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IL FILM

Quei noiosi rapper milionari che si fingono nel ghetto

Sta sbancando i botteghini americani, il film Straight outta Compton. The story of N.W.A. Così, invogliato da un articolo di Paolo Guzzanti, sono andato a cercare di vederlo. Dopo mezz’ora ho lasciato perdere, per noia mortale. Narra la storia di cinque ragazzi che negli anni Ottanta pare abbiano inventato la musica “rap”.

Cinema e tv 05_11_2015
Il rapper Dr Dre

Dice che sta sbancando i botteghini americani, il film Straight outta Compton. The story of N.W.A. Così, invogliato da un articolo di Paolo Guzzanti, sono andato a cercare di vederlo. Dopo mezz’ora ho lasciato perdere, per noia mortale. Oh, non che si tratti di un film noioso nel senso di lento e con lunghe pause di silenzio. No, è un film americano, e i cineasti americani non sono mica come quelli polacchi. Mi sono stufato subito perché ho una certa età e non sono un nero americano. Infatti, solo a certi adolescenti sudamericani immigrati in Europa o agli autoctoni afrostatunitensi residenti negli States il film potrà piacere. 

Narra, se non ho capito male, della nascita e affermazione del quintetto musicale N.W.A., definito «the world’s most dangerous group», cioè il complessino più pericoloso del mondo. Questi cinque ragazzi negli anni Ottanta pare abbiano inventato il “rap” (forse da “rapid”, il parlare ritmato e in rima che fa il cantante su una musica ossessiva), che è una (si dice) delle componenti della “cultura” hip-hop (boh); le altre sono il writing (i graffiti spray sui muri altrui) e la breakdance (assoli ballerini sul marciapiede caratterizzati da evoluzioni più o meno acrobatiche). Detta cultura si esprime anche in un abbigliamento seriale tratto dagli abiti da lavoro degli operai del Bronx: scarponi da ginnastica, berretto da baseball con la visiera sulla nuca, felpe, calzoni sformati bassi di vita e cavallo. 

Il titolo del film vuol dire “Dritto fuori da Compton”, che è il sogno dei giovanotti protagonisti: lasciare la cittadina di provincia per un futuro migliore. Ora, poiché il famoso sogno americano non è altro che fare un sacco di soldi, possibilmente subito, tra le prime scene del film c’è il ragazzo che non vuol mica fare la vita di sua madre, che l’ha tirato su a sacrifici. Così, se ne va. Sì, perché col duro lavoro i soldi non si fanno, come sua madre ha dimostrato. E se i soldi non li fai mentre sei ancora giovane per poter goderteli, è inutile affaticarsi. Il resto della storia, come ho detto, non ha importanza ai fini del presente articolo. Quel che impressiona è lo spettacolo di un mondo tutto sommato cupo e violento. 

Un mondo di tipo tribale in cui comanda il maschio dominante e le donne sono solo chicken, cioè “pollastre” a disposizione del padrone di turno. Il tutto immerso in complicati saluti (tra maschi) con tocchi di pollice e nocche e conclusi da abbracci laterali; poi, dito medio sempre alzato, «fuck you» in continuazione, coltelli a scatto e armi da fuoco. Fratello di qua e fratello di là, droga, tamburi ossessivi, poliziotti che pestano i neri senza apparente ragione. Poliziotti che però sono spesso neri pure loro e, dato l’ambiente, qualche ragione a volte ce l’hanno. Un mondo in cui l’omicidio (tra neri) non è un evento raro e neppure inatteso. Il “rap”di cui si parla è quello declinato nella versione non a caso detta gansta, da “gangster” (tutto il linguaggio dell’ambiente è gergo stradaiolo, a partire da quell’”outta” del titolo). L’odio per la polizia è il filo conduttore e il giro mentale è il meno politicamente corretto che si possa immaginare: donne picchiate e umiliate, machos palestrati e preminenti, disprezzo per i fag (lett.: froci). La cosa più impressionante è che i personaggi (maschi) non si tolgono il cappello nemmeno quando sono nudi e la temperatura è da forno. Chissà, forse vorrà dire qualcosa. 

Fa riflettere che i neri americani, grazie all’affermative act, è dagli anni Sessanta che hanno ogni strada aperta fino alle più alte cariche e posizioni sociali. Addirittura, un grottesco film degli anni Settanta, Soul man, narrava di un ragazzo bianco che si truccava da negro per lucrare un posto nelle quote riservate e poter iscriversi all’università. I sociologi, certo, avranno una spiegazione per questo fenomeno di autosegregazione a tutti gli effetti da parte di una buona fetta di negritudine statunitense che delle opportunità offerte dal sistema non intende giovarsi. Forse, più semplicemente, non le fa bene il vittimismo a cui l’ideologia radical-chic la incoraggia. Nemmeno, forse, l’esempio offerto dai N.W.A., che, in quell’odiato sistema, i soldi li hanno fatti davvero. E tanti. Uno di loro, Dr Dre (gli altri hanno nomi in stile: Ice Cube, Mc Ren, Fazy E, Yella), ha venduto la sua casa di produzione alla Apple per tre miliardi di dollari.