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NELLE PIEGHE DEL PNRR

Se l'Italia rinuncia ai risarcimenti tedeschi per gli schiavi di Hitler

Nel Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) pochi parlano di un dettaglio molto grave: l'Italia di fatto rinuncia ai risarcimenti dello Stato tedesco per tutti i deportati italiani nei campi di concentramento dopo l'8 settembre 1943. Lo Stato italiano si sostituisce alla Repubblica Federale Tedesca quale soggetto obbligato al risarcimento. 

Politica 28_12_2022
Internati italiani nei campi nazisti

Subito dopo l’entrata in vigore dell’armistizio dell’8 settembre 1943 tra Italia ed anglo americani, e sino al 1945, le truppe tedesche catturarono e deportarono nei campi di concentramento, in Germania e Polonia, migliaia di soldati italiani, cui non venne riconosciuto lo status di prigionieri di guerra e che vennero destinati ai lavori per lo sforzo bellico tedesco. Negli anni successivi alla fine della guerra venne loro negato qualsivoglia forma di indennizzo e si arrivò all’instaurarsi nei primi anni 2000, di alcune vertenze in Italia da parte degli ex internati contro la Repubblica Federale Tedesca.

Pochi mesi fa, nell’ambito delle misure relative all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilenza (e di cui al Decreto legge 30 aprile 2022 n. 36 convertito con modificazioni dalla Legge 29 giugno 2022 n. 79) è stato istituito presso il Ministero delle Finanze il Fondo per il ristoro dei danni subiti dalle vittime di crimini di guerra e contro l'umanità per la lesione di diritti inviolabili della persona, compiuti sul territorio italiano o comunque in danno di cittadini italiani dalle forze del Terzo Reich nel periodo tra il 1° settembre 1939 e l'8 maggio 1945.

E sin qui sembrerebbe tutto bene, ma in realtà, la norma introduce nei suoi commi tre disposizioni di dubbia costituzionalità perché:

a) deroga all’articolo 282 del codice di procedura civile ossia al principio di immediata esecutività delle sentenze di primo grado, prevedendo anche per i procedimenti in corso, che le sentenze ottenute nei confronti della Repubblica Federale Tedesca divengano esecutive al momento del passaggio in giudicato e siano eseguite esclusivamente sul Fondo istituito presso il Ministero delle Finanze;

b) sancisce l’estinzione dei giudizi di esecuzione già eventualmente intrapresi su beni siti nel territorio italiano e di proprietà della Repubblica Federale Tedesca medesima ed il divieto di incominciare nuove azioni esecutive senza, peraltro, che sia intervenuto sollecitamente il decreto del Ministero delle Finanze attuativo delle norme previste e che avrebbe dovuto regolamentare la procedura di accesso al fondo, le modalità di erogazione degli importi agli aventi diritto;

c) introduce un termine decadenziale di 180 giorni dall’entrata in vigore del decreto legge (termine modificato in sede di conversione perché inizialmente era previsto un termine decadenziale di trenta giorni) per le azioni di accertamento e di liquidazione dei danni non ancora incominciate alla data di entrata in vigore del presente decreto.

È evidente che lo Stato italiano si sostituisce alla Repubblica Federale Tedesca quale soggetto obbligato al risarcimento. E ne sfuggono i motivi. Non convince per nulla, infatti, la giustificazione contenuta nella norma, ossia che le misure adottate darebbero continuità all'Accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica Federale di Germania del 2 giugno 1961, reso esecutivo con decreto del Presidente della Repubblica 14 aprile 1962, n. 1263. È pur vero che l’articolo 2 dell'Accordo prevede che siano definite tutte le rivendicazioni e richieste della Repubblica Italiana, o di persone fisiche o giuridiche italiane, ancora pendenti nei confronti della Repubblica Federale di Germania o nei confronti di persone fisiche o giuridiche tedesche, purchè derivanti da diritti o ragioni sorti nel periodo tra il 1° settembre 1939 e l'8 maggio 1945 e che il Governo italiano terrà indenne la Repubblica Federale di Germania e le persone fisiche e giuridiche tedesche da ogni eventuale azione o altra pretesa legale da parte di persone fisiche o giuridiche italiane per le rivendicazioni e richieste suddette.

È però altrettanto vero che tanti Tribunali italiani hanno condannato la Repubblica Federale Tedesca al risarcimento dei danni patiti dagli ex internati sul presupposto che la deportazione nei campi di concentramento rappresenta un crimine contro l'umanità che integra un fatto illecito ex art. 2043 c.c., imprescrittibile, il cui diritto al risarcimento del danno non può essere considerato estinto per la rinuncia espressa dallo Stato italiano nell'art. 77 del trattato di pace del 1947 (reso esecutivo con d.P.R., 28 novembre 1947 n. 1430) e nell'art. 2 dell'accordo di Bonn del 2 giugno 1961, posto che il primo è inerente alle pretese relative ai danni materiali e non ricomprende anche quelli morali mentre l'ambito applicativo del secondo è sulle questioni economiche pendenti e non su quelle ancora non pendenti al momento della stipula (Tribunale di Firenze 6 luglio 2015 n. 2469; Tribunale di Firenze, sezione II 22 febbraio 2016 che richiamano le statuizioni sul punto della Corte di Cassazione penale sez. I 21.10.2008 n.1072, Tribunale di Torino sentenza 19 maggio 2010, e dalla Corte d'Appello di Firenze sentenza 11 aprile 2011 n.480).

Si apprende, peraltro, che la Repubblica Federale Tedesca sia ricorsa (per la seconda volta) alla Corte di Giustizia internazionale dell’Aja (http://www.schiavidihitler.org/, centro studi Schiavi di Hitler) contro l’Italia, proprio, guarda caso, a ridosso dell’emanazione del decreto legge, invocando nuovamente il difetto di giurisdizione dei giudici italiani, ritenendo che l’Italia non avrebbe ottemperato alla sentenza della Corte di Giustizia dell’Aja del 3 febbraio 2012 che, nell’accogliere un precedente ricorso sempre della Germania, aveva intimato all’Italia di adottare le misure necessarie perché tutte le pronunce dei propri tribunali che contravvenissero al principio consuetudinario di diritto internazionale dell’immunità degli Stati, fossero dichiarate prive di effetto.

Occorre ricordare che con la legge n. 5 del 2013 l’Italia aderì alla convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, recependo all’articolo 3 anche il “dictat” della Corte internazionale dell’Aja, senonché con la storica sentenza della Corte Costituzionale del 22 ottobre 2014 n. 238 venne, però, dichiarata l’illegittimità costituzionale di tale norma. La Corte Costituzionale affermò, pure, in quell’occasione l’illegittimità delle norme che impediscono l’accertamento giurisdizionale delle responsabilità civili di un altro Stato nel caso di crimini di guerra e contro l’umanità commessi nel territorio nazionale, lesivi dei diritti inviolabili della persona garantiti dagli artt. 2 e 24 della Costituzione e che l’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati, generalmente riconosciuto nel diritto internazionale, non opera nel nostro ordinamento, qualora riguardi comportamenti illegittimi di uno Stato qualificabili come crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona garantiti dalla Costituzione.

Ne seguirono numerose sentenze delle Sezioni Unite che affermarono la sussistenza della giurisdizione del giudice italiano a conoscere della questione. La Repubblica Federale Tedesca ricorre all’Aja e l’Italia è prona e teme la decisione? «Piangi che ben hai donde, Italia mia» (Giacomo Leopardi).

* Avvocato
** Costituzionalista