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INVERNO ARABO

Uccisione ex presidente getta lo Yemen nel caos

L’ex presidente Ali Abdullah Saleh è stato ucciso nella capitale Sana’a dai ribelli houthi, alleati fino a una settimana fa contro la coalizione sunnita. Il voltafaccia di Saleh, sotto pressione saudita, ha provocato la reazione: migliaia di morti, tragedia umanitaria e futuro incerto.

Esteri 05_12_2017
Ali Abdullah Saleh

L’ex presidente dello Yemen Ali Abdullah Saleh è stato ucciso nella capitale Sana’a. La notizia è confermata da più fonti e potrebbe rappresentare l’ennesima cattiva notizia per il paese che da tre anni subisce le conseguenze nefaste dell’insurrezione degli houthi e della risposta militare dell’Arabia Saudita. La casa dell’ex presidente è stata bombardata dai ribelli houthi, ha riportato il New York Times, ma Saleh è stato ucciso mentre cercava di fuggire dalla capitale a bordo di un convoglio. Gli stessi ribelli hanno diffuso un filmato dell’ex presidente avvolto da una coperta, circondato da miliziani festanti.

Dopo 33 anni al potere, Saleh era stato costretto a dimettersi nel 2011 sull’onda delle cosiddette Primavere arabe, lasciando il suo posto al vice Abdrabuh Mansur Hadi, alleato dei sauditi. Nel 2015 Hadi venne costretto a fuggire dal paese, pur mantenendo formalmente il potere, dall’insurrezione dei ribelli sciiti houthi, che da anni reclamavano al governo centrale più autonomia e maggiore partecipazione nelle istituzioni. Poiché gli houthi sono alleati dell’Iran, l’Arabia Saudita, temendo di ritrovarsi al confine un paese eterodiretto dall’arcinemico sciita, nel marzo 2015 lanciò una campagna di bombardamenti aerei senza precedenti, che ha già causato diecimila morti, soprattutto civili.

In oltre due anni di guerra contro la coalizione sunnita guidata da Riad, gli houthi hanno trovato nell’ex presidente Saleh un valido alleato. Ma da almeno una settimana qualcosa si è rotto nello schieramento yemenita e da quattro giorni vanno avanti nella capitale Sana’a scontri a fuoco tra ribelli houthi e sostenitori di Saleh. Già 80 persone sono morte. A portare al bombardamento della casa di Saleh, però, sono state probabilmente le dichiarazioni rilasciate dall’ex presidente in un discorso televisivo nel fine settimana: «Mi rivolgo ai nostri fratelli degli Stati confinanti e chiedo alla coalizione [sunnita] di fermare l’aggressione, porre fine al blocco, aprire gli aeroporti e permettere al cibo e ad altri aiuti umanitari di entrare nel paese per salvare i feriti. In cambio, noi volteremo pagina e inaugureremo una nuova stagione per lo Yemen».

Se la coalizione saudita, che da settimane ha imposto un terribile blocco navale, terrestre e aereo allo Yemen – dopo che gli houthi avevano lanciato un missile verso Riad -, ha accolto con favore l’appello di Saleh, gli houthi si sono sentiti traditi e dopo giorni di scontri hanno deciso di rispondere a tono, uccidendo l’ex presidente. Gli uomini di Saleh infatti avevano cominciato a combattere con i sauditi, chiedendo protezione aerea.

Ora la situazione è incerta. Dopo quasi tre anni di guerra e bombardamenti indiscriminati l’Arabia Saudita non ha ottenuto ancora nulla, salvo la distruzione di un paese che già figurava tra i più poveri al mondo. Nei giorni scorsi la televisione saudita ha lanciato un messaggio ai cittadini dello Yemen: mantenetevi a una distanza di oltre 500 metri dalle postazioni degli houthi. L’avviso potrebbe significare un’ulteriore intensificazione dei raid aerei e questo è proprio quello di cui il paese non ha bisogno, visto che gli ultimi bombardamenti hanno «completamente paralizzato le operazioni umanitarie», come dichiarato all’Associated Press dal Norwegian Refugee Council, e visto che lo Yemen è già vittima della «peggiore crisi di colera al mondo» con «20 milioni di persone che rischiano di morire di fame».