Sudan: la caduta di El Fasher apre una nuova fase del conflitto
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Guerra civile sudanese: dopo 18 mesi di assedio, le RSF del generale Dagalo conquistano El Fasher, ultima roccaforte governativa nel Darfur. Dagalo consolida la presa sulle regioni petrolifere. In città è massacro di civili.
El Fasher, l’ultima roccaforte dell’esercito governativo sudanese nella provincia del Darfur, è caduta. Il 26 ottobre le RSF, la forza paramilitare agli ordini del generale Mohamed Hamdan Dagalo, hanno annunciato di aver conquistato il quartier generale dell’esercito. Da allora stanno combattendo contro le ultime sacche di resistenza. Il generale Abdel Fattah al-Burhan, presidente del Sudan e capo dell’esercito, ha confermato di aver ordinato il ritiro delle sue truppe, concordato con i leader locali, “per proteggere i civili rimasti e il resto della città dalla distruzione”.
La caduta di al-Fasher costituisce una importante vittoria per il generale Dagalo perché gli consente di consolidare la presa sulla vasta provincia del Darfur e sul confinante Kordofan, lo stato centromeridionale ancora in parte controllato dal governo che forma una barriera tra il Darfur e la metà orientale del paese controllata dall’esercito, dove si trova Khartoum, la capitale, espugnata dal generale al-Burhan lo scorso marzo. Nel Nord Kordofan il 25 ottobre le RSF hanno conquistato anche un’altra città importante, Bara, seconda città della regione situata a 350 chilometri da Khartoum, uno dei più grandi centri urbani rimasti sotto il controllo dell’esercito governativo. Ricco di giacimenti di petrolio, il Kordofan, composto da tre stati e con una popolazione di quasi otto milioni, rappresenta per questo un importante fronte di guerra. «Chiunque controlli il Kordofan controlla di fatto le riserve di petrolio del paese, oltre che una estesa parte di territorio nazionale» sostiene Amir Amin, analista di Oasis Policy Advisory. Inoltre è di importanza vitale per il Sudan del Sud che non ha sbocchi sul mare perché è attraverso gli oleodotti del Kordofan che scorre il suo petrolio per raggiungere l’hub di Port Sudan ed essere esportato.
El Fasher adesso potrebbe diventare la capitale del governo parallelo che le RSF e le forze alleate hanno creato a luglio. Nel corso di una conferenza stampa convocata il 26 luglio a Nyala, la più grande città del Darfur, ne hanno presentato le cariche. Il generale Dagalo è stato nominato capo del consiglio presidenziale, organo governativo supremo composto da 15 membri. Suo vice è Abdel Aziz al-Hilu, capo dell’SPLM-N (Sudan People’s Liberations Movement-North), il più importante gruppo antigovernativo del paese. Mohamed Hassan al-Taishi, un politico, è stato nominato primo ministro. Si è anche provveduto alla nomina dei governatori regionali.
Con i recenti sviluppi cresce la paventata prospettiva di una divisione del Sudan. Se così fosse, sarebbe la seconda volta che il paese si divide, dopo che nel 2011, al termine di un durissimo conflitto durato decenni e come esito di un referendum popolare, i territori meridionali sono diventati indipendenti, portandosi via tre quarti dei giacimenti di petrolio. Ma, allo stato attuale, è più probabile che il generale Dagalo non sia disposto ad accontentarsi di una porzione di territorio, oltre tutto senza sbocco sul mare: almeno non finché disporrà di approvvigionamenti di armi sufficienti a continuare a combattere. «La liberazione di al Fasher è la liberazione del Sudan, fino a Port Sudan – ha dichiarato il comandante in seconda delle RSF, Abdelrahim Dagalo – stiamo arrivando e stiamo arrivano in forze». «Il nuovo Sudan avanza, il vecchio Sudan sarà distrutto» è lo slogan dei paramilitari RSF.
Port Sudan, sulle rive del Mar Rosso, attualmente è la base del generale al Burhan e del suo governo, anche dopo che ha ripreso il controllo di Khartoum e poi del vicino stato di Gezira, il polo agricolo del paese. La capitale, dove la guerra è iniziata nell’aprile del 2023, è in macerie e soprattutto non è ancora del tutto al sicuro. Il 21 ottobre un drone ha colpito un’area nei pressi dell’aeroporto internazionale della capitale alla vigilia della ripresa dei voli nazionali, i primi dallo scoppio della guerra.
Unica certezza, finora, è la determinazione mostrata, e reiteratamente affermata dai due generali un tempo alleati, autori nel 2021 di un colpo di Stato, di combattere a oltranza, anche a costo di ritrovarsi alla fine padroni di un paese distrutto, devastato, leader di una popolazione esausta, annichilita dalla paura, dalle malattie, dalla fame, dalle sofferenze e dai lutti.
El Fasher è stata sotto assedio per 18 mesi durante i quali la crisi umanitaria che vi si è consumata “supera ogni comprensione”, dicono testimoni e operatori umanitari. Nessuna delle crisi in corso nel mondo è paragonabile a quello che le RSF hanno fatto patire ai civili: sia quelli che sono riusciti a fuggire, inseguiti e sterminati dagli uomini di Dagalo anche nei campi profughi allestiti per accoglierli; sia quelli rimasti intrappolati in città, circa 260mila persone, metà delle quali minorenni, senza cibo, senza medicine. I sopravvissuti che sono riusciti a raggiungere Tawila, la città a circa 70 chilometri da el Fasher controllata da un gruppo ribelle neutrale, dove è stato possibile allestire un centro di assistenza e un campo profughi, parlano di decine di morti ogni giorno per fame e malattie, tanto da non poterli seppellire tutti. Il peggio è arrivato con la caduta della città. Gli uomini di Dagalo, raccontano, stanno commettendo abusi atroci, orribili.
Il 26 ottobre le RSF hanno diffuso dei video nei quali assicuravano di garantire la possibilità di lasciare la città in sicurezza. Circolano però filmati che riprendono dei miliziani RSF mentre sparano a degli uomini disarmati e applaudono attorno a dei cadaveri. Altri mostrano mucchi di corpi di persone giustiziate in massa o uccise dai cecchini.
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