Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
LA CRISI IRAQ-IRAN-USA

Uccidere Soleimani? È moralmente lecito (a certe condizioni)

L'azione statunitense che ha portato all'uccisione a Baghdad del leader iraniano Qassem Soleimani solleva una questione morale, sulla sua liceità o meno. La dottrina cattolica offre dei criteri chiari: l'azione è lecita se è un'azione difensiva armata (e questo è il caso) e se le modalità dell'atto sono proporzionali al fine buono. È chiaro che l'uccisione manu militari deve rappresentare l’extrema ratio per difendere alcuni beni di alto pregio (pace sociale, eliminazione dell'oppressione, etc.). Ci deve essere inoltre proporzionalità tra bene difeso e bene leso. Infine si richiede la proporzione tra benefici sperati e danni prevedibili. È chiaro che alcune di queste valutazioni richiedono l'apporto di analisti militari, ma a quanto è dato conoscere si può ritenere che l'attacco a Soleimani abbia fondate ragioni.

IL SILENZIO DELL'UE di Stefano Magni

Esteri 05_01_2020
Folla al funerale di Soleimani a Baghdad

Dal punto di vista morale si può considerare lecita l’uccisione del generale Qassem Soleimani da parte delle forze armate statunitensi? La risposta è affermativa, se il caso può essere ricompreso in un atto proprio di una azione difensiva armata; si risponde in modo negativo in caso contrario. Affinché il caso possa essere inquadrato in un atto difensivo occorre che lo stesso soddisfi alcuni criteri.

In modo preliminare ricordiamo che le azioni militari di natura difensiva – e più latamente la guerra difensiva – sono moralmente lecite perché la difesa di alcuni beni – beni materiali quali la vita, la salute, le sostanze economiche, e beni immateriali quali il bene comune  e la patria (che naturalmente ricomprendono anche beni materiali), l’onore, la fede, etc. – è un oggetto moralmente buono. Dunque, come è lecito tutelare la propria persona anche attraverso l’uso necessitato delle armi, anche nel caso in cui questo uso provochi l’uccisione dell’aggressore, così è altrettanto lecito sul piano morale difendere, anche con l’uso delle armi, un’intera comunità contro un’aggressione ingiusta che proviene da un’altra nazione o dai propri governanti e che attenti alla vita delle persone o ad altri beni di primaria importanza. In buona sostanza alla guerra difensiva e a tutti gli altri interventi manu militari di carattere difensivo si può applicare il principio della legittima difesa.

Il primo requisito che occorre soddisfare per considerare lecita l’uccisione di Soleimani è dato dalla verifica che costui fosse un ingiusto aggressore, perché se non c’è offesa ingiusta non si può parimenti predicare una giusta difesa.  Come ben spiegato da Souad Sbai le forze iraniane stanno minacciando e violando la pacifica convivenza del popolo iracheno e hanno attentato alla vita del personale USA presente sul territorio e dei membri delle forze militari statunitensi in altri luoghi, perché soggetti che tutelano il popolo iracheno. Dunque il generale Soleimani, soprattutto a motivo del suo ruolo apicale, poteva essere considerato un ingiusto aggressore o, in altri ma equipollenti termini, un esponente di una forza militare e politica ingiustamente nemica del popolo iracheno e dei loro alleati. Perciò l’atto materiale dell’uccisione del generale può essere qualificato dal punto di vista morale come atto difensivo, quindi come atto astrattamente buono.

Ma il secondo passo per comprendere se un atto astrattamente buono lo sia anche nel concreto è comprendere se le modalità dell’atto siano proporzionali al fine buono, che in questo caso è un fine difensivo. Infatti «un atto che parte da una buona intenzione può diventare illecito, se è sproporzionato al fine» (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 64, a. 7 c.).

Questo criterio di proporzionalità si declina secondo vari indici. Il primo riguarda il mezzo usato, cioè, in questi casi, la forza militare. Il mezzo usato deve essere proporzionato al fine, dunque l’uccisione manu militari deve rappresentare l’extrema ratio per difendere alcuni beni di alto pregio. Con maggiore precisione dovremmo affermare che la relazione tra mezzo e fine significa, in questa ipotesi, che il criterio di proporzionalità riguarda il rapporto tra violenza dell’aggressione e forza difensiva: «se quindi uno nel difendere la propria vita usa maggiore violenza del necessario, il suo atto è illecito. Se invece reagisce con moderazione, allora la difesa è lecita» (Ib.). Se ad esempio la difesa della propria persona è realizzabile tramite il mero ferimento dell’aggressore, la morte di questi positivamente ricercata sarebbe ingiustificabile, perché non necessaria: l’effetto dannoso della morte dell’aggressore poteva essere evitato perché superfluo. Dunque l’azione di uccisione eccederebbe la difesa – sarebbe perciò sproporzionata per eccesso – e confluirebbe in un'altra species morale, quale potrebbe essere l’offesa.

Applicando questo criterio al caso Soleimani, se la difesa dei beni in gioco – pace sociale, interruzione dei conflitti interni, eliminazione dell’oppressione, etc. – si poteva attuare in modo non violento, l’uccisione non sarebbe stata giustificata, proprio perché eccessiva, sproporzionata: sarebbe stato un intervento che avrebbe provocato danni evitabili. Occorre quindi esaurire tutte le soluzioni pacifiche di carattere diplomatico, comprese le giuste minacce di ritorsioni di natura economica, politica, etc., prima di decidersi ad usare la forza fisica. Come scrisse Jacques Maritain, un soggetto «non deve rifiutare di usare la forza giusta, quando sia necessario in modo assoluto» (Umanesimo integrale, Borla, Bologna, 1973, p. 269). Sta agli addetti ai lavori spiegarci se la decisione di Trump di eliminare Soleimani era necessaria oppure no, se configurava ormai l’unico strumento per tutelare quei beni indicati prima.

Il secondo criterio riferito al principio di proporzione riguarda la proporzione tra bene difeso e bene leso. Non è lecito uccidere una persona se questa vuole rubare un’auto (a meno che l’auto sia indispensabile per salvarsi la vita): «non si può togliere al prossimo un bene massimo per un bene minimo» (P. Palazzini, voce Difesa legittima, in Ente per l’enciclopedia cattolica e il libro cattolico, Enciclopedia cattolica, Casa Editrice C.G. Sansoni, Firenze, 1950, p. 1584). Parimenti, in merito agli scenari geopolitici, le ingiustizie devono ledere i diritti fondamentali dei cittadini, inoltre devono essere certe, ossia verificarsi con costanza e da lungo tempo. In aggiunta, il vulnus non deve riguardare «soltanto certi beni particolari di alcuni uomini» ma deve concretarsi in una tirannia che «infierisce contro tutta la comunità» (Tommaso d’Aquino, De Regno ad regem Cypri, I, i 6).

L’oltraggio dunque ad un bene del singolo può essere sopportato al fine di tutelare beni più rilevanti quali la sicurezza e la pace sociale, cioè per conservare il bene comune: «se la tirannide non è eccessiva, è certamente più utile sopportarla per un certo tempo piuttosto che, reagendo, incorrere in molti pericoli più gravi della stessa tirannide» (Ib.). Ciò non toglie che il bene del singolo oggetto di una ingiusta aggressione potrà lecitamente e naturalmente essere sempre tutelato con la legittima difesa privata, ma non necessariamente dovrà provocare l’intervento di una nazione straniera.
Dalla descrizione dei media di ciò che stava e sta avvenendo in Iraq pare proprio che in pericolo – e il pericolo era certo – ci fosse la convivenza pacifica di una intera nazione con effetti destabilizzanti per un’intera regione del Medio Oriente.

Il terzo criterio riguarda la proporzione tra benefici sperati e danni prevedibili. Ogni nostra azione tende ad alcuni beni (che sono il fine da noi ricercato) e provoca alcuni danni (effetti negativi che si vogliono evitare). Se i benefici superano i danni per importanza, l’atto sarà efficace. Se i benefici e i danni sono di pari entità, l’atto sarà inutile. Se i benefici sono sopravanzati per importanza dai danni, l’atto sarà inefficace, dannoso. Nel caso di specie, prima di prendere la decisione di eliminare Soleimani, occorreva domandarsi se il gioco valesse la candela e dunque occorreva domandarsi: l’uccisione di Soleimani quali effetti provocherà? Al suo posto verrà scelto un sostituto ancor più spietato? L’oppressione iraniana allenterà la sua morsa oppure diventerà più spietata? Il conflitto interno si andrà spegnendo oppure si inasprirà? Si innescherà una escalation di conflitti oppure si aprirà una fase di de-escalation? Risposte a cui devono rispondere gli analisti e a cui, con certezza, hanno dato risposta i collaboratori di Trump prima di suggerire il raid della scorsa notte. Naturalmente la scelta di uccidere il generale iraniano potrebbe essere stata lecita anche se si fosse previsto un periodo iniziale di recrudescenza degli scontri a cui potrebbe seguire invece una stabilizzazione dello scenario in Iraq.