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DIFESA

Ritorno alla naja? Meglio una vera Riserva operativa

Salvini propone il ritorno alla leva obbligatoria. Ma i militari stessi sono scettici. Meglio sarebbe una vera riserva operativa, con ex militari disponibili al richiamo. Un impiego futuro? L'emergenza jihadista nelle no-go zones cresce nelle nostre città.

UN ANNO BUTTATO di R. Cammilleri

Politica 13_08_2018
Vecchio giuramento degli Alpini

"Vorrei che oltre ai diritti tornassero a esserci i doveri", di fronte ai casi di mancanza di educazione e senso civico, "facciamo bene a studiare i costi, i modi e i tempi per valutare se, come e quando reintrodurre per alcuni mesi il servizio militare, il servizio civile per i nostri ragazzi e le nostre ragazze così almeno imparano un po' di educazione che mamma e papà non sono in grado di insegnare". L’annuncio nel comizio tenutosi sabato a Lesina, in Puglia, non è del tutto una novità per il vicepremier e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che già in passato aveva ventilato questa ipotesi che peraltro non è presente nel “contratto di governo” che impegna Lega e M5S.

La proposta ha consentito all’ex ministro della Difesa Ignazio La Russa (FDI) di ricordare a Salvini la sua legge sulla cosiddetta “mini naja” che consentiva di far vivere ai giovani (su base volontaria, non obbligatoria) la vita militare per tre settimane, che ora La Russa vorrebbe estendere a 40 giorni. Si tratta comunque di un’ipotesi ben diversa dal ripristino di un servizio militare (“o civile” ha aggiunto Salvini) in cui per alcuni mesi i giovani debbano rendersi disponibili per lo Stato e la collettività.

Fredda la reazione degli ambienti della Difesa, diretti interessati da un simile provvedimento. Pochi giorni or sono il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta (M5S), aveva definito in un’intervista televisiva “anacronistica l'idea di ritornare ad avere il servizio militare obbligatorio, in considerazione del fatto che le forze armate italiane di oggi sono composte da professionisti". Più possibilista, pur entro ambiti specifici, è parso il capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Claudio Graziano, che al Mattino di Padova ha ricordato che i militari di leva non potevano più essere impiegati in operazioni complesse e a rischio che richiedono addestramento e capacità di operare in ambiti internazionali. “Potrebbe esistere un nuovo progetto da vedersi sia come momento di formazione a servizi come la Protezione Civile sia come possibilità in futuro di allargare alle forze armate in caso di bisogno” aveva aggiunto Graziano parlando di “una nuova forma di riserva che potrebbe anche servire al ringiovanimento delle forze armate e allo sviluppo del Paese".

Un altro alpino, il generale Giorgio Battisti, già alla testa del comando Nato di Solbiate Olona (Varese) e che ha ricoperto numerosi incarichi in Afghanistan, ritiene che il servizio militare di leva, nato dalla Rivoluzione Francese per la difesa dei confini nazionali, ha avuto un ruolo fondamentale per la nostra società, sia in tempo di pace sia in guerra, dall’Unità d’Italia (1861) alla fine della Guerra Fredda (1991). “Non ritengo, tuttavia, che oggi possa trovare più realizzazione, in quanto non sarebbe in grado di soddisfare le aspettative di Forze Armate moderne capaci di confrontarsi alla pari con gli altri eserciti occidentali” ha detto nel giugno scorso intervistato dal web magazine Analisi Difesa aggiungendo che “la Difesa non dispone più dell’organizzazione e delle risorse per reintrodurre il servizio militare obbligatorio, per carenza di caserme, equipaggiamenti, personale d’inquadramento e capacità sanitarie”. Battisti propone però la creazione di un Servizio di Difesa Nazionale (SDN) obbligatorio della durata di alcuni mesi, a inquadramento militare, che assorba il “Servizio Civile Nazionale”, istituito con L. 64/2001 su base volontaria. L’SDN dovrebbe essere rivolto esclusivamente ad attività di pubblica utilità (assistenza, tutela ambientale ambienteeducazione e promozione culturalepatrimonio artistico e culturale, ecc.) ed a interventi di protezione civile a favore della popolazione in caso di calamità naturali o disastri provocati dall’uomo. Qualcosa di simile a quanto proposto da Salvini quindi, ma senza compiti armati.

Sul piano sociale la proposta di Salvini può avere un valore per la formazione dei giovani, affiancando la famiglia nell’educazione al dovere verso la collettività e lo Stato, ma difficilmente un tale provvedimento otterrà ampi consensi nelle nuove generazioni ormai lontane dal concetto di “servizio militare”. Né è pensabile riproporre standard poco qualificanti come quelli che caratterizzarono la “vecchia naja”. Il servizio obbligatorio dovrebbe garantire qualità e formazione efficace con costi però non irrilevanti. Sul piano militare l’efficacia del ripristino della leva è dubbia poiché in pochi mesi non si può addestrare un moderno soldato né pensare di impiegarlo in missioni di combattimento.

Meglio sarebbe forse dedicare le ingenti risorse richieste dal ripristino della leva obbligatoria a istituire una vera Riserva operativa in cui potrebbero confluire ex militari tra i 25 e i 40 anni che dopo aver trovato un diverso impiego sono disponibili a venire richiamati fino a 2 o 3 mesi annui per addestrarsi e tornare in servizio su richiesta. I tagli agli organici stanno riducendo i numeri dei militari in servizio attivo (da oltre 180 mila a 154 mila entro il 2024) e soprattutto stanno facendo innalzare l’età media dei militari già oggi superiore ai 40 anni e che senza interventi decisi per arruolare giovani sfiorerà i 50 anni alla fine della riforma degli organici varata nel 2012.

La Riserva operativa consentirebbe di disporre di forze fresche da richiamare in caso di necessità per missioni oltremare ma soprattutto per le crescenti esigenze di sicurezza interna che coinvolgono sempre più spesso i militari. Oggi l’esercito schiera 14 mila militari annui (in turni semestrali di 7mila unità) per l’operazione “Strade sicure”, il pattugliamento dei centri urbani, più gli impegni legati a spegnere incendi e in prospettiva, anche a pattugliare ospedali e campi rom a giudicare dalle richieste emerse in questi ultimi giorni. La preoccupante tendenza alle sollevazioni e ai disordini urbani, già dilagante in molti Stati del Nord Europa ma che diverrà presto endemica a causa soprattutto della crescente e pressante presenza di immigrati e soprattutto della vasta componente islamica, potrebbe cambiare presto le prospettive della sicurezza nei paesi europei, anche in termini militari.

Finora l’Occidente ha messo a punto strumenti militari piccoli, flessibili, altamente mobili e tecnologici pronti a essere impiegati in ogni angolo del mondo. Se in futuro eserciti e corpi di polizia dovranno invece liberare banlieue, “no go area” e i tanti “Molenbeek” ormai fuori dal controllo dello Stato, occorreranno nutriti contingenti di soldati per presidiare strade, piazze, quartieri e fornire supporto ai reparti combattenti e di ordine pubblico. Austria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Grecia, Lituania, Norvegia e Svizzera hanno ancora in vigore il servizio militare obbligatorio ma nel 2017 anche la Svezia l’ha reintrodotta dopo averla abrogata nel 2010. La motivazione ufficiale è la crescente minaccia russa, ma non dimentichiamo che in giugno il capo della polizia ha ammesso che oltre 60 aeree urbane del paese sono inaccessibili alle forze dell’ordine, nelle mani delle gang di immigrati islamici.