Taiwan, la "pecora" messa da parte nel disgelo cinese
Il problema non è tanto il ruolo del Papa e del controllo delle "potenze straniere", ma il ruolo della santa sede nei confronti di Taiwan. Se l'accordo sino-vaticano contenesse il disconoscimento di Taiwan da parte della santa sede e la rottura dei rapporti diplomatici, questo aprirebbe altre questioni altrettanto importanti.
Caro direttore
in questi giorni mi capita di leggere molto sulla Cina, molte opinioni e molte divisioni specialmente sui rapporti che il Vaticano deve tenere con la Cina stessa. Io stesso ne ho scritto molto, qui e altrove. Ora, la santa sede deve certamente avere rapporti con tutti, in quanto tenuta ad aver cura del suo gregge ovunque esso si trovi. Su questo non ci sono dubbi. Ma non ci sono dubbi anche sul fatto che questa cura, legittima e doverosa, deve tenere anche conto delle conseguenze delle sue azioni sul gregge stesso e il pericolo che le buone intenzioni possano trasformarsi in cattive decisioni che poi non si ripercuotono tanto a Roma, ma in coloro che a quei governi sono sottoposti.
Io non ce l'ho con il governo cinese che si comporta esattamente come un governo comunista e non democratico ci si aspetta si comporti: non hanno interessi religiosi o spirituali, sono interessati prettamente al mantenimento della stabilità interna che garantisce il mantenimento del potere. Loro fanno quello che ci si aspetta, negoziano per ottenere più vantaggi possibili all'interno e all'esterno, come ritorno di immagine nell'arena internazionale. In questo vanno veramente compresi, sono loro stessi. Ma noi, dalla parte nostra, siamo noi stessi?
Il problema è che molti non vogliono vedere dove sono veramente gli occhi della Cina. Pensare che essa sia veramente interessata a questioni teologiche o ecclesiologiche è certamente molto naïf, e sono sicuro che gli osservatori vaticani, coloro che sono realmente addentro alla questione, non ignorano che quegli occhi non sono sulle questioni spirituali ma su quelle molto più pragmatiche e reali (dal punto di vista cinese, naturalmente) che riguardano Taiwan. Alcuni spifferi, durante la mia permanenza cinese, da parte di persone bene informate che non appaiono e non appariranno nelle mie cronache, mi hanno fatto ben riflettere su questo fatto.
Il problema non è tanto il ruolo del Papa e del controllo delle "potenze straniere" (c'è anche questo) ma il ruolo della santa sede nei confronti di Taiwan. Ora, se l'accordo di cui si parla, già delineato e concordato fra le parti (anche se alcuni nodi non sono stati sciolti) contenesse il disconoscimento di Taiwan da parte della santa sede e la rottura dei rapporti diplomatici, questo aprirebbe altre questioni altrettanto importanti.
Sarà giusto lasciare Taiwan al suo destino? No, io dico che non è giusto e non è evangelico. Conosciamo la parabola della pecora perduta: "Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove e va dietro a quella perduta, finché non la trova?". In questo caso la pecora non sarebbe neanche quella perduta, ma una del gregge che viene messa da parte. Io voglio proprio pensare che la santa sede non vorrà permettere questo. E aspetto che sarò sorpreso dalla soluzione che avranno senz'altro trovato per garantire Taiwan. Perché ho anche sentito che lì c'è molto (e non ingiustificato) nervosismo.
Inoltre, tutti sappiamo che la Cina è uno stato che rivendica il suo marxismo, materialismo ed ateismo. Questo è nel loro diritto, visto che si professano uno stato comunista. Ma potranno i vescovi riconosciuti da ambo le parti nell'ambito di questo possibile accordo contestare apertamente leggi e politiche che vanno contro la dottrina sociale della Chiesa (non quella con caratteristiche cinesi propugnata da certi settori in Vaticano) o i suoi insegnamenti? Potranno avere la libertà di fare questo? Potranno rivendicare i diritti della Chiesa anche contro quelle che sono le decisioni del governo? Tutti sappiamo la risposta: non potranno. E a cosa servirà un accordo se la parola di Dio non potrà essere vissuta e rivendicata apertamente nella vita di tutti i giorni, ma soltanto in alcune e ben controllate situazioni?
Ho sentito dire molte cose sul Cardinal Joseph Zen, ma io sono d'accordo ora con quello che mi disse un missionario alcuni anni fa: egli sarà ricordato nei decenni a venire come una delle grandi figure del cattolicesimo (non solo) cinese. Il coraggio e la forza con cui cerca di dare corpo alle paure che albergano nel cuore dei molti che conoscono la Cina, quella al di fuori dei tour organizzati, non possono che essere ammirati. La storia del cattolicesimo cinese è ricca di grandi esempi di martirio e di fedeltà alla sede petrina. Una fedeltà che guardava alla roccia della Chiesa Cattolica come all'unico ancoramento per non rinunciare a quei valori a cui non si può rinunciare.
Caro direttore, la Cina ha tanto per cui essere ammirata, anche per la grande storia di martiri e santi che la sua fedeltà a Roma gli hanno conquistato. Proprio per questo, al di fuori di tutte le convenienze diplomatiche, merita di essere guardata negli occhi e, se necessario, aspettata.