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L’analisi

Suicidio, una Consulta “a doppio registro” sulla legge toscana

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La sentenza 204/2025 della Corte Costituzionale, in concreto, lascia praticabile in Toscana il suicidio assistito entro il perimetro del diritto vivente, ma priva la legge regionale dei punti più “normativi” e più visibili.

Attualità 31_12_2025

La sentenza n. 204/2025 della Corte costituzionale decide sul ricorso in via principale del Governo contro la legge della Regione Toscana 14 marzo 2025, n. 16, adottata per disciplinare “modalità organizzative” del suicidio medicalmente assistito nel servizio sanitario regionale, richiamando il diritto vivente delineato dalla Corte (sent. n. 242/2019; sent. n. 135/2024), in attesa di una legge statale.

Le censure governative erano tre: invasione dell’ordinamento civile e penale (art. 117, co. 2, lett. l, Cost.), interferenza con la determinazione dei Livelli essenziali di assistenza (art. 117, co. 2, lett. m, Cost.), violazione dell’art. 117, co. 3, Cost., perché una disciplina regionale di questo tipo presupporrebbe principi fondamentali statali chiari e riconoscibili.

La Corte adotta una soluzione “a doppio registro”. Dichiara non fondate le questioni contro l’intera legge e contro la clausola generale di finalità (art. 1), salvando parte del telaio organizzativo. Dichiara incostituzionali alcune disposizioni: la norma che pretendeva di fissare per legge regionale i requisiti di accesso rinviando alle sentenze della Corte e innestando quel rinvio nella legge n. 219/2017 (art. 2); la presentazione dell’istanza tramite delegato (art. 4, co. 1, nella parte corrispondente); i termini rigidi della procedura (artt. 5-6, nelle parti corrispondenti); parti dell’art. 7, soprattutto la qualificazione delle prestazioni come “livello” superiore ai Lea e la previsione sulla «sospensione o annullamento dell’erogazione del trattamento» (nelle parti corrispondenti). La Corte dichiara inoltre non fondata la censura sulla copertura con risorse regionali proprie, una volta espunto il linguaggio che evocava i Lea (art. 7, co. 2, secondo periodo).

Il passaggio più discutibile è la motivazione che sorregge la non fondatezza “di sistema”. La Corte sostiene che, nella materia concorrente “tutela della salute”, i principi fondamentali possono essere ricavati dal complesso della legislazione statale vigente, valorizzando soprattutto la legge n. 219/2017 (consenso informato, rifiuto e interruzione di trattamenti anche vitali) e la legge n. 38/2010 (cure palliative). La questione è l’assenza di una disciplina legislativa statale del suicidio medicalmente assistito, che interseca l’area di non punibilità dell’aiuto al suicidio (art. 580 C.p.) come “ritagliata” dalla sent. n. 242/2019. La legge n. 219/2017 regola (tragicamente) una cooperazione istituzionale (al male) essenzialmente difensiva: governa il rifiuto delle cure e l’interruzione del trattamento, con la morte come possibile conseguenza della cessazione terapeutica. Il suicidio medicalmente assistito implica, invece, l’approntamento pubblico di un percorso orientato all’esito letale, con ricadute dirette su legalità, uniformità delle garanzie ed eguaglianza. Una base legislativa statale mancante - che ad avviso di chi scrive non ci deve essere né oggi, né mai - non si crea invocando un istituto diverso e sostenendo che la Corte lo abbia “esteso” in via giurisprudenziale (ord. n. 207/2018; sent. n. 242/2019), trasformando un rimedio transitorio “nelle more” del legislatore in un fondamento stabile.

Anche le declaratorie di incostituzionalità non convincono fino in fondo. L’annullamento dell’art. 2 è spiegato come divieto per la Regione di fissare requisiti incidenti sull’ordinamento civile e penale. La procedura, però, è sostanza: anche l’architettura regionale dei passaggi e dei soggetti valutatori condiziona l’accesso e, quindi, l’operatività dell’esimente. L’eliminazione dei termini rigidi viene giustificata con l’esigenza di uniformità delle garanzie; la scelta sposta però il baricentro dal precetto legislativo a una discrezionalità amministrativa sul “tempo ragionevole”, con rischi di ulteriore diseguaglianza.

Sul versante dei Lea, la Corte censura la qualificazione linguistica, ma salva la copertura finanziaria regionale: la prestazione resta dipendente dalla capacità di spesa territoriale, con tensioni evidenti rispetto all’art. 3 Cost. In concreto, la sentenza lascia praticabile in Toscana il suicidio assistito entro il perimetro del diritto vivente (sent. n. 242/2019 e seguenti), ma priva la legge regionale dei punti più “normativi” e più visibili. La Regione può organizzare percorsi e strutture, senza codificare per legge i requisiti di accesso, senza imporre termini perentori propri e senza “battezzare” la prestazione come livello superiore ai Lea. Resta un sistema in cui i requisiti sono soprattutto giurisprudenziali e l’attuazione concreta dipende dall’organizzazione regionale e da margini amministrativi, mentre la responsabilità di una disciplina nazionale organica continua a gravare sul legislatore statale.



La sentenza

Suicidio, la Consulta mutila la legge toscana e fa un assist al Parlamento

31_12_2025 Giacomo Rocchi

La Corte Costituzionale non annulla integralmente la legge regionale della Toscana sul suicidio assistito, ma ne boccia diverse parti salvando solo quelle «a carattere meramente organizzativo e procedurale». Il piano inclinato resta, ma dalla sentenza emergono due conferme: non occorre una norma procedurale statale e il Parlamento può modificare i principi stabiliti dalla Consulta stessa.

- Una Corte Costituzionale "a doppio registro", di Daniele Trabucco