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DOPO ISTANBUL

Ucraina-Russia, il negoziato è sempre al punto di partenza

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Mosca vuole subito i territori che sta lentamente conquistando sul terreno, Kiev chiede il ritorno delle regioni perdute: i colloqui di Istanbul certificano una situazione di stallo totale. L'unica cosa certa è l'irrilevanza della UE e una presa di distanza degli Stati Uniti.

Esteri 19_05_2025

Il negoziato per la pace in Ucraina, dopo i colloqui tra le delegazioni russa e ucraina in Turchia, sembra incartarsi sui soliti ostacoli e sullo strenuo e vano dibattito sviluppatosi in Europa. Quest’ultimo tema è il meno rilevante per l’esito del conflitto poiché l’Europa appare tagliata fuori da ogni processo negoziale e infatti né la UE né una sola singola nazione europea siedono a nessuno dei tavoli dei colloqui.

Resta però un tema interessante per comprendere come gli europei si stiano avvitando nella loro irrilevanza. La cosiddetta coalizione dei volenterosi esprime valutazioni e condizioni del tutto ininfluenti minacciando nuove sanzioni alla Russia se non accetterà il cessate il fuoco.
In Italia le polemiche per l’assenza di Roma al tavolo dei volenterosi sono state liquidate dal premier Giorgia Meloni con l’affermazione che Roma, a differenza dei “volenterosi”, non intende inviare truppe in Ucraina. Prima Emmanuel Macron e poi Friedrich Merz hanno precisato di non voler valutare ora l’invio di militari anche se in realtà il presidente francese ne parla da molti mesi e sono ormai molte decine i “volontari” francesi uccisi dalle armi russe.

In realtà l’Italia si è decisamente smarcata dal dibattito che vede Gran Bretagna, Francia, Germania e Polonia insistere sulle garanzie di sicurezza da offrire all’Ucraina dopo un eventuale accordo di pace poiché tali garanzie, da quanto emerso finora, prevedono realmente l’invio di militari europei a Kiev; e se fino a poche settimane or sono si parlava di truppe pronte al combattimento ,oggi si discute di una presenza a più basso profilo di istruttori per addestrare le forze di Kiev. Del resto anche il governo polacco ha più volte espresso contrarietà a inviare propri militari in Ucraina.

Dopo che Donald Trump ha ceduto a Recep Tayyp Erdogan le redini dei negoziati tra russi e ucraini riservandosi però di discuterne in un faccia a faccia telefonico con Vladimir Putin, il vicepresidente statunitense JD Vance ha incontrato a Roma sia il presidente ucraino sia i vertici istituzionali italiani.
Secondo Zelensky «abbiamo anche parlato della necessità di sanzioni contro la Russia, del commercio bilaterale, della cooperazione di Difesa, la situazione sul campo di battaglia e il prossimo scambio di prigionieri. La pressione è necessaria sulla Russia fino a quando non sono disposti a mettere fine alla guerra. Ovviamente abbiamo parlato dei nostri passi congiunti per ottenere una pace giusta e duratura e abbiamo discusso dei negoziati di Istanbul dove i russi hanno mandato una delegazione di basso livello che non ha potere decisionale».
Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha risposto che «un incontro tra Putin e Zelensky è possibile, ma solo se le delegazioni raggiungeranno prima accordi concreti».

In termini concreti l’Amministrazione Trump non sembra voler rischiare il valore strategico della ripresa delle relazioni con Mosca agganciandola al positivo esito dei negoziati di pace in Ucraina. Del resto da quando USA e Russia hanno ripreso a parlarsi, Trump ha incassato il doppio successo dell’avvio di negoziati con l’Iran e l’accordo con le milizie yemenite Houthi per la fine dei raid aerei americani e lo stop agli attacchi alle navi mercantili in transito in quelle acque.
Zelensky e i leader europei condividono invece la consapevolezza che senza un accordo che porti a un immediato cessate il fuoco, l’Ucraina subirà ulteriori perdite territoriali e la sconfitta di Kiev trascinerà nel baratro la dirigenza ucraina, quella della UE e molti leader e governi europei 

I colloqui in Turchia hanno permesso di trovare un accordo per uno scambio di mille prigionieri di guerra per parte ma nulla di più. Il capo della delegazione russa a Istanbul, Vladimir Medinsky, ha chiarito che l'obiettivo dei colloqui diretti è stabilire una pace duratura affrontando le cause profonde del conflitto. Mosca vuole evitare accordi temporanei e la disponibilità a continuare i colloqui con gli ucraini in Turchia non lascia spazio a facili illusioni circa le prospettive di un cessate il fuoco a breve termine.
Il Cremlino ha ribadito le condizioni di sempre per accettare il cessate il fuoco: 1. la neutralità dell’Ucraina, la rinuncia di Kiev a ospitare truppe e basi straniere, a possedere armi di distruzione di massa e a chiedere risarcimenti alla Russia; 2. il riconoscimento da parte dell’Ucraina e della comunità internazionale dell’annessione alla Russia di Crimea, Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhia con il ritiro immediato delle forze di Kiev da queste regioni

Per raggiungere la pace le condizioni le dettano i russi che sul campo di battaglia stanno vincendo la guerra e avanzano ogni giorno lentamente ma su tutti i fronti. Negli ultimi giorni hanno raggiunto in due punti la periferia della roccaforte di Pokrovsk e sono ormai a un chilometro dal confine con la regione di Dnepropetrovsk.
Se Kiev non accetta tali condizioni nessuna tregua risulterà accettabile per Mosca, poiché servirebbe solo a far tirare il fiato alle stanche e sempre più esigue truppe ucraine.

D'altro canto né Zelensky né molti leader europei possono accettare le condizioni poste da Putin perché sancirebbero la loro sconfitta e il loro declino politico. Zelensky ha più volte definito “irricevibili” le richieste dei russi, che nei colloqui in Turchia hanno chiesto il ritiro delle forze ucraine dai territori delle quattro regioni contese ancora sotti il controllo di Kiev. Ieri il presidente ucraino ha aggiunto che «la Crimea, come tutta l'Ucraina, deve essere libera. Gli imperi cadono sempre».
Affermazioni che non convincono più neppure gli ucraini, dal momento che è ormi evidente che in termini militari non ci sono elementi per ipotizzare una forte resistenza ucraina che possa fermare l’avanzata russa, figuriamoci un contrattacco che possa riconquistare i territori perduti. Come ha detto l’ex consigliere di Zelensky, Oleksy Arestovic «l’Ucraina può negoziare e perdere 5 regioni oggi oppure continuare a combattere e perderne 8 tra alcuni mesi».

In questo contesto gli appelli a “una pace giusta”, intesa come assenza di penalizzazioni politiche e territoriali per l’Ucraina, che si levano in Europa appaiono come farneticazioni agli occhi degli osservatori più pragmatici e neutrali ma anche agli occhi di Putin che ieri ha ribadito gli obiettivi dell’operazione militare speciale che «riguardano l’eliminazione delle cause originarie di questa crisi, la creazione delle condizioni per una pace duratura e sostenibile e la garanzia della sicurezza per la Russia».
Putin parla da vincitore, i suoi avversari in Ucraina e in Europa cercano di guadagnare tempo per non dover ammettere la sconfitta.