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Tecnologia ed efficienza: così si sfama il mondo

Sfamare 9 miliardi di persone è possibile, basta non inseguire modelli di agricoltura utopistici.

Attualità 03_01_2011
agricoltura

All’Angelus del 14 novembre scorso Papa Benedetto XVI ha invitato ad un «rilancio strategico dell'agricoltura», specificando che la rivalutazione dell'agricoltura non dev’essere vista «in senso nostalgico ma come risorsa indispensabile per il futuro».
Queste importanti affermazioni spingono a interrogarci circa il modello di agricoltura da proporre per garantire cibo e beni di consumo (fibre per il vestiario, materie plastiche, carta, mobili, ecc.) per i 9 miliardi di abitanti che il nostro pianeta ospiterà nel 2050. Per tentare una risposta è necessario premettere alcuni approfondimenti tematici che vado ad illustrare. 


Quanto cibo occorre per un uomo: in epoca romana il quantitativo annuo di cibo pro-capite era stimato in 40 modii (264 kg) di grano; a tanto dovevano infatti ammontare  le scorte nei magazzini del’Urbe per evitare tumulti. Oggi, stimando a 300 kg di cereali la soglia di sufficienza per un individuo adulto, è possibile affermare che l’agricoltura, con una produzione globale di cereali di circa 340 kg procapite, assolve appieno al proprio scopo. Questi 340 kg non sono tuttavia ripartiti omogeneamente ed infatti la soglia dei 300 kg è superata da Asia, Europa, America e Australia, mentre l’Africa produce solo 190 kg. A ciò si aggiunga che il numero di esseri umani sottonutriti appare ahimè stazionario da almeno un cinquantennio attestandosi intorno ai 900 milioni di individui. Tuttavia un conto sono 900 milioni di persone su 3 miliardi (popolazione mondiale del 1970) e un conto sono 900 milioni su 7 miliardi. In termini percentuali i sottonutriti sono infatti calati dal 23% del 1970 al 13% di oggi.

La questione alimentare del 20° secolo e la rivoluzione verde: non si  può ragionare di agricoltura del futuro senza analizzare l’esempio offerto dalla “rivoluzione verde”, che in un secolo ha moltiplicato per 5-6 volte le produzioni agrarie mentre la popolazione mondiale quadruplicava, passando dagli 1.5 miliardi del 1990 ai 6.5 miliardi del 2000. La rivoluzione verde è stata frutto di massicce innovazioni nella genetica (nuove varietà molto più produttive e di qualità molto migliore rispetto a quelle tradizionali) e nelle agrotecniche (lavorazioni del terreno, concimi di sintesi, fitofarmaci, diserbanti, tecniche irrigue, sementi selezionate, tecniche di conservazione e trasformazione dei prodotti).

Le agricolture alternative: se l’innovazione nella genetica e nelle agrotecniche è stata la chiave di volta dell’agricoltura della rivoluzione verde, le agricolture alternative (biologica, biodinamica), capovolgono tale paradigma proponendo da un lato di ricorrere a varietà tradizionali (meno produttive) e dall’altro di soddisfare solo parzialmente le esigenze in elementi nutritivi delle colture, rinunciando altresì alle tecniche più adeguate (in termini di fitofarmaci e diserbanti) per contrastare i danni da insetti, acari, funghi patogeni e malerbe.  Di conseguenza  le agricolture “alternative” offrono produttività ridotte rispetto a quelle offerte dall'agricoltura convenzionale. Inoltre il mancato contrasto alle malattie fungine può tradursi in danni alla salute causati dalle tossine prodotte dai funghi patogeni delle colture.

Rivoluzione verde ed ecosistemi naturali: la rivoluzione verde ha avuto un risvolto ambientale clamoroso e dai più ignorato: tramite l’enorme incremento delle produzioni ettariali (es: la produzione media ettariale di frumento in Italia è passata dagli 11 q del 1910 ai 60 q del 2000) ha permesso di limitare l’agricoltura ai territori più vocati, lasciando vasti territori al bosco e ad altri ecosistemi naturali; è grazie a ciò che ad esempio la superficie a bosco in Italia è aumentata del 70% in un secolo.

La CO2 e l’alimentazione carbonica delle piante: fin dalle elementari ci viene insegnata la regola secondo cui “niente CO2 - niente fotosintesi – niente cibo”. In soldoni un ettaro di mais che produca 130 quintali di granella assorbe 41 tonnellate di CO2 e, a fronte di un tale dato, è oggi essenziale leggere l’aumento della CO2 in atmosfera come una risorsa per la produzione di cibo e non come una catastrofe cosmica.

Zootecnia ed alimentazione umana: la zootecnia costituisce oggi una risorsa essenziale per sfruttare non solo una gran massa di sottoprodotti dell’industria agro-alimentare ma anche i 3.2 miliardi di ettari di pascoli. A quanto chiedono di abolire la zootecnia per ragioni di tutela ambientale segnalo che la sua eventuale scomparsa significherebbe condannare all’indigenza le popolazioni che basano le loro diete sui prodotti zootecnici (latte, carne, uova e loro derivati).

Alimentazione a chilometri 0: A Milano fino agli anni ‘50 il chilometro 0 era la prassi; in città infatti giungevano dagli orti suburbani i cavoli e le verze che costituivano la verdura principe delle mense dei milanesi per tutto l’inverno. Meglio come si mangiava allora o come si mangia oggi? Io in proposito non ho dubbi, ma molti paiono averli, quando propongono gli orti periurbani come soluzione al problema alimentare mondiale. Vi immaginate megalopoli come il Cairo (20 milioni di abitanti) o Città del Messico (24 milioni) alimentate dagli orti periurbani?

Alla luce di quanto sopra evidenziato, il modello di agricoltura che è a mio avviso da proporre per risolvere oggi il problema dei sottonutriti ed in prospettiva il problema alimentare dei 9 miliardi di abitanti del 2050 non può che essere rappresentato da un’agricoltura tecnologicamente evoluta che gestisca in un quadro armonico produzioni vegetali ed animali al fine di fornire cibo e beni di consumo di buona qualità, in quantità sufficiente e a prezzi contenuti. Perché una tale agricoltura possa affermarsi sono necessarie politiche coerenti di difesa del suolo, di valorizzazione delle risorse idriche, di formazione degli agricoltori e di promozione della ricerca nei settori del miglioramento genetico e delle agrotecniche.

La prima delle priorità resta comunque - e qui il richiamo al discorso del Pontefice mi pare d’obbligo – quella di ridare agli agricoltori l’orgoglio di essere settore primario, che produce cibo e beni di consumo per tutta l’umanità.

* Università degli Studi, Milano