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CONSIGLIO DI STATO

Scuola, il decreto "no mask" che può rompere il sistema

Un’alunna accusa problemi di ossigenazione per l’uso della mascherina. Arriva il ricorso al Tar e il Ministero della Salute si contraddice citando il Cdc, secondo cui il Dpi non è necessario se c’è la distanza. Interviene poi il Consiglio di Stato che sospende l’obbligo per la studentessa. Un precedente che può aprire la strada ad altri ricorsi.

Attualità 05_02_2021

Si è ormai perso il numero degli episodi che appaiono sintomatici dell’assoluta incapacità del governo Conte bis - ora dimissionario - nel gestire l’emergenza sanitaria, e che quotidianamente gli italiani sono costretti a vivere negli ambiti più disparati. Ne raccontiamo uno tra i tanti.

L’alunna minorenne di una scuola accusa problemi di ossigenazione a causa del prolungato uso della mascherina che è obbligata a portare in classe. I genitori della ragazza protestano ma non vi è nulla da fare. La dirigenza scolastica è inflessibile: dura lex sed lex. La legge è legge e va fatta rispettare. Inevitabile, quindi, lo sbocco in via giudiziale. Il padre e la madre dell’alunna in questione presentano ricorso al Tar del Lazio per far valere le ragioni della propria figlia.

I magistrati amministrativi fanno la cosa più ovvia che una persona di buon senso possa immaginare: dispongono che l’Avvocatura dello Stato produca documentazione a comprova della necessità, dal punto di vista medico-scientifico, dell’obbligo della mascherina a scuola imposto dal relativo Dpcm. Viene depositata una relazione da parte del Ministero della Salute in cui non solo non si dà nessuna giustificazione dell’obbligo, ma addirittura si cita un inciso dell’organismo di controllo sulla sanità pubblica statunitense Cdc, Centers for disease control and prevention, in cui si afferma chiaramente che con l’opportuno distanziamento in classe, l’utilizzo della mascherina può non essere obbligatorio ma semmai raccomandato.

I magistrati del Tar del Lazio hanno voluto essere particolarmente indulgenti nei confronti del Ministero della Salute, disponendo un rinvio dell’udienza per dare al governo il tempo di rimediare alla magra figura e depositare qualcosa di più serio. Occorre dire che questo del dicastero diretto dall’on. Roberto Speranza è un comportamento scorretto ormai consolidato. Basta pensare a quanto accaduto nel ricorso presentato dagli onorevoli di Fratelli d’Italia, Galeazzo Bignami e Marcello Gemmato, in merito alla nota vicenda del famigerato piano segreto anti-Covid approvato dal Comitato tecnico scientifico a marzo 2020.

Ma torniamo al caso della nostra alunna e del ricorso presentato dai genitori. Questi ultimi, infatti, non gradiscono l’atteggiamento dilatorio dei magistrati del Tar e, tramite il proprio legale Francesco Scifo, decidono di adire il Consiglio di Stato. E qui accade una cosa interessante. Con il decreto n. 304/2021, il presidente della Terza Sezione del Consiglio di Stato, Franco Frattini (due volte ministro degli Esteri nei Governi Berlusconi, ed ex commissario europeo), ha accolto l’istanza cautelare, e sospeso l’esecutività del Dpcm relativamente al punto impugnato, ossia all’obbligo di indossare la mascherina durante l’orario scolastico.

Nel citato decreto, peraltro, viene espressamente bacchettato il Ministero della Salute per «non aver depositato, innanzi al T.A.R. Lazio, i documenti che il primo giudice aveva ordinato di produrre entro il termine di 15 giorni, ampiamente decorso», documenti dotati di «rilevanza per ciò che attiene a profili decisivi nella controversia in esame». Viene anche sollevato un interessante rilievo, ossia che «nella classe frequentata dalla minore, non risulta - o comunque dagli atti non risulta - essere disponibile neppure un apparecchio di controllo della ossigenazione-saturimetro, strumento di costo minimo e semplicissima utilizzabilità in casi come quello prospettato, ad opera di ogni insegnante, per intervenire ai primissimi segnali di difficoltà di respirazione con Dispositivo di Protezione Individuale (mascherina, ndr) da parte del giovanissimo alunno».

Resta il fatto che ad oggi il Ministero della Salute non ha prodotto - neppure su espresso ordine dell’autorità giudiziaria - alcuna prova scientifica circa l’utilità di far indossare la mascherina agli studenti durante l’orario scolastico, ai fini del contenimento della diffusione del Covid-19. Il Dpcm emanato da Giuseppe Conte ha imposto l’obbligo di utilizzo del dispositivo di protezione nelle scuole, recependo pedissequamente e in maniera acritica quanto stabilito dal fantomatico Comitato tecnico scientifico sulla base di mere e generiche indicazioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità, come condizione per il rientro in classe, insieme al distanziamento.

La verità è che non esistono studi scientifici sul punto. Ecco il banale motivo per cui il Ministero della Salute, quando è chiamato in giudizio, non può far altro che presentare ai giudici relazioni fumose dettate dal classico tentativo di arrampicata sui vetri. Se un nuovo governo non affronterà in maniera più seria la questione, è prevedibile un assalto ai vari Tar regionali da parte di genitori di alunni.

Val la pena ricordare, peraltro, che il Tar del Lazio con ordinanza n° 7468 depositata il 4 dicembre 2020 aveva già rilevato che nel Dpcm in questione non risulta «siano stati effettuati approfondimenti sull’incidenza dell’uso di mascherina, per alunni da 6 a 11 anni, sulla salute psico-fisica degli stessi, né un’analisi del contesto socio-educativo in cui l’obbligo per tali scolari è stabilito come pressoché assoluto, né sulla possibilità che vi sia un calo di ossigenazione per apparati polmonari assai giovani causato dall’uso prolungato della mascherina». Né emergono, sempre secondo quei giudici, elementi tali «da far ritenere che l’amministrazione abbia effettuato un opportuno bilanciamento tra il diritto fondamentale alla salute della collettività e tutti gli altri diritti inviolabili, fra cui primariamente il diritto alla salute dei minori di età ricompresa fra i 6 e gli 11 anni, sì da poter connotare di ragionevolezza e proporzionalità l’imposizione a questi ultimi dell’uso di un dispositivo di protezione individuale in modo prolungato e incondizionato, anche al banco e con distanziamento adeguato».

Certo che fra banchi a rotelle, didattica a distanza, imposizione scriteriata di mascherine, il Ministero dell’Istruzione italiano non è mai stato più disastrato di così. Del resto, essere passati da un ministro come il filosofo Giovanni Gentile alla grillina Lucia Azzolina è davvero un segno dei tempi.