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EUROPA

Utero in affitto: così la piazza vince sulle lobby

Un solo chicco di riso può squilibrare la bilancia; un solo uomo può segnare la differenza fra la vittoria e la sconfitta. Non c’è aforisma più appropriato per dare contezza di quanto è accaduto nel Consiglio d’Europa, che, per un solo voto di scarto, ha bocciato il rapporto sulla regolamentazione della pratica dell’utero in affitto.

Editoriali 17_03_2016
Bloccata la risoluzione del Consiglio d'Europa sull'utero in affitto

Un solo chicco di riso può squilibrare la bilancia; un solo uomo può segnare la differenza fra la vittoria e la sconfitta. Non c’è aforisma più appropriato per dare contezza di quanto avvento martedì a Parigi presso la sede distaccata del Consiglio d’Europa, dove la Commissione Affari sociali dell’organismo continentale ha bocciato il rapporto sulla regolamentazione della pratica dell’utero in affitto grazie ad un solo voto di differenza. Sedici delegati di diversi Paesi e di diverse appartenenze politiche hanno votato contro il report della senatrice belga Petra De Sutter, a dispetto di 15 voti favorevoli.

Un risultato che molti commentatori hanno definito inaspettato, anche perché tutto l’iter della discussione presso il Consiglio dei 47 Paesi europei era macchiato da molti dubbi imparzialità, visto che la senatrice De Sutter aveva ottenuto l’incarico di redigere il rapporto sebbene fosse stata già oggetto di una mozione di sfiducia per conflitto d'interessi, dal momento che lei stessa è una ginecologa affermata che presso l’ospedale di Gand ha autorizzato la surrogata malgrado l’assenza di una legge nazionale belga. Sempre la De Sutter non ha mai fatto mistero di collaborare con una clinica indiana e con l'agenzia Seeds of Innocence specializzata nel mercato delle donne che offrono il proprio utero (ovviamente per necessità economiche).

Si può dire dunque che la longa manus delle lobby del commercio di vite umane è stata battuta sul filo di lana. Con un solo voto di differenza tutti i delegati diventano decisivi, ma particolarmente significativi risultano i voti del delegato dell’Ucraina, un Paese dove è fiorente il business della surrogacy, e delle due delegate italiane del Partito democratico, la deputata Eleonora Cimbro e la senatrice Maria Teresa Bertuzzi, le quali hanno votato in dissenso rispetto al gruppo del Partito socialista europeo di cui fa parte del Pd italiano. «Una posizione di rottura» l’ha definita la stessa Cimbro, giovane madre di quattro figli.  Maria Teresa Bertuzzi ha spiegato invece di aver condotto questa battaglia non solo per convinzione personale, ma anche per «onorare l'istituzione cui appartengo, il Senato italiano, dove la senatrice Anna Finocchiaro ha presentato una mozione per l'abolizione universale della maternità surrogata». «L'Italia non ritiene di dover legittimare in Europa una pratica che utilizza il corpo delle donne, violandone i diritti», ha aggiunto la senatrice dem. «Una convinzione che è emersa molto chiaramente nel nostro Paese anche durante il dibattito sull'approvazione delle unioni civili».

Le delegate italiane – probabilmente senza volerlo – con le loro dichiarazioni riconoscono quindi che l’Italia è stata determinante, perché un corpo sociale organico e organizzato, che si è espresso nel grande Family day del 30 gennaio, ha condizionato l’iter di approvazione del ddl  sulle unioni civili, facendo emergere tutti i rischi legati al controverso articolo 5 della legge che, de facto, legittimava la pratica dell’utero in affitto. La senatrice Finocchiaro presentò,  infatti, la sua mozione nei giorni più convulsi del confronto a palazzo Madama, quelli in cui la maggioranza di governo sembrava attraversata da spaccature insanabili. Allora la mozione sull'abolizione universale della maternità surrogata fu spacciata come solido contraltare che avrebbe messo al sicuro l’istituto stepchild adoption da eventuali derive tese alla diffusione della maternità surrogata.

Sappiamo tutti come è andata a finire, ma non c’è dubbio le piazze di Roma (e il tempismo di Niki Vendola) sono riuscite ad imporre nell’agenda politica il tema del turpe mercato della mamme e dei bambini su ordinazione. Non solo, l’utero in affitto è diventa una battaglia che ha visto allearsi mondi lontani. Ieri a Parigi davanti alla sede della Commissione, cattolici e femministe si sono ritrovati a manifestare per la stessa causa. Certo è vero che le seconde offrono una riflessione collettiva tutta incentrata sull’autodeterminazione della donna, senza quasi mai nemmeno sfiorare la questione dei diritti del nascituro ridotto a oggetto di compravendita. Tuttavia, i movimenti femministi iniziano ad interrogarsi sullo stesso concetto di autodeterminazione che non può rendere immune le donne dalle responsabilità civili nei confronti della società. Così come l’opinione pubblica inizia ad interrogarsi sulla disparità nei rapporti di forza tra chi può godere di questa libertà senza limiti e chi è in una posizione di sudditanza.

Tutto questo è una dimostrazione che l’impegno civico non è irrilevante e dimostra che i grandi movimentismi sociali – come quello che ha organizzato i due gradi raduni di Roma nel giro di appena sei mesi - che puntano alla trasversalità politica sono l’unico mezzo oggi per raggiungere vittorie decisive sul piano politico, culturale e antropologico, lì dove i partiti, nella migliore delle ipotesi, non sembrano arrivare, o danno per ineluttabile la sconfitta aprendo la strada delle inutili mediazioni.