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INTERVISTA

Suetta: sul suicidio assistito nessun compromesso è possibile

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«Non si può mai perseguire il male, neanche se è minore rispetto a una situazione che si prospetta peggiore». «Affermare la bontà e la necessità delle cure palliative non significa aprire ad altri tipi di intervento». «La priorità della Chiesa è la formazione delle coscienze». Il vescovo di Ventimiglia-Sanremo interviene nel dibattito sul suicidio assistito. Stasera il convegno a Milano di Bussola e ProVita.

Vita e bioetica 24_06_2025

«Quando si parla di temi come il fine vita, la posizione di un cattolico non può mai essere una posizione di compromesso, non si può accettare un male solo nella prospettiva di arginare lo stesso male. Perché il male non può mai essere né ammesso, né giustificato, né tollerato». Così il vescovo di Ventimiglia-Sanremo, monsignor Antonio Suetta, interviene nel dibattito sul suicidio assistito, oggetto di una proposta di legge che il 17 luglio sarà portata in Senato addirittura dalla maggioranza di centrodestra, con l’obiettivo di evitare che passi una legge ancora più permissiva voluta dalle sinistre.

Monsignor Suetta, questo è un tema su cui anche tra cattolici c’è molta confusione: data l’impossibilità di vincere la battaglia politica, si cerca di mettere “dei paletti” per porre un argine al male.
La verità della dottrina cattolica e il magistero della Chiesa dicono un’altra cosa. San Giovanni Paolo II ha spiegato molto bene questo punto affermando che gli atti che sono intrinsecamente cattivi non possono essere perseguiti e mai essere tollerati nemmeno quando vengono posti in correlazione con un fine buono.

Non è un mistero che anche alcuni vescovi guardano con favore all’iniziativa legislativa del centro-destra sul suicidio assistito perché si dà grande importanza alle cure palliative.
Su questo punto che tocca una molteplicità di aspetti bisogna essere chiari, evitare qualsiasi ambiguità. Affermare la bontà, la necessità e l’opportunità delle cure palliative non significa aprire la porta ad un altro tipo di intervento. Le cure palliative sono previste e sono lecite nella misura in cui hanno come unico scopo quello di alleviare il dolore, la sofferenza delle persone. Come la morale insegna quando si persegue un fine buono e lecito e lo si fa con mezzi adeguati, e quindi buoni e leciti, possono essere tollerati anche degli effetti negativi se sono collaterali. È necessario che su questo ci sia chiarezza di principi e correttezza di applicazione degli stessi principi. L’effetto collaterale tollerato è cosa ben diversa dal cosiddetto “male minore”. Questo, anche se è minore rispetto a una situazione peggiore non può mai essere perseguito per se stesso. Questa chiarezza, anche se immediatamente non sembra vincente, intanto è giusta in se stessa ma poi in un orizzonte temporale più lungo è vincente perché concorre alla formazione di coscienze rette.

Tenuto conto della deriva esistente nei Paesi occidentali sul tema della vita, questo approccio può suonare utopistico.
Un argine al male viene sempre da una corretta visione delle cose, anche se è tipico del nostro tempo e del nostro contesto culturale registrare un profondo divario tra quelli che sono i principi sani di una visione antropologica e la prassi che è così gravemente scorretta e che purtroppo condiziona tanto la mentalità comune e quindi anche il legislatore. Tuttavia è necessario tenere fermi i princìpi perché soltanto attraverso un recupero educativo dei princìpi poi si può pensare che la società torni. Da questo punto di vista registro con favore quanto il Papa ha ribadito in occasione del Giubileo dei governanti quando ha fatto un ampio riferimento al concetto di legge naturale.

Mi sembra di capire che la sua prima preoccupazione sia quella educativa.
Credo che la priorità sia quella della formazione delle coscienze, in modo che sempre più persone intanto non ricorrano alle possibilità sbagliate offerte dalla legge e che vivendo un’attitudine diversa nei confronti della vita diventino poi anche buoni ed efficaci testimoni di una concezione diversa. Credo che solo così – il famoso lievito evangelico – la vita buona deve risplendere e attirare. Dal punto di vista dell’esperienza dell’umanità sempre si registrano corsi e ricorsi, picchi negativi dai quali è poi sospinta a rialzarsi. La nostra società se prosegue su questa via va verso il disfacimento che non potrà non provocare un sussulto di riflessione.
Soprattutto in Occidente i legislatori hanno preso la deriva di considerare diritti umani quelli che sono capricci, basati su una visione della vita di tipo utilitaristico, quindi una visione molto miope e limitata, come se la vita avesse una dignità e una bontà per essere vissuta soltanto quando risponde a determinati standard di carattere materiale. Per invertire la tendenza, e tenendo conto che non è solo un discorso di fede ma di sana ragione, la strada è molto lunga.

In questa prospettiva è importante valorizzare, anche dal punto di vista politico, le tante opere cattoliche che si prendono cura delle persone fragili, malati terminali, disabili.
Certamente, da questo punto di vista è importante creare rete, fare in modo che realtà con una concezione e una prassi diversa siano in grado di svolgere sempre meglio la loro missione, accogliere le persone e sostenerle, fornire la cura nel senso più ampio del termine. Cura non è soltanto terapia, è accompagnamento. Anche quando dal punto di vista terapeutico tutte le strade sono chiuse la cura può accompagnare la persona a vivere il momento della fine in modo più autentico dal punto di vista umano.
Poi bisogna che non solo le case di cura svolgano bene la loro missione, ma che la Chiesa ritrovi anche una capacità di presenza nei luoghi formativi, anche professionali. Più noi disertiamo la scuola, l’università, meno abbiamo la possibilità di dire una parola alle coscienze e di essere anche una voce critica rispetto a quello che la cultura dominante vorrebbe far passare per verità assoluta e indiscutibili.

Il titolo del convegno organizzato a Milano dalla Bussola e da ProVita&Famiglia (Libertà o abbandono) pone l’accento proprio sull’equivoco attorno al tema della libertà.
Il grande discorso della libertà oggi è profondamente falsato perché, allontanandosi da una sana visione della vita, la libertà si intende soltanto nell’aspetto molto limitato e limitante dell’autodeterminazione. E si diventa incapaci di cogliere la libertà come prospettiva e capacità da tutelare e da promuovere per fare il bene e raggiungere il vero fine e lo scopo della vita.
Aggiungerei anche che è necessario smascherare la trappola e la malizia di queste pseudo-libertà propinate, perché in realtà sono dei feroci calcoli di convenienza. In maniera molto cinica i potenti di questo mondo cercano di speculare sulle spese sociali eliminando - o alla radice, come nel caso dell’aborto, o nei momenti di fragilità - tutte le persone che da un punto di vista economico potrebbero costituire un peso per la società. Questi potenti di turno, questi manipolatori che vorrebbero spacciarsi per benefattori dell’umanità andando a promuovere diritti inesistenti, in realtà sono dei cinici calcolatori che vogliono plasmare sempre di più una società fondata solo sul profitto, e purtroppo anche sul profitto ingiusto.

 



FINE VITA

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