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San Domenico: predicatore di Cristo, atleta della verità

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Le pagine degli Acta Sanctorum curate da Teodorico d’Appodia ci spiegano che il fondatore dell’Ordine dei Predicatori colpiva chiunque lo incontrasse con la sua presenza, luce e serenità. E per Dante, Domenico è il «drudo della fede».

Cultura 17_11_2025

Nato nel cuore della Castiglia nel 1170, san Domenico di Guzmán trasformò la sua vita in una missione che avrebbe acceso l’Europa medievale. Figlio di Felice di Guzmán e Giovanna d’Aza, educato alla fede fin da bambino, Domenico scelse presto la via dello studio e della predicazione. A Palencia affinò le arti liberali e la teologia, ma fu sulle strade percorse dai catari che il giovane sacerdote trovò la sua vera vocazione: annunciare la verità con passione e combattere l’eresia con la forza della parola.

Nel 1216, con l’approvazione di papa Onorio III, nacque l’Ordine dei Frati Predicatori: un movimento che in pochi anni si diffuse in tutta Europa, dalle università ai conventi, fino alle piazze dove i frati domenicani venivano chiamati dal popolo «i frati di Maria». San Domenico salì al Cielo il 6 agosto 1221 e venne canonizzato tredici anni più tardi da papa Gregorio IX. La sua eredità spirituale rimane viva ancora oggi, come una fiamma che continua ad ardere.

Il ritratto di Cecilia Cesarini

San Domenico di Guzmán, così come emerge dalle pagine degli Acta Sanctorum curate da Teodorico d’Appodia, appare come una figura viva e concreta, quasi ritratta da un cronista di costume più che da un agiografo. Non è il santo astratto e distante, ma un uomo che colpiva chiunque lo incontrasse con la sua presenza, luce e serenità. Teodorico riporta la descrizione che offre la beata Cecilia Cesarini (1200 circa - 1290), discepola di san Domenico e testimone privilegiata. Con parole semplici ma incisive, ella ci restituisce l’immagine di Domenico: uomo di statura media e corpo esile, dal volto armonioso e dalla carnagione rosea. I capelli e la barba, tendenti al rosso, incorniciavano occhi splendenti, capaci di infondere rispetto e simpatia. Dal suo sguardo e dalla sua fronte emanava un chiarore che sembrava riflettere la pace interiore e la forza della sua missione. Sempre sereno e sorridente, si rattristava soltanto quando condivideva le sofferenze altrui. Le sue mani, lunghe e belle, accompagnavano una voce forte e melodiosa, che rendeva la predicazione ancora più incisiva. Non conobbe mai la calvizie: la corona della rasura, segno della sua consacrazione, rimase intatta, appena velata da qualche filo bianco, come un sigillo di sapienza e maturità.

Teodorico non si limita a descrivere i tratti esteriori, ma lascia trasparire il carisma di Domenico, la sua capacità di comunicare gioia e fermezza, la sua vocazione a rendere la fede accessibile e luminosa. È un ritratto che, letto oggi, ha quasi il ritmo di un reportage: dettagli concreti, pennellate di colore, simboli che diventano icone – la stella sulla fronte, il cane con la fiaccola, il giglio e il libro – e che trasformano il santo in un personaggio da prima pagina. Un uomo che predicava non solo con le parole, ma con la sua stessa presenza, e che continua a parlare anche al lettore contemporaneo.

San Domenico, il «drudo della fede» secondo Dante

San Domenico compare nel canto XII del Paradiso, nel quarto Cielo, quello del Sole. È san Bonaventura a presentarlo a Dante come fondatore dell’Ordine domenicano. Il ritratto dipinto sembra uscire da un romanzo cavalleresco più che da un manuale di teologia. La sua vita è descritta come una vera «militia», un combattimento quotidiano contro il peccato e contro il male, per affermare l’unico vero bene: Cristo, via, verità e vita. La Chiesa militante diventa così un esercito di Cristo e Domenico ne è il «drudo» fedele, il vassallo che non tradisce, l’atleta che combatte con dolcezza verso i suoi e con durezza verso i nemici della fede.

Non è un convertito come Francesco d’Assisi, ma un santo nato già con il segno della vocazione: la madre lo sogna ancora nel grembo come un cane bianco e nero con una fiaccola in bocca, pronto a incendiare il mondo di luce. La madrina, a sua volta, vede nei sogni i frutti che quel bambino avrebbe portato alla Chiesa. Non a caso il suo nome, Domenico, significa «appartenente al Signore»: nomen come omen, il destino scritto nel nome. La sua terra d’origine, Caleruega, è descritta con immagini poetiche: un borgo fortunato, protetto dallo scudo araldico di Castiglia e León, non lontano dall’Atlantico. Domenico è diverso da Francesco, ma entrambi diventano colonne della Chiesa. Domenico, «splendore di cherubica luce», «rematore della barca di Pietro», «agricola dell’orto di Cristo», si muove come un torrente che scende impetuoso a irrigare la vigna della fede.

Chiede al papa Onorio III la licenza di combattere le eresie e lo fa con la forza della dottrina e con la passione dell’apostolo. Dal suo torrente nascono fiumi che irrigano l’orto cattolico: conventi, monasteri, terz’ordine, una rete che attraversa l’Europa e mantiene vivi gli arboscelli della Chiesa. Il padre Felice e la madre Giovanna portano nomi che sono già profezie: «fortunato» e «Dio ha avuto misericordia». Domenico diventa così il predicatore che sorveglia la vigna, il pugilatore della fede, il messaggero di Cristo. San Domenico appare un atleta della verità, un torrente che non smette di scorrere, capace di ispirare ancora oggi chi lo incontra.



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