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I negoziati

Spiragli di pace tra Israele e Hamas, ma restano le fronde interne

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Il governo israeliano e il gruppo terroristico islamista sarebbero più vicini a un accordo sulla base del piano di pace proposto da Donald Trump. Oggi a Sharm el-Sheikh dovrebbero iniziare i colloqui, mediati dagli USA, tra Hamas e Israele. Cauto ottimismo, ma intanto preoccupa il fronte Cisgiordania.

- Il cardinale Pizzaballa: «L’odio si vince guardando a Gesù»

Esteri 06_10_2025
Manifestanti israeliani chiedono un cessate il fuoco, 5/10/2025 (AP)

Uno spiraglio di pace tra gli israeliani e il gruppo terroristico di Hamas. Palestinesi e israeliani sono ora uniti da un’unica speranza: che il cessate il fuoco diventi realtà e che l’annuncio, da parte di Hamas, della liberazione degli ostaggi, rapiti il 7 ottobre di due anni fa, si realizzi. Il presidente statunitense Donald Trump, che assieme a Turchia, Arabia Saudita, Egitto, Giordania e altri Paesi, si è impegnato a raggiungere questo primo risultato, ha dichiarato: «Oggi è un grande giorno. Dopo i negoziati, Israele ha accettato la linea di ritiro iniziale, che abbiamo mostrato e condiviso con Hamas». Poco dopo, sul suo profilo social ha pubblicato la mappa di come dovrebbe essere suddivisa la Striscia di Gaza dopo l’accordo: Rafah rimarrebbe sotto il controllo israeliano, così pure il corridoio di Filadelfia e l’importante località di Beit Hanun. E ha aggiunto: «Israele deve interrompere immediatamente i bombardamenti su Gaza, così da poter liberare gli ostaggi in modo sicuro e rapido». Sarebbero circa ventidue le persone ancora in vita, mentre per gli altri non ci sarebbero più speranze.

Contemporaneamente all’annuncio di Trump, le truppe israeliane hanno intensificato, con una forza fuori da ogni regola, i bombardamenti sulla Striscia, provando ulteriormente le famiglie degli ostaggi, che temevano di rimanere, per l’ennesima volta, deluse. Le piazze si sono nuovamente riempite di manifestanti per lanciare un chiaro messaggio al governo: rispettare il piano di Trump, che al primo punto prevede la liberazione di tutti gli ostaggi, vivi o morti. Davanti a 120.000 persone, che si sono radunate nella Piazza degli Ostaggi a Tel Aviv, in vista del secondo anniversario di quell’orrendo attacco del 7 ottobre, Einav Zangauker, la madre di Matan, uno dei prigionieri di Hamas, ha espresso così la sua preoccupazione: «So che man mano che ci avviciniamo al traguardo, Ben Gvir, Smotrich e Netanyahu faranno di tutto per minare la possibilità di riabbracciare mio figlio». Ma non è la sola ad essere preoccupata che qualcosa possa vanificare questa speranza. Yair Lapid, leader dell’opposizione, prevede che, da parte della destra estremista, ci saranno tentativi per boicottare l’accordo: «Sentirete le minacce di Smotrich e Ben Gvir, ma ricordate che non hanno alcuna influenza. Una vasta maggioranza nella Knesset e nell’opinione pubblica israeliana sostiene l’accordo di Trump».

Il presidente degli Stati Uniti, dal canto suo, ha rivelato che, nel corso di una telefonata a Netanyahu, ha detto al primo ministro israeliano che questa sarebbe stata la sua occasione e che non sarebbero stati ammessi errori. Il negoziatore palestinese-americano, Bishara Bahbah, ha dichiarato: «Credo davvero che ora stiano accadendo cose positive». A questo punto, le aspettative e le speranze sono tante.

Oggi, a Sharm el-Sheikh, in Egitto, dovrebbero iniziare i colloqui. Parteciperanno l’inviato statunitense Steve Witkoff, il genero del presidente americano, Jared Kushner, e una delegazione israeliana. I negoziatori di Hamas saranno guidati da Khalil al-Hayya, apparso in pubblico sabato scorso. L’esponente del gruppo terroristico vive fuori da Gaza dall’inizio della guerra ed è stato uno dei possibili bersagli dell’attacco a Doha. Al-Hayya fa parte della dirigenza della diaspora ed è in stretta collaborazione con Izzedine al Haddad, rimasto invece nella Striscia, e capo dell’ala militare, che con le nuove leve, soprattutto giovani, che hanno sostituito gli ufficiali uccisi sul campo, guida il gruppo di Hamas.

Ma i contrasti all’interno di Hamas non mancano. Proprio i gruppi che hanno sotto il loro controllo diversi ostaggi potrebbero creare ostacoli all’approvazione del piano di Trump, la cui convalida rappresenterebbe, per loro, una vera e propria resa incondizionata. Le principali richieste di Hamas, nei colloqui egiziani, includeranno la sospensione totale di tutte le operazioni militari israeliane, il ritiro delle truppe delle Idf nelle posizioni occupate durante il precedente accordo firmato a gennaio, al di fuori delle aree popolate, e la sospensione delle attività dell'aeronautica e dei droni per dieci ore al giorno, dodici nei giorni in cui hanno luogo gli scambi di prigionieri. «Nulla è ancora del tutto chiaro e definito, ci sono ancora molte domande che attendono risposta, molto resta da definire, e non dobbiamo farci illusioni», si legge nella lettera inviata a tutti i fedeli della diocesi di Gerusalemme dal cardinale Pierbattista Pizzaballa.

In questi giorni, il patriarca di Gerusalemme dei Latini ha convocato tutti i sacerdoti cattolici dei vari riti a partecipare ad un ritiro spirituale. Un intenso momento di preghiera per invocare la pace sulla Terra Santa. Pizzaballa è preoccupato anche per quello che sta accadendo in Cisgiordania. Parlando ai suoi preti, da Beit Jala, una località tra Gerusalemme e Betlemme, ha ricordato le difficoltà e le sofferenze dei piccoli villaggi, obiettivo degli attacchi dei coloni. Gli ebrei ultraortodossi ormai sono fuori controllo. Non rispettano alcuna legge e, sotto la protezione dell’esercito e con l’approvazione dei ministri più estremisti del governo Netanyahu, stanno occupando e cacciando un numero sempre più consistente di palestinesi dalla loro terra. Il patriarca ha rivolto un invito a tutti i sacerdoti ad organizzare momenti di preghiera e ad unirsi all’invito del Papa per una giornata di digiuno e preghiera in programma il prossimo 11 ottobre.

Che oramai ci sia un chiaro progetto politico per impossessarsi della Palestina è evidente. Sotto attacco c’è anche la Comunità Papa Giovanni XXIII, che da anni opera in Cisgiordania attraverso il Corpo Nonviolento di Pace e che tra pochi giorni vedrà demolita la struttura di sua proprietà di At-Tuwani. Si tratta dell’ennesimo atto di violenza nei confronti degli abitanti di At-Tuwani, località situata a sud di Hebron e a pochi chilometri dalla città di Yatta. «Questa decisione – spiegano da Operazione Colomba – rientra esattamente all’interno del piano di pulizia etnica, attuato dalle forze israeliane. Il metodico disconoscimento di ogni diritto, umano e civile, alla popolazione palestinese è concretizzato attraverso la proibizione del diritto di utilizzare e abitare la propria terra liberamente. Non di meno, il sistematico tentativo di frammentare e isolare le comunità palestinesi è reso palese dal fatto di voler colpire un luogo simbolo di unione e solidarietà».



La lettera del patriarca

Israele-Hamas, Pizzaballa: «L’odio si vince guardando a Gesù»

La fine della guerra tra Israele e Hamas sarebbe un buon primo passo, che però non significa la fine di un conflitto che è alimentato dall’odio. Solo in Gesù crocifisso e risorto, che ha donato amore e perdono, c’è la chiave per la fine di tanto male. Dalla lettera del card. Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini.