Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Venerdì Santo a cura di Ermes Dovico
IPOCRISIE POLITICHE

Reddito di cittadinanza, il teatrino dei suoi nuovi tifosi

La legge di bilancio del Governo Meloni ha cambiato il reddito di cittadinanza. Ma ora, anche chi osteggiava il sussidio, lo difende a spada tratta pur di attaccare l’esecutivo, con una falsa retorica sui poveri. Eppure sono evidenti le criticità del meccanismo.

Politica 26_11_2022

La retorica perbenista che domina la discussione di questi giorni sul reddito di cittadinanza la dice lunga sull’ipocrisia che regna sovrana nella società italiana e in gran parte dei partiti politici. La legge di bilancio del Governo Meloni l’ha cambiato e intende abolirlo definitivamente fra un anno. Perfino i Cinque Stelle, che l’avevano proposto e introdotto anni fa, avevano ammesso che potesse essere migliorato. Ora, però, pur di attaccare l’esecutivo, anche chi osteggiava quel sussidio chiede di conservarlo e paventa rischi per la tenuta sociale qualora venisse cancellato. Incredibile ma vero.

Ma che cosa cambia in concreto nel 2023 per il reddito di cittadinanza? Con le novità introdotte dalla manovra, 660.000 occupabili rischiano di non riceverlo più già da settembre a dicembre 2023 perché, dal prossimo anno, il sussidio durerà otto mesi per gli abili al lavoro. E per chi ha in famiglia disabili, minori, anziani che rendono difficile l’occupabilità non cambierà nulla per il 2023 e si troveranno strumenti idonei dal 2024.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha parlato di “manutenzione straordinaria” della misura con maggiori controlli sul fronte di chi lo percepisce e di chi riceve offerte di lavoro. Viene proprio da dire: era ora, dopo quello che è stato scoperto in termini di illegalità nella fruizione di quel sussidio da parte di persone che poi percepivano compensi in nero, svolgendo anche altri lavori. A partire dal 2023, quindi, alle persone tra i 18 e i 59 anni occupabili ma che non hanno nel nucleo familiare disabili, minori o persone a carico con almeno 60 anni di età, è riconosciuto il reddito nel limite massimo di otto mensilità invece delle attuali 18 rinnovabili. Inoltre i beneficiari dovranno partecipare a un corso di formazione o riqualificazione professionale, pena la perdita del beneficio. Il sussidio si perde anche nel caso si rifiuti la prima offerta “congrua” di lavoro.

Dal 2024 il reddito di cittadinanza dovrebbe scomparire definitivamente, ma questo non vuol dire che il governo lascerà in mezzo alla strada gli indigenti. Semplicemente si vuole rendere più meritocratica l’attribuzione di sostegni di questo tipo, aiutando gli occupabili a trovare lavoro, compito che spettava ai famigerati navigator e che non è in realtà stato svolto da nessuno. Ma anziché applaudire un governo che finalmente pone fine a una situazione di parassitismo ai danni della collettività, alcune forze politiche hanno accusato l’esecutivo di pensare solo ai ricchi e di penalizzare i poveri. Chi esprime questo pensiero dimentica che le modifiche al reddito di cittadinanza inserite in manovra produrranno già un risparmio pari a 734 milioni per il 2023, ovvero meno di un decimo della spesa complessiva, che è di 8 miliardi. Quella somma non finirà ai ricchi, come qualcuno insinua, ma sarà usata per un apposito fondo con una riforma complessiva del sostegno alla povertà o all’inclusione.

Ma le critiche all’esecutivo si sono scatenate anche perché il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, ha proposto di legare il reddito di cittadinanza al completamento dell’obbligo scolastico. «Qualunque provvedimento di carattere assistenziale ci sarà al posto del reddito di cittadinanza potrà essere concesso a condizione che, se un ragazzo si è fermato alla licenza media o addirittura a quella elementare, possa completare l'obbligo scolastico iscrivendosi ai Centri per l'istruzione degli adulti, i cosiddetti Cpia che funzionano bene, oppure che, se ha già il diploma, segua uno dei corsi di formazione che finanzieremo con i nostri fondi», ha detto il ministro. Dopo le critiche feroci che gli sono piovute addosso, Valditara ha aggiunto: «Un buon genitore si preoccupa che questi ragazzi abbiano gli strumenti per farcela nella vita altrimenti rischiano di essere degli sbandati. E un buon ministro è quello che si preoccupa del futuro dei propri studenti. Sto ponendo un tema serio. Ci sono centinaia di migliaia di ragazzi che non si formano, non studiano, non cercano un lavoro. E noi cosa facciamo? Stiamo zitti e in più gli diamo il reddito di cittadinanza come se fosse la paghetta immeritata?».

Ma più che una paghetta immeritata, questo reddito di cittadinanza, così come è ora, appare una sorta di “pizzo di Stato”. Chi non vuole perderlo, minaccia di delinquere, spacciare, farsi arruolare dalla malavita. Di qui lo scenario di una protesta sociale esplosiva e prolungata, disegnato da quanti chiedono alla Meloni di fare marcia indietro e di lasciare le cose come stanno. Bene fa l’esecutivo a non cedere a questi ricatti. Ipocriti sono invece coloro i quali hanno sempre ammesso che il reddito di cittadinanza non funziona e ha sostanzialmente fallito la sua missione di favorire il reinserimento nel mondo del lavoro e ora si disperano perché il governo vorrebbe riformarlo. È l’ennesima dimostrazione di quanto sia difficile in Italia introdurre la meritocrazia senza scatenare le reazioni di chi punta a vivere sulle spalle degli altri.