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NUOVI DIRETTORI

Rai, sulle nomine la politica strilla. Come sempre

La politica non accetta l’idea che la Tv pubblica possa diventare un’azienda come le altre. Ne abbiamo avuto l’ennesima riprova in occasione delle nomine di alcuni nuovi direttori. Il cda di viale Mazzini ha approvato a maggioranza il pacchetto di nomine per le direzioni di Tg2, Tg3, Radio1 e Rai Parlamento.

Politica 05_08_2016
Il Cavallo simbolo della Rai

Sei mesi fa il Parlamento ha approvato una legge di riforma della Rai che conferisce ai suoi vertici ampi poteri decisionali, anche in materia di nomine. Tali poteri sono stati correttamente esercitati in varie occasioni dal direttore generale, Antonio Campo Dall’Orto, che ha nominato persone di sua fiducia e di provata competenza in ruoli-chiave. 

Evidentemente la politica non accetta l’idea che la Tv pubblica possa diventare un’azienda come le altre, assoggettata a regole di efficienza e di misurazione dei risultati e tenta di imporre disperatamente le sue liturgie, fatte di lottizzazione, imposizioni, condizionamenti. Ne abbiamo avuto l’ennesima riprova ieri, in occasione delle nomine di alcuni nuovi direttori. Il consiglio d’amministrazione di viale Mazzini, cui la nuova legge sottrae peso decisionale, ha approvato a maggioranza (sei voti favorevoli, tre contrari) il pacchetto di nomine proposto da Campo Dall’Orto per le direzioni di Tg2, Tg3, Radio1 e Rai Parlamento. 

Al Tg2 Ida Colucci prende il posto di Marcello Masi, di cui è stata vice per alcuni anni; al Tg3 Luca Mazzà sostituisce Bianca Berlinguer; a Radio 1 Giornale Radio Andrea Montanari rimpiazza Flavio Mucciante, mentre Rai Parlamento passa dalle mani di Gianni Scipione Rossi a quelle di Nicoletta Manzione. Al tg1 resta Mario Orfeo. Si tratta di nomine assolutamente ragionevoli, coerenti con un nuovo piano delle news, e che dovrebbero accontentare sia l’Usigrai sia la Federazione nazionale della stampa, soprattutto perché avvenute all’interno dell’azienda, senza chiamate di giornalisti di altre testate e redazioni. Nonostante questo, si grida allo scandalo e ci si indigna, ma per cosa? 

La polemica più rovente si è consumata sul siluramento di Bianca Berlinguer, che sarebbe stata allontanata dal suo ruolo (peraltro con la promessa di una striscia quotidiana e di un programma di approfondimento in seconda serata) in quanto considerata troppo anti-governativa. Non sappiamo se risponda al vero tale insinuazione, ma ricordiamo che la stessa Berlinguer era già finita nel mirino per aver mantenuto il doppio ruolo di direttore e conduttore, non in linea con la policy aziendale. E stupisce il fatto che in passato la Berlinguer sia stata oggetto di attacchi virulenti da parte del centrodestra, che oggi denuncia una presunta normalizzazione degli spazi informativi della Tv pubblica proprio a partire dalla sostituzione della direttrice “nemica”. 

E che dire di Ida Colucci? Considerata vicina al centrodestra, ma non ostile al governo, potrebbe essere figlia di un rinascente “Patto del Nazareno”, secondo i maligni, ma noi preferiamo apprezzare la scelta dei vertici di promuovere una risorsa interna che certamente conosce a fondo la macchina del Tg2. Queste nomine non sono piaciute neppure a politici come Alfano e Bersani e ad alcuni senatori della minoranza dem come Fornaro e Gotor, che si sono dimessi dalla commissione di vigilanza per protestare contro la “lottizzazione renziana”.

Abbiamo più volte scritto che se la riforma della Rai diventasse il pretesto per sostituire alla lottizzazione parlamentare la sottomissione dell’informazione pubblica al potere esecutivo sarebbe da cancellare immediatamente. Già negli anni Settanta la Corte Costituzionale ha esplicitamente vietato la riconduzione della Rai nell’alveo delle scelte del governo. La verità è che tutti i partiti, ancora oggi, pretendono di allungare i propri tentacoli verso viale Mazzini, nella speranza di ottenere uno spazio in più, un’intervista in più, una visibilità maggiore per i propri leader. 

Ma il pluralismo non è questo e la natura del servizio pubblico, che faticosamente gli attuali vertici stanno cercando di rinverdire, non è questa. Pluralismo vuol dire massima apertura alle opinioni di tutti, racconto della realtà dei fatti senza paraocchi o pregiudizi né spartizioni preventive. Servizio pubblico vuol dire consultare gli utenti e aumentare gli spazi di interattività, affinché i cittadini che pagano il canone si sentano sempre più partecipi della programmazione radiotelevisiva pubblica. 

Forse sarà anche vero che Renzi sta tentando di condizionare le scelte della Rai, anche se dice il contrario, puntando su direttori favorevoli alla riforma costituzionale, visto che il referendum si avvicina. Intanto, però, la gestione della Tv pubblica degli ultimi mesi segna una evidente discontinuità con pratiche lottizzatorie che per decenni hanno imperversato senza alcuna logica meritocratica e senza alcun meccanismo di rendicontazione. Solo fra due anni sarà giusto giudicare e valutare l’operato degli attuali vertici e tirare le somme di un triennio gestionale dinamico e proiettato verso l’integrazione multimediale e verso una concezione diversa della tv. In Italia, invece, c’è un vizio assai radicato: impedire agli innovatori di fare strada per paura che i loro successi svelino la pochezza di chi li contrasta. L’auspicio è che gli attuali vertici Rai possano sfuggire a tale impietoso rituale.