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NEUROSCIENZE

Siamo uomini o neuroni?

Il recente caso di un giudice del Connecticut che ha chiesto di sequenziare il genoma dello stragista di Newtown, ripropone la domanda sull'origine dei nostri atti: determinati da fattori esterni o frutto dell'esercizio della libertà? Si preparano scenari inquietanti. Come questi.... 

Creato 27_04_2013
Neuroscienze

Dimmi come è fatto il tuo genoma e ti dirò chi sei. Questo in sintesi è l’intento delle autorità del Connecticut che nelle settimane scorse hanno chiesto di sequenziare il genoma di Adam Lanza, lo stragista di Newtown. Più nello specifico il fine è quello di individuare anomalie genetiche nel suo cervello che avrebbero potuto determinare o concorrere a determinare la recente strage di Sandy Hook. E’ da anni che si cerca di individuare senza successo il gene dell’aggressività (MAOA), o meglio: una particolare struttura genetica che rende inclini alla violenza. Al di là dello scetticismo degli esperti nell’individuare tale gene malato, questa è un’altra prova di quanto sia forte l’influenza delle neuroscienze in ambito forense.

La domanda è sempre la stessa: quanto i condizionamenti esterni quali il DNA, malattie neurologiche e non, ambiente in cui si vive, educazione, frequentazioni, mass-media etc. influenzano la nostra libertà? Diverse sono le risposte a seconda di come si intende l’uomo. Se questi viene considerato solo come una macchina organica il concetto di libertà si tramuta in quello di determinismo. E’ il riduzionismo empirico di Freud e Marx: le nostre scelte non sono mai libere ma condizionate dal contesto (vedi Freud) e dalle proprie condizioni materiali (Marx). Se l’uomo è solo materia, noi agiamo come una pianta che non è libera di decidere se mettere i fiori a primavera oppure no. Dunque noi agiamo per necessità: il libero arbitrio non esiste. Ma se elimini la libertà devi eliminare anche il concetto di responsabilità, di colpa, addossando questa alle condizioni: al gene malato, alla società, ai genitori, alla TV ed a internet, ai media, alla moglie che ti ha lasciato etc. La colpa non è mai di chi ha sparato: il malvivente era solo un’arma impugnata dalle condizioni esterne.

Se invece consideriamo l’uomo come un’unità (sinolo) di materia e spirito, allora le cose cambiano. In questa prospettiva l’uomo non è solo il suo corpo, il suo corredo cromosomico, ma anche qualcosa che non si può pesare con la bilancia né misurare con il metro, un qualcosa che va al di là del fisico ed è appunto la componente di noi che prende il nome di meta-fisica. Sotto questa angolatura la ragione non è il cervello, né ha sede lì, bensì informa tutto il nostro essere, tutta la nostra natura e sfrutta la materia grigia per esprimersi. E così la materia può sì influire sull’intelletto, ma, nella maggioranza dei casi, non distrugge la nostra capacità di scelta. Il nostro essere corporeo e il mondo che ci circonda a volte vincolano e a volte liberano questa capacità di autodeterminarsi, ma non la uccidono sotto il peso delle leggi fisiche che rispondono al criterio della necessità. Il libero arbitrio è sì condizionato da educazione, DNA, abitudini etc. ma per lo più non così condizionato da eliminare la possibilità di scegliere.

Le condizioni al contorno dovranno certamente essere tenute in conto per determinare il grado di responsabilità del soggetto agente (comprimendolo o espandendolo), ma – eccetto nel caso in cui si provi che questi era incapace di intendere e volere – non potranno portare alla decisione di eliminare la responsabilità per i fatti compiuti. Ciò è testimoniato anche dagli esperti. Infatti il prof. Michael Gazzaniga, direttore del Sage Center, istituto per lo studio della mente presso l’Università della California a Santa Barbara e padre dell’espressione “neuroscienze cognitive”, nel suo ultimo libro appena uscito (“Chi comanda? Scienza, mente e libero arbitrio”) ha scritto: “Siamo persone non cervelli”. Quanto detto dal professor Gazzaniga trova conferma anche a livello sperimentale. Proprio poche settimane or sono i media di tutto il mondo hanno raccontato la vicenda di Routley Scott, un uomo in stato neuro-vegetativo da 12 anni che attraverso uno specifico protocollo che utilizzava la risonanza magnetica è riuscito a comunicare con i propri medici e a far comprendere loro che era cosciente della sua situazione.  Questo dimostra che un cervello molto invalido come quello del signor Scott, che non riesce neppure a comandare ad un dito di muoversi, non può da sé essere artefice del fenomeno assai complesso della coscienza. La fonte di tutto ciò allora deve essere rinvenuta in una parte non materiale di noi, cioè nell’anima.

Questo non vuole sminuire l’apporto delle neuroscienze che possono aiutare nel calcolo delle colpe anche per la retta comprensione dell’intenzione dell’imputato. Celebre il caso di Charles Withman il quale aveva un tumore al cervello che gli comprimeva l’amigdala, gruppo di neuroni che regolano le emozioni. Nel ’66 salì sulla torre dell’Università del Texas e sparò a caso sulla folla uccidendo 14 persone. Lui stesso ammise prima della sua morte che era sopraffatto da impulsi incoercibili.

Alcune derive delle neuroscienze oltre a voler ghigliottinare un autentico significato di libertà possono anche ledere il concetto stesso di dignità dell’essere umano. Brain Active Man è un progetto, appoggiato anche dal presidente Obama, in cui sono coinvolti nomi come Google, Microsoft e Qualcom. L’intento è quello di studiare il cervello al fine di “individuare i meccanismi del funzionamento della mente da trasferire nei computer per sviluppare una intelligenza artificiale sempre più simile a quella dell’uomo”. Se siamo solo materia, solo oggetti di carne, solo cose, allora le cose a loro volta potranno sempre più assomigliarci, diventando loro stesse “persone”. Si tratta – scusate il bisticcio di parole voluto - dell’evoluzione dell’evoluzionismo darwiniano: eravamo animali e ci stiamo perfezionando in macchine sofisticate. E così i robot saranno a noi simili e noi simili a loro grazie alla biomeccanica, cioè grazie agli impianti di microchip nel cervello, alle protesi intelligenti, etc. Un po’ uomini un po’ ferraglia.

Se quello che ci fa uomini, sostengono alcuni, sono alcune capacità intellettive, alcune funzioni sofisticate, allora la dignità di persona potrà un giorno essere riferita ad un computer, perché capace di far di conto molto meglio di noi tutti. Se il criterio per attribuire il patentino di “persona” è il neurone, perché unità base per il ragionare, allora anche un computer a suo modo è dotato di neuroni, che nel suo caso si chiamano chip. E per converso potrà essere tolta la qualifica di “persona” a chi ha perso queste funzioni “superiori” perché i suoi neuroni non ci sono ancora, oppure perché non ancora sviluppati oppure danneggiati: vedi il nascituro, il neonato, il malato mentale, la persona in stato neuro-vegetativo. Parafrasando Totò dunque potremmo concludere chiedendoci: “Siamo uomini o neuroni?”