Shanghai, l'umiliazione della Chiesa esige una svolta in Vaticano
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Con l'annuncio dell'avvenuta ordinazione episcopale di Wu Jinlian, la Santa Sede rende pubblica, senza commenti, la sua accettazione a vescovo ausiliare malgrado Pechino l'abbia nominato unilateralmente durante la sede vacante. Una situazione sconcertante su cui papa Leone dovrà intervenire in fretta.

Quando il 4 aprile 2023 il governo cinese violò palesemente l’accordo con la Santa Sede nominando unilateralmente monsignor Shen Bin vescovo di Shanghai, in Vaticano si presero tre mesi di tempo per decidere cosa fare. Alla fine, il 15 luglio, Papa Francesco riconobbe quella nomina ma contestualmente la Sala Stampa vaticana pubblicò una intervista al segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, preparata dalla stessa Segreteria di Stato. Parolin, grande architetto degli accordi segreti firmati nel 2018 e poi rinnovati di biennio in biennio, da una parte denunciava la violazione degli accordi, ma senza calcare la mano, dall’altra ribadiva la volontà della Santa Sede di andare avanti con il dialogo. Il Segretario di Stato auspicava anche che tali nomine unilaterali non si ripetessero, lasciando intendere che avrebbero messo a serio rischio il rinnovo degli accordi, che riguardano principalmente la nomina consensuale dei vescovi.
E invece ecco che due anni dopo la situazione è ancora più grave: proprio ieri, secondo programma già annunciato, è stato ordinato vescovo il nuovo ausiliare di Shanghai, Joseph Wu Jinlian, che il regime cinese aveva nominato vescovo lo scorso 28 aprile, quando la sede apostolica era vacante essendo morto papa Francesco appena una settimana prima. E la Santa Sede ne ha dato notizia facendo sapere che papa Leone XIV ha ratificato questa nomina lo scorso 11 agosto: «avendone approvata la candidatura nel quadro dell’Accordo Provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese», secondo la formula ormai di rito.
Che in questo caso è però palesemente falsa, a meno che l’accordo segreto non dia carta bianca al regime comunista cinese nella scelta dei vescovi cattolici. Peraltro, come solito, l’Associazione Patriottica dei Cattolici Cinesi (Apcc, controllata dal regime) nel dare l’annuncio prima della nomina e ora dell’avvenuta ordinazione nella cattedrale di Shanghai, non nomina mai gli accordi con la Santa Sede né fa mai riferimento al Papa.
Si sapeva che il dossier Cina era probabilmente il più complicato da affrontare per il nuovo Papa, che si trova un’eredità pesante; e lo stesso Leone XIV aveva detto nella famosa intervista in calce alla sua biografia scritta da Elise Ann Allen, che si sarebbe preso del tempo per decidere quale approccio avere e nel frattempo avrebbe seguito la strada tracciata dal suo predecessore. Del resto è il cardinale Parolin, strenuo difensore degli accordi con la Cina, a gestire questa continuità in Segreteria di Stato. Però di fronte a un'umiliazione senza precedenti e un oltraggio così sfacciato da parte del governo cinese, che ha addirittura nominato due vescovi durante la sede vacante, questo adeguarsi senza proferire parola, facendo finta di nulla, è sconcertante.
Eppure il cardinale Parolin avrebbe molte cose da spiegare, non solo perché da anni promette risultati positivi per la Chiesa in Cina grazie alla sua politica di dialogo e invece le cose vanno sempre peggio; ma anche perché proprio nell’intervista del 2023 in cui “digeriva” la nomina di monsignor Shen Bin, poneva una condizione molto concreta. Auspicava cioè che il nuovo vescovo di Shanghai, ottenuto il placet dalla Santa Sede, favorisse «una soluzione giusta e saggia di alcune altre questioni pendenti da tempo nella Diocesi, come - per esempio - la posizione dei due vescovi ausiliari, S.E. Mons. Taddeo Ma Daqin, tuttora impedito, e S.E. Mons. Giuseppe Xing Wenzhi, ritirato».
Quest’ultimo era stato nominato vescovo ausiliare di Shanghai nel 2005, primo caso di nomina congiunta tra governo cinese e Santa Sede. Xing Wenzhi era già stato designato successore dell’anziano Aloysius Jin Luxian, ma il 20 dicembre 2011 fu costretto a dimettersi e da allora è sparito. La Santa Sede nominò allora nel 2012 Taddeo Ma Daqin al suo posto, ma essendosi dimesso dall’Associazione patriottica subito dopo la sua nomina, il regime lo ha immediatamente messo agli arresti domiciliari presso il seminario che è vicino al santuario della Madonna di Sheshan. Così la sede della diocesi di Shanghai, dopo la morte di Jin Luxian nel 2013 è rimasta vacante, fino appunto alla nomina controversa di Shen Bin.
Se il cardinale Parolin pensava, attraverso l’accettazione vaticana della sua nomina, di ottenere qualcosa da Shen Bin, ancora una volta è stato deluso. Lungi dal sistemare la situazione di monsignor Ma Daqin e di monsignor Xing Wenzhi, è stato invece lui a volere come suo ausiliare Wu Jinlian ed è stato certamente protagonista del sonoro schiaffo alla Santa Sede con la nomina durante la sede vacante. E ieri è stato proprio monsignor Shen Bin a ordinare vescovo Wu Jinlian, in una cattedrale blindata dove per la celebrazione sono stati precettati tutti i preti, seminaristi e religiosi e religiose.
Quanto avvenuto a Shanghai è un altro duro colpo alla credibilità della Santa Sede, non solo per i cattolici cinesi, che vedono premiati il compromesso e la sottomissione al regime comunista, a fronte dei tanti che hanno subito persecuzioni feroci a causa della loro fedeltà al Papa. Nei rapporti con la Cina si gioca anche il rapporto tra Chiesa cattolica e Stati, tra Chiesa e potere politico, una questione che papa Leone dovrà affrontare in fretta. Magari intervenendo direttamente sulla Segreteria di Stato.
Ordinazione di vescovo a Shanghai, altro schiaffo della Cina al Vaticano
Annunciata per il 15 ottobre l'ordinazione episcopale di Wu Jinlian, nominato dopo la morte di papa Francesco e mai riconosciuto dalla Santa Sede. È il segno del fallimento dell'Accordo segreto Cina-Vaticano, ma il cardinale Parolin insiste: «Andiamo avanti con pazienza».
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