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L'EDITORIALE

Una politica dimezzata non può vincere la crisi

L'Italia non riesce a uscire dallo stallo della crisi e la politica non sembra riuscire a rispondere, impantanata dalle vicende giudiziarie e segnata dalle spaccature interne agli schieramenti.

Editoriali 02_08_2011

Sembra quasi la dimostrazione della famosa legge di Murphy: se una cosa può andare male, lo farà. Che è come dire in questo inizio di agosto: non c’è situazione complessa che non si possa complicare ancora di più.

Al di là delle battute l’economia italiana si trova in uno dei momenti più difficili degli ultimi anni con un grande problema, la sostanziale stagnazione, che sovrasta e rende più complessi tutti gli altri. L’Italia continua a restar ferma, a non creare posti di lavoro, a non aiutare le imprese a recuperare competitività. Non si tratta solo di un problema congiunturale, cioè limitato e determinato essenzialmente da ragioni esterne. Si tratta ormai chiaramente di un problema “strutturale” collegato ad un insieme di fattori che ostacolano una dinamica positiva delle imprese e quindi la creazione di ricchezza per tutti.

Si tratta di fattori ben noti e messi spesso in rilievo i austeri dibattiti e paludati convegni: l’alto carico fiscale, la scarsa capacità di ricerca e innovazione, la bassa quota di investimenti esteri, i vincoli al mercato del lavoro, i costi della burocrazia e i freni dell’amministrazione pubblica. Tutti elementi che potrebbero e dovrebbero essere affrontati e avviati a soluzione se solo la politica facesse il proprio dovere. Invece siamo di fronte ad una politica dimezzata e questo è ancora più grave di fronte ad uno scenario di sostanziali incertezze a livello economico e finanziario internazionale.

Con un documento di insolita chiarezza i rappresentanti del sistema economico, dagli industriali ai commercianti, dagli artigiani agli agricoltori, hanno lanciato nei giorni scorsi una forte richiesta per interventi capaci di favorire la crescita e quindi con caratteri di forte “discontinuità” rispetto al passato. La strada da seguire sarebbe in teoria semplice… anche se è l’esatto contrario delle scelte compiute nelle ultime settimane. Si tratterebbe, per esempio, di tagliare i costi della politica e non i redditi dei pensionati, di premiare l’efficienza dei servizi sanitari e non cercare di coprire le perdite con nuovi oneri per i cittadini, di semplificare procedure e autorizzazioni e non di introdurre addizionali e oneri impropri, di aiutare il risparmio e quindi gli investimenti e non di imporre nuove imposte di bollo.

Ma è proprio in questa fase che la politica appare sostanzialmente incapace di rispondere ed anzi si presenta con lo sguardo basso e le mani dietro la schiena in segno di impotenza. E’ una politica indebolita dalle vicende giudiziarie che hanno coinvolto sia la maggioranza, sia l’opposizione. La maggioranza dapprima con la sentenza che ha condannato la Fininvest a risarcire con più di mezzo miliardi di euro la Cir di Carlo De Benedetti, sentenza che ha sostanzialmente riconosciuto la corruzione di un magistrato da parte dell’azienda che fa capo a Silvio Berlusconi, e poi con la scivolata del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che ha candidamente ammesso di aver pagato per anni in nero l’affitto dell’abitazione da lui occupata a Roma.

E l’opposizione si è trovata spiazzata e scossa per l’inchiesta che ha coinvolto Filippo Penati,
l’ex-presidente della provincia di Milano e poi consigliere di Bersani, accusato di un giro di tangenti quando era sindaco di Sesto San Giovanni.

E’ una politica in cui la questione morale è così diventata la vera emergenza, una questione morale che tuttavia non è solo la correttezza istituzionale e il rispetto delle regole (elementi sempre fondamentali) , ma che è anche la capacità di seguire la logica del buon governo, della sana amministrazione, della corretta visione del bene comune.

Guardiamo allora agli ultimi provvedimenti: 1) la creazione delle sedi dei ministeri a Monza, 2) il “no” all’abolizione delle Province, 3) il divieto ai librai di praticare sconti sui libri, 4) il cosiddetto “processo lungo”. Che cosa c’entrano con il bene comune? Nulla perché sono solo 1) una mossa propagandistica, 2) la difesa di seggiole e poltrone, 3) un favore alle lobby dei librai con un assurdo vincolo di mercato, 4) un’ennesima legge “ad personam” per allungare i tempi dei numerosi processi al premier.

Certo poi si è fatta la manovra, ma una manovra tutta di aumenti di tasse e oneri per i cittadini senza un minimo segno di tagli ai famigerati costi della politica. E come può il Paese ritrovare fiducia? quella fiducia che appare l’unica ricetta capace di trovare una via d’uscita a questa situazione che è già di per se complessa anche in Europa e nel mondo.

Certo. Non ci sono soluzioni facili a problemi difficili. Esistono però soluzioni sbagliate. Proprio quelle che la politica ha adottato negli ultimi anni.