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ELEZIONI

Turchia, i curdi fermano Erdogan. Ecco perché

L'Akp, il partito islamico turco di Recep Tayyip Erdogan, ha perso la maggioranza assoluta per la prima volta dal 2002. L'ha persa perché un partito curdo, l'Hdp è entrato in parlamento. Perché questa improvvisa battuta di arresto? Le ragioni sono molteplici e ora Erdogan deve decidere chi governerà.

Esteri 09_06_2015
Erdogan

La Turchia riserva sempre sorprese. L’Hdp, il partito curdo di Selhattin Demartis, non ha vinto le elezioni, ma le ha fatte perdere all’Akp, partito islamico di Recep Tayyip Erdogan, per la prima volta in minoranza dal 2002 ad oggi. Il suo partito ha preso il 40,8% dei voti, la maggioranza relativa. Un calo di 8 punti rispetto al voto del 2011, una battuta d’arresto dovuta unicamente all’ingresso nel parlamento degli 80 deputati dell’Hdp, che ha conquistato il 12,8% dei voti, quasi tre punti in più rispetto alla soglia di sbarramento.

Che cosa ha determinato questa sconfitta storica? L’Hdp è un partito giovanissimo, ha appena un anno di storia. Non si identifica con l’indipendentismo curdo tradizionale, e questo è risultato il suo maggior pregio. La soglia di sbarramento è, appunto, del 10% ed è stata calcolata dal legislatore turco proprio per tener fuori i curdi dall’arco costituzionale. I curdi costituiscono quasi il 16% della popolazione della Turchia e, contando solo gli aventi diritto al voto, è matematicamente molto difficile che riescano a superare la soglia fatidica del 10%. L’abilità di Selhattin Demartis è stata quella di presentarsi come un leader non solo curdo, ma rappresentativo di tutta l’opposizione di sinistra. Ha raccolto sotto le sue bandiere anche l’elettorato di Gezi Park, cioè gli studenti laici che hanno manifestato contro la costruzione di un complesso moschea e centro commerciale nel centrale parco di Istanbul nel 2013 e ne hanno fatto un luogo di resistenza contro Erdogan. Gezi Park ha raccolto varie anime dell’opposizione: quella laica tradizionale (kemalista), quella post-moderna che va dal voto gay a quello femminista, quello della variegata galassia anti-globalizzazione (sono numerosi i richiami al movimento degli Indignados e di Occupy), quello delle minoranze prive di una rappresentanza (soprattutto curdi, ma anche armeni).

Oltre al multiforme elettorato contestatore, Demartis ha attratto il voto dei laici preoccupati per l’ascesa troppo inarrestabile dell’islamico Erdogan. Dopo 13 anni di governo, il suo primo anno da presidente della Turchia è stato molto rivelatore. Non si è limitato a svolgere il ruolo quasi solo notarile che gli sarebbe spettato, ma si è comportato da capo del governo oltre che dello Stato. Ha dettato la politica estera, intimidito gli avversari, tessuto alleanze, preso decisioni strategiche, presieduto le riunioni di governo. In pratica, ha già di fatto accentrato tutto il potere esecutivo nelle sue mani. Una maggioranza di 276 seggi avrebbe permesso al suo Akp di governare da solo, una di 330 seggi di proporre un referendum per la riforma presidenziale, uno di 367 di riformare la costituzione anche senza passare dal referendum. Solo l’entrata in parlamento dell’Hdp avrebbe impedito la conquista di una maggioranza assoluta, qualificata o ultra-qualificata dell’Akp. Dunque questo spiega che, anche chi non aveva mai avuto a che fare con i curdi o con Gezi Park, questa volta ha dato il suo voto strategico all’Hdp.

Poi ha influito il fattore paura, anzi terrore, della vicina guerra civile siriana. L’autunno scorso si può dire che nell’assedio di Kobane hanno vinto i curdi, ma Erdogan ha perso. Il presidente turco era convinto (o forse ci sperava) che la città difesa dai curdi, nel Nord della Siria, cadesse in poco tempo nelle mani delle milizie dell’Isis. E aveva agito di conseguenza: chiudendo le frontiere ai curdi, ordinando alle truppe di non muoversi e lasciando anche avanzare l’Isis fino ai confini. Secondo alcuni reportage, i miliziani sarebbero stati addirittura assistiti dai regolari turchi, avrebbero avuto il tacito permesso di passare la frontiera e rifornirsi. Sul rapporto ambiguo tra Turchia e Isis stava indagando il quotidiano di opposizione Cumhuriyet, ma il suo direttore, Can Dundar, è stato arrestato, denunciato e rischia l’ergastolo. La vicenda Cumhuriyet, oltre a costituire una palese violazione della libertà di espressione, è anche una prova indiretta sui legami ambigui fra la Turchia di Erdogan e l’Isis. Evidentemente, vista la prontezza della reazione, il quotidiano aveva toccato un nervo estremamente sensibile. E questa vicenda ha però ulteriormente contribuito alla sconfitta dell’Akp, quando si è giunti al voto.

Infine, ma non da ultimo, l’intimidazione violenta si è rivelata controproducente. Venerdì scorso, a Diyarbakir (la “capitale” del Kurdistan turco) due bombe sono scoppiate nel bel mezzo del comizio dei candidati dell’Hdp e hanno provocato una strage: 3 morti e 400 feriti. I curdi sono andati al voto con addosso ancora l’emozione e le ferite di quell’atto di intimidazione. E hanno votato compatti.

Ma adesso quale sarà il destino del governo turco? L’Akp, che conserva comunque la maggioranza relativa, ha tre scelte possibili: formare un governo di minoranza, formarne uno di coalizione con i nazionalisti del Mhp, che hanno eletto una pattuglia di 80 deputati. Oppure si torna al voto. Nell’attesa di una decisione, le borse vanno a picco. Considerando il decisionismo di Erdogan, il suo piglio autoritario, il suo modo di gestire la presidenza, è possibile che si proponga come il l’unico possibile leader in grado di garantire la stabilità del paese e dei mercati. Ma prima si deve necessariamente passare per un periodo di caos, più o meno controllato.