo con una determinazione eutanasica. Dunque la legge non mi lascerebbe altra strada che dare attuazione alle DAT e portare a compimento una procedura eutanasica omissiva. In modo analogo, se un altro paziente, dopo che ho instaurato un supporto nutrizionale, mi lasciasse scritto che in determinate situazioni rifiuta qualsiasi sostegno vitale, dovrei riconoscere la sua scelta congrua con una concezione dell’uomo funzionalista, per cui persa una determinata funzione non vi è più la persona: di conseguenza la legge mi obbliga ad interrompere il trattamento procurando così la morte al mio paziente sotto sua dettatura (eutanasia commissiva).

Se i colleghi dell’AMCI di Milano vorranno dimostrarmi dove sbaglio, e con me sbaglierebbero i colleghi Gandolfini, Boscia e Battimelli, ne sarò ben lieto. Già che ci sono sarei anche felice di ricevere il commento del direttivo AMCI ambrosiano sull’incremento di mortalità che la letteratura in maniera ormai evidente ha evidenziato; non proprio bazzecole, stante incrementi di rischio di exitus da 2 a 5 volte per chi redige le DAT e viene colpito da ictus, infarto, scompenso, trauma, sepsi, viene sottoposto a interventi di chirurgia generale o vascolare.

Se l’obiezione di coscienza in sanità è «il rifiuto da parte di un operatore sanitario di obbedire ad una legge che lo obbliga a mettersi a disposizione dell’autorità medica competente per l’esecuzione di un intervento in contrasto con la propria coscienza», secondo la definizione del teologo morale padre Giacomo Perico, riproposta dalla professoressa Maria Luisa di Pietro e coautori nel loro manuale dedicato al tema, allora è evidente che tale rifiuto, quando venisse sollevato, con questa legge non potrebbe godere di alcun riconoscimento da parte dell’ordinamento; esso si configurerebbe dunque come una violazione della legge e come tale sanzionato in ambito penale e civile.

Sarà interessante verificare quanto della fortezza dei martiri sarà sopravvissuto nella classe medica cattolica italiana. È vero che il codice deontologico garantisce al medico il diritto a «rifiutare la propria opera professionale quando vengano richieste prestazioni in contrasto con la propria coscienza», tuttavia persino un medico di campagna come il sottoscritto è a conoscenza di una gerarchia delle fonti del diritto per cui una fonte secondaria come il codice deontologico non può essere superiore ad una fonte primaria come una legge dello Stato.

Il neoeletto superiore generale del Cottolengo, don Carmine Arice ha comunicato che nelle loro strutture le DAT non verranno applicate. Nel riempirmi di ammirazione e di speranza, le sue parole sono espressione della consapevolezza della gravità della situazione creata dal cattolico Matteo Renzi; mi sembra doveroso citarle integralmente: «Noi non possiamo eseguire pratiche che vadano contro il Vangelo, pazienza se la possibilità dell’obiezione di coscienza non è prevista dalla legge: è andato sotto processo Marco Cappato che accompagna le persone a fare il suicidio assisitito, possiamo andarci anche noi che in un possibile conflitto tra la legge e il Vangelo siamo tenuti a scegliere il Vangelo». «Di fronte ad una richiesta di morte – ha poi aggiunto – la nostra struttura non può rispondere positivamente. Attualmente l’obiezione di coscienza non è prevista per le istituzioni sanitarie private, però io penso che in coscienza non possiamo rispondere positivamente ad una richiesta di morte: quindi ci asterremmo con tutte le conseguenze del caso».

Mi attendo di sentire parole analoghe dal Gemelli, dal Campus Biomedico, Dalla Casa Sollievo della Sofferenza e dall’intero mondo medico che dal Vangelo ha imparato che sulla via da Gerusalemme a Gerico l’uomo buono è il samaritano non i briganti, né il levita. Se ciò avverrà, allora saremo in presenza di qualcosa d’inedito e potenzialmente dirompente che ancora il manuale della professoressa Di Pietro identifica come “disobbedienza civile”. E sarebbe il mondo cattolico ad attuarla. Hoc opus, hic labor.