
In India l’accusa di conversioni forzate al cristianesimo scatena la collera dei radicali indù, anche quando, come di solito succede, è priva di fondamento, ma serve come pretesto per infierire su una persona, una famiglia, una comunità. L’11 agosto nel Bihar, uno stato nord orientale della federazione indiana, è stata attaccata una chiesa pentecostale nel villaggio di Depura, la Brethren Church, e i fedeli sono stati minacciati da una folla convinta che delle persone di fede indù fossero state circuite e indotte a convertirsi al cristianesimo. È dovuta intervenire la polizia per liberare i cristiani dall’assedio degli abitanti del villaggio. Ma il 14 agosto 50 esponenti dell’ala giovanile militante del Vishwa Hindu Parishad, l’organizzazione nazionalista indù, sono tornati a Depura, hanno minacciato i fedeli di “conseguenze catastrofiche” e poi hanno sequestrato un ragazzo cristiano, lo hanno portato a un tempio vicino dove gli hanno rasato la testa e hanno eseguito alcuni rituali sacri indù, ordinandogli infine di andare a purificarsi nel fiume Gange. Sajian K George, presidente del Global Council of Indian Christians, ha commentato per l’agenzia di stampa AsiaNews: quanto è accaduto a Depura “va contro gli ideali laici della nostra Costituzione. La minuscola comunità cristiana è costretta a subire grandi umiliazioni e violenze da parte della maggioranza”.