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ORA DI DOTTRINA / 44 - LA TRASCRIZIONE

Santificare le feste - IL TESTO

Il comandamento di Dio sulla santificazione delle feste va compreso nel contesto ebraico in cui viene dato. Lo shabbat, il settimo giorno, è quello della contemplazione. C'è una separazione netta tra i sei giorni di lavoro e il settimo, che indica la finalità che orienta la vita dell'uomo.

Catechismo 06_11_2022

In questa lezione iniziamo a trattare del terzo comandamento, ovvero il comandamento che chiede di SANTIFICARE LE FESTE. Il Catechismo della Chiesa Cattolica ne parla dal paragrafo 2168 in poi.

In apertura il Catechismo riporta il testo di Esodo 20, 8-10:

"Ricordati del giorno del sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te".

Quello che ci proponiamo in questa lezione è cercare di capire il senso che Dio ha posto nel dare questo comandamento. Per farlo abbiamo innanzitutto bisogno di scoprire il contesto ebraico in cui esso è inserito.

Stiamo appunto parlando del libro dell'Esodo e del decalogo di precetti che Dio ha dato al popolo di Israele, i quali non sono mai stati aboliti dalla Chiesa, ma Gesù li ha perfezionati. Il senso che sta alla base di tutto, quindi, lo ereditiamo dall'Antico Testamento e dalla modalità con cui il popolo ebraico ha compreso, recepito e vissuto questo comandamento. C'è una tradizione ebraica che ci permette di andare più in profondità rispetto a questo precetto.

Per capire il senso dello Shabbat, che è appunto il settimo giorno, partiamo dall'Esodo che dice: "Sei giorni farai il tuo lavoro, il settimo è il sabato in onore del Signore tuo Dio, non farai alcun lavoro".

Lo schema è  6+1, dove l'uno è un giorno diverso dai sei giorni precedenti. Ciò che marca la distinzione e la differenza tra il gruppo dei sei giorni e lo Shabbat è proprio il fatto che nei sei giorni lavorerai ed il settimo, essendo per il Signore, dunque non lavorerai.

La tradizione ebraica inizia lo Shabbat con un duplice rito:

- un rito di introduzione che avviene al tramonto della vigIlia dello Shabbat - ovvero la benedizione del Kiddush (che è la coppa di vino);

- un rito di uscita dallo Shabbat che avviene un'ora dopo il tramonto dello Shabbat. Il rito dell’ Havdalah, che significa separazione.

Il giorno di Shabbat è un giorno santo, sacro, che significa “separato”; è un giorno che si colloca tra questi due riti, che lo separano dagli altri sei giorni.

Dobbiamo ricordare che Israele è sempre chiamato il “popolo santo” di Dio; popolo santo vuol dire popolo separato dagli altri popoli: questa idea della separazione è un’idea fondamentale che noi abbiamo perso. La separazione indica qualcosa che è messo a parte per Dio e che perciò riverbera benefici e benedizioni per tutti. C'è un parallelo tra Israele, il popolo santo, e lo Shabbat che è il giorno santo.

Israele, il popolo santo, è messo a parte rispetto agli altri popoli per essere esclusivamente per Dio; il sabato è un giorno messo a parte rispetto agli altri sei giorni, per essere dedicato totalmente a Dio. C'è dunque un'intima relazione tra lo Shabbat e Israele, tanto che c'è un'antica tradizione che considera lo Shabbat la sposa di Israele, colei che diventa una cosa sola con Israele.

Questa idea fondamentale della connessione tra la separazione di Israele e e quella del sabato per Dio è anche alla base di un detto ebraico che dice così: "Lo Shabbat ha custodito gli ebrei più di quanto gli ebrei abbiano osservato lo Shabbat".

Questo significa che l'identità del popolo ebraico, anche dopo la diaspora, è legata al suo mantenimento dello Shabbat, che lo contraddistingue da tutti gli altri popoli ed un  aspetto che lega tra loro gli  ebrei.

Vivere lo Shabbat significa dunque ENTRARE NELLA SANTITÀ E NEL RIPOSO DI DIO che è la sua contemplazione: Dio nel settimo giorno contempla l'opera delle sue mani e dà l'esempio di quello che deve fare l'uomo.

Lo schema che dicevamo prima 6+1 è uno schema fondamentale; ciò vuol dire che la vocazione dell'uomo non può compiersi nei sei giorni dedicati al lavoro delle proprie mani, ma si compie il settimo giorno, ovvero nel giorno in cui l'uomo alimenta e dà spazio a quella che è la sua natura più intima ed elevata che è la contemplazione. La contemplazione è un'attività che non è rivolta all'utile, non è finalizzata ad altro, non “serve”, ma ha in sé stessa il proprio fine, ossia la contemplazione della realtà creata e di Dio che è il creatore di questa realtà.

Il comandamento di osservare il sabato indica la finalità che orienta la vita dell'uomo: sei giorni in cui l'uomo svolge un'attività che è utile e che non è fine a sé stessa, mentre il settimo giorno - che Dio per primo osserva - è dedicato a quello che sarà il settimo giorno eterno, ovvero la contemplazione. L'uomo se non entra in questo schema e non ferma la propria attività utile, e quindi non la indirizza ad un fine più alto, perde completamente sé stesso.

Lo Shabbat è anche il MEMORIALE DELLA LIBERAZIONE del popolo di Israele dalla schiavitù dell'Egitto. Il memoriale non è il semplice ricordare, ma significa rivivere quell'episodio archetipo che sta all'origine e riviverlo perché in qualche modo viene ridata la grazia ad esso legata.

Cosa è successo con la liberazione di Israele dalla schiavitù del faraone?

Dio ha decretato che il popolo di Israele non doveva più essere schiavo della prepotenza del faraone, ma anche di quel modo di lavorare servile e totalmente asfissiante che il faraone aveva imposto. Al punto tale che il faraone non permetteva agli ebrei di andare a rendere culto a Dio e quando Mosè si presenta da lui per dirgli di lasciare che gli ebrei possano andare a sacrificare al loro Dio, il faraone aumenta ancora di più il lavoro, aumentando ancor più il “6” e negando il “7”.

Lo Shabbat è perciò ciò che mantiene la libertà e che impedisce di ricadere nella schiavitù del lavoro, che diviene così interamente servile e non il lavoro di un uomo libero, dell'uomo che si eleva a Dio, che contempla Dio, che si rivolge a Dio nel culto. Il grande errore di pensare che la domenica sia il giorno di riposo per lavorare meglio il lunedì è il rovesciamento del senso dello Shabbat: sono i sei giorni che sono in funzione del settimo; è il lavoro servile che è in funzione del culto e non il contrario.

Nel rito dell'Havdalah, che separa il settimo giorno dai sei giorni, ci sono degli elementi fondamentali che hanno lo scopo di impregnare i cinque sensi dell'uomo, perché portino il ricordo dello Shabbat durante la settimana, e li orienti verso il nuovo Shabbat.

Come è fatto questo rito? Ci sono TRE BENEDIZIONI:

- la benedizione del fuoco

- la benedizione del vino

- la benedizione degli aromi

Il Fuoco implica vedere la luce e percepirne il calore. Gli aromi, che non sono solo benedetti, ma che devono essere annusati, coinvolgono l’olfatto. Il vino implica il gusto. E ascoltare la benedizione di fuoco, aromi e vino richiama l'udito.

Quindi tutti i cinque sensi sono implicati, tutto l'uomo nel suo insieme. Nei cinque sensi si deve imprimere il sapore, l'aroma, la visione... dello Shabbat. Perché la memoria dello Shabbat deve essere custodita nei sei giorni, affinché lo Shabbat custodisca il pio israelita.

Per questo lo Shabbat è anche caratterizzato da UNO STACCO rispetto agli altri giorni: ci sono dei precetti precisi (Mitzvot) che richiedono appunto di sottolineare e marcare questa discontinuità. Per esempio, in questo giorno si devono consumare almeno tre pasti, si deve apparecchiare la tavola in un certo modo, ci devono essere delle candele, dei canti, c'è un riposo… Tutto serve ad orientare l'uomo interiormente al fine dello Shabbat, che non è l'osservanza dei precetti, ma è la contemplazione.

Attenzione! L'osservanza dell'elemento esterno non è qualcosa che ha a che fare con il fariseismo, ma con una intelligente conoscenza di quello che è l'uomo e la consapevolezza che se non c'è l'esterno l'interno si perde; sarebbe come conservare un aroma senza la bottiglia che lo contiene.

Il senso dell'inspirare gli aromi è molto importante, perché è segno, secondo la tradizione ebraica, della “seconda anima” che viene infusa in giorno di Shabbat. Che cos’è questa infusione di una “seconda anima”? Vuol dire che l'uomo, grazie all’aiuto di Dio, diviene capace di elevarsi al piano che non è quello del lavoro servile, ma è quello della contemplazione. In alcuni testi si parla di uno spirito di Dio, che alla luce della rivelazione cristiana, richiama appunto lo Spirito Santo, la terza persona della Trinità.

C'è un altro aspetto. Lo Shabbat non è solo memoria della creazione e del ritmo della creazione; non è solo memoria della liberazione dalla schiavitù dell'Egitto; lo Shabbat è anche ANTICIPAZIONE, caparra di quel riposo in cui si entrerà nella NUOVA VITA, che sarà interamente assorbita dalla contemplazione e dal culto di Dio, come ci insegna il libro dell’Apocalisse, presentando il trono di Dio e l'Agnello e davanti a lui tutta una corte che vive una infinita ed eterna liturgia di gratitudine e di adorazione.

L'osservanza dello Shabbat si sposa con un altro dato fondamentale che è espresso nel libro del Levitico e cioè l'anno sabbatico. Non solo il ciclo del 6+1 ricorre nella settimana, ma anche negli anni: ogni sei anni, il settimo anno "non mieterai…non vendemmierai...sarà un anno di completo riposo della terra". Ritorna appunto il legame tra il riposo e la contemplazione di Dio. Il capitolo 25, 18-22 ci ricorda che l'osservanza dell’anno sabbatico, ma anche del giorno di sabato, è la condizione perché Dio possa benedire la vita dell'uomo, fino a dargli il sovrappiù:

“Metterete in pratica le mie leggi e osserverete le mie prescrizioni, le adempirete e abiterete il paese tranquilli. La terra produrrà frutti, voi ne mangerete a sazietà e vi abiterete tranquilli. Se dite: Che mangeremo il settimo anno, se non semineremo e non raccoglieremo i nostri prodotti?, io disporrò in vostro favore un raccolto abbondante per il sesto anno ed esso vi darà frutti per tre anni. L'ottavo anno seminerete e consumerete il vecchio raccolto fino al nono anno; mangerete il raccolto vecchio finché venga il nuovo”.