Ricatti ai vip e privacy violata, il caso Raoul Bova
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Non solo gossip, ma una potenziale estorsione ai danni dell'attore. Il fatto, su cui indaga la Procura di Roma, mostra che il diritto alla riservatezza e alla sicurezza vale anche per i personaggi famosi, minacciati dall'esposizione pubblica della propria vita privata.

La tecnologia consente oggi di catturare, salvare e distribuire contenuti con una facilità sconcertante: telefoni, cloud, social media e piattaforme di diffusione virale creano un contesto in cui la privacy diventa un miraggio. A ciò si aggiunge un ulteriore elemento critico: la debolezza delle tutele giuridiche rispetto alla velocità della Rete.
Quando un contenuto viene pubblicato, il danno – non solo all’immagine, ma anche alla vita affettiva e alla serenità familiare di una persona – è già compiuto, anche se in seguito si dovesse accertare l’illiceità del gesto. Emerge così la figura del personaggio noto come bersaglio privilegiato di dinamiche estorsive, perché da una parte dotato di visibilità – e quindi vulnerabile al giudizio pubblico – e dall’altra spesso in possesso di risorse che lo rendono appetibile per chi cerca un guadagno immediato.
Queste considerazioni tornano più che mai d’attualità alla luce del caso che vede coinvolto l’attore Raoul Bova e che appare ben più complesso di una semplice vicenda di gossip. Dietro la notizia della separazione dall’attrice spagnola Rocio Muñoz Morales, con cui ha condiviso oltre un decennio di vita e due figlie, si cela infatti una potenziale estorsione, ora oggetto di indagine da parte della Procura di Roma. A quanto è dato sapere, tutto avrebbe avuto origine da una serie di messaggi audio, inviati da Bova alla modella e influencer ventitreenne Martina Ceretti, con la quale l’attore avrebbe avuto un rapporto sentimentale. Tali contenuti, di natura privata, sarebbero stati sottratti e utilizzati per minacciare la diffusione pubblica, lasciando intendere una richiesta implicita di denaro, mai formulata in modo esplicito.
Il messaggio anonimo, arrivato a Bova da un numero sconosciuto, annunciava che le conversazioni intime con la Ceretti erano in possesso del mittente, e che potevano essere rese pubbliche, arrecando un danno all’immagine dell’attore. Bova non avrebbe risposto, ma pochi giorni dopo – il 21 luglio – i contenuti sono stati effettivamente divulgati da Fabrizio Corona attraverso il suo podcast “Falsissimo”. Da lì l’inchiesta ha preso piede: la polizia postale, coordinata dal pm Eliana Dolce, ha sequestrato il cellulare della Ceretti e ha iscritto nel registro degli indagati un pr milanese, Federico Monzino, presunto amico della modella, che avrebbe avuto un ruolo attivo nella trasmissione degli audio e nella minaccia velata all’attore.
Monzino ha ammesso di aver trasmesso il materiale a Corona per conto di Martina Ceretti, sostenendo che la giovane aspirasse alla notorietà e che non potesse rivolgersi direttamente all’ex paparazzo. Ha negato con decisione qualsiasi tentativo di estorsione e ha affermato che i file sono stati inviati volontariamente, senza alcuna acquisizione illecita o forzata. In parallelo, Fabrizio Corona ha invece affermato che i contenuti gli sono stati consegnati da Monzino e Ceretti, ma che il ricatto a Bova è stato portato avanti senza il suo coinvolgimento diretto. Secondo Corona, infatti, il tentativo di ottenere denaro per bloccare la pubblicazione sarebbe avvenuto all’insaputa sua e del suo team, ma tramite i due giovani, il che li renderebbe responsabili dell’eventuale reato.
Martina Ceretti, dal canto suo, non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali ma si è trovata improvvisamente al centro del clamore mediatico come terza figura in un triangolo divenuto tanto intimo quanto pubblico.
Le implicazioni giuridiche del caso sono rilevanti. È stato lo stesso Garante della privacy a ricordare, per bocca di Guido Scorza, uno dei membri del Collegio dell’Autorità per la protezione dei dati personali, che “è vietato pubblicare e condividere colloqui privati" e "chi subisce un illecito da privacy può rivolgersi al giudice penale, come ha fatto l'attore, o al Garante, che applicherà sanzioni amministrative". L’Autorità, come ha chiarito Scorza, può chiedere al privato o alla piattaforma su cui il contenuto è stato postato di rimuoverlo, ma non può controllare le successive condivisioni, vale a dire l’ulteriore diffusione del materiale, il “repost”.
Il caso Raoul Bova insegna che la violazione della privacy può assumere forme molto gravi, come il ricatto e l’estorsione, quando informazioni private e sensibili vengono usate per ottenere un vantaggio illecito o per intimidire la persona coinvolta. Questo episodio mostra quanto sia importante tutelare non solo il diritto alla riservatezza, ma anche la sicurezza personale, perché la diffusione non autorizzata di dati o dettagli intimi può diventare uno strumento di pressione e abuso. Il caso evidenzia la necessità di leggi severe e di un’applicazione rigorosa per contrastare questi comportamenti criminali, proteggendo le vittime da ricatti e minacce. Inoltre, dimostra che anche chi è famoso ha diritto a una protezione totale contro lo sfruttamento illegale delle proprie vicende private, e che la privacy è un diritto che va difeso con forza, a tutela della dignità e della libertà personale.
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