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DEMOCRAZIA IN BILICO

Taiwan al voto, per decidere il destino della piccola Cina

Oggi si vota a Taiwan per il rinnovo del presidente. L'isola, ufficialmente Repubblica di Cina, è riconosciuta da sempre meno Stati. Non si proclama indipendente per evitare le ire di Pechino. Oggi può vincere di nuovo Tsai Ing-wen, favorevole all'autonomia, oppure Han Kuo-yu, fautore dell'unificazione pacifica con la Cina

SINIZZARE TUTTO di Stefano Magni

Esteri 11_01_2020
Taiwan, manifestazione contro l'unificazione alla Cina

Le elezioni 2020 in Taiwan, non hanno il peso specifico che si attenderebbe da questa piccola isola a largo della Cina. Come tutti sanno, Taiwan, conosciuta anche come Formosa, è l’isola dove si rifugiarono gli sconfitti della guerra civile che alla fine degli anni ‘40 del secolo trascorso, vide il prevalere delle forze comuniste guidate da Mao Zadong su quelle del Kuomintang, guidate da Chiang Kai-shek e la proclamazione, il primo ottobre 1949 della Repubblica Popolare Cinese.

A Taiwan fu proclamata la Repubblica di Cina, che nel tempo seppe conquistarsi l’alleanza con gli Stati Uniti di America, suo alleato potente contro il desiderio di riunificazione del governo di Pechino, che ha sempre considerato Taiwan come parte integrale del suo territorio. Questa dinamica fra Cina e Stati Uniti e che coinvolge Taiwan è uno di quegli snodi storici che ancora condizionano gli equilibri internazionali. La Cina ha saputo nel tempo conquistare posizioni, ottenendo il riconoscimento di vari stati sovrani (anche minuscoli) che in questo modo hanno dovuto “disconoscere” Taiwan. Come è riuscita la Cina a convincere questi stati sovrani? Investendo in essi. E non c’è dubbio che altri fra i rimanenti 19 stati che ancora riconoscono Taiwan, tra i quali alcuni bisognosi di soldi, potranno sentire le sirene provenienti da Pechino. Ma non dimentichiamo che fra gli stati sovrani che ancora sono dalla parte di Taiwan c’è anche la Città del Vaticano, pur impegnato in un faticoso e controverso percorso di avvicinamento con la Cina sancito nel settembre 2018 da un accordo provvisorio e dal contenuto mai rivelato che fiumi di inchiostro ha fatto versare a sostenutori e detrattori.

Ecco che in questo quadro complesso, le elezioni presidenziali a Taiwan non sono come comuni elezioni di uno Stato sovrano, anche perché questa definizione di “Stato sovrano” sarebbe fortemente contestata se vista dalla prospettiva cinese. Ci sono tre candidati, il presidente uscente Tsai Ing-wen (蔡英文) del Democratic Progressive Party (DPP), Han Kuo-yu (韓國瑜) per il Koumimtang (che si trova anche scritto come Guomindang o Kuomintang, KMT) e James Soong Chu-yu (宋楚瑜) del First People Party. La vera lotta e fra i primi due candidati, che rappresentano i due versanti della questione: la signora Tsai, attuale presidente, vede il pericolo di un avvicinamento con il governo di Pechino, mentre l’ex sindaco Han vede questo avvicinamento come una opportunità. La divisione si misura con l’adesione o meno al 1992 Consensus, un incontro fra rappresentanti di Taiwan e della Repubblica Popolare Cinese che stabiliva che esiste “una sola Cina”.  Ma ovviamente ognuna delle due parti da al termine un significato diverso. Tsai Ing-wen ha affermato in queste ultime settimane che il suo partito non riconosce questo Consensus, preferendo che si mantenga lo status quo, cioè una Taiwan autonoma, anche se non pronuncia la parola “indipendente” per non lanciare la provocazione estrema al governo di Pechino, che spingerebbe probabilmente ad un atto di forza che avrebbe conseguenze che tutti possiamo immaginare. Han Kuo-yu è naturalmente più favorevole ad una politica di riavvicinamento alla Cina.

Ma cosa offre il governo cinese per la riunificazione? Un paese, due sistemi, cioè lo stesso sistema di governo che a Hong Kong ha portato alla situazione che da 6 mesi tiene l’ex colonia britannica sulle pagine dei giornali di tutto il mondo. Ovviamente i taiwanesi non si sentono rassicurati dal vedere come questo sistema è de facto fallito in Hong Kong e le continue proteste che tormentano questo importante centro finanziario. Il presidente Tsai ha già detto che non sono interessati a questa proposta di riunificazione. E ricordiamo, Taiwan fu anche al centro della famosa Extradition Law, che fu proposta proprio per un caso di omicidio avvenuto su questa isola e con cui Hong Kong non possiede un trattato sull’estradizione. In effetti, il presidente Tsai si è dimostrata molto simpatetica con i manifestanti di Hong Kong, dichiarandosi disposta ad accogliere coloro che necessitavano di fuggire in conseguenza dela pressione esercitata dal governo tramite le forze di polizia.

In un quadro del genere, è semplice immaginare che il presidente Tsai, che sembra favorita, sia il candidato degli Stati Uniti mentre l’ex sindaco Han sia quello favorito di Pechino. Come si dice in questi casi: la parola agli elettori.