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DIALOGO

Qualche consiglio per convincere senza annoiare

Quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere. La frase è di Bertolt Brecht, di certo non un baciapile. Eppure chi non la condivide? Non serve essere un filosofo del diritto cattolicissimo per capire che se una legge comanda un atto aberrante questa legge può e deve essere disobbedita.

Editoriali 14_05_2015
Convincere senza annoiare si può

«Quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere». La frase è di Bertolt Brecht, di certo non un baciapile. Eppure chi non la condivide? Non serve essere un filosofo del diritto cattolicissimo per capire che se una legge ti comanda o solamente ti dà la possibilità di compiere un atto aberrante come uccidere o torturare, questa legge può e deve essere disobbedita.

Forse è questo il succo del discorso del convegno “Leggi ingiuste e disobbedienza civile” organizzato lunedì scorso presso l’Università europea di Roma. Convegno allestito in memoria di Mario Palmaro perché da lui stesso pensato e voluto. Giuristi e filosofi si sono alternati nelle relazioni – Paolo Pagani, Elvio Ancona, Roberto de Mattei, Luca Galantini, Romeo Astorri, Giacomo Rocchi – e gli spunti emersi, che verranno raccolti in un volume, sono stati dei più diversi. Ma su un punto vogliamo fermare la nostra attenzione, punto delineato con profondità dal prof. Elvio Ancona e che qui riprenderemo articolandolo in modo molto autonomo. 

Prendete il vostro collega di lavoro, il compagno di squadra con cui giocate a calcetto il lunedì sera, la vostra amica mamma con cui sorseggiate un caffè dopo aver portato il pupo all’asilo, il cognato che vedete a Natale e a Pasqua e, tanto per provare l’ebbrezza di un rafting un po’ particolare, provate a gettarvi insieme a lui nelle rapide di discorsi quali aborto, eutanasia, fecondazione artificiale, divorzio ed omosessualità. Se leggete la Bussola almeno due volte a settimana avrete acquisito arti divinatorie e quindi, prima che il vostro interlocutore spicchi parola, saprete già cosa avrà da dirvi: «la donna non può essere costretta a mettere al mondo un figlio non voluto, il corpo è suo, un bambino in provetta è sempre un bambino, se fossi in coma staccatemi la spina, meglio divorziare che far soffrire i figli, io non sono gay ma rispetto le scelte degli altri». Ci fermiamo qui a beneficio di coloro i quali non hanno assunto dosi massicce di farmaci antinausea. Quando il collega/compagno/cognato avrà terminato il catalogo del luogocomunismo che, come voi avevate previsto, ha squadernato puntualmente a vostro maleficio, la palla tocca a voi. Che gli dite? 

Se leggete la Bussola almeno tre volte a settimana iniziate a sparare dati sull’aborto, riscontri scientifici sul fatto che il concepito è un essere umano, cifre sul disagio dei figli che crescono con un solo genitore, analisi a prova delle fiamme dell’inferno che il matrimonio è indissolubile e che la diversità sessuale è condizione indispensabile per sposarsi, argomentazioni sofisticate sulla dignità dell’embrione e sul fatto che la vita è un bene indisponibile. Stare pur certi che in questa discesa tra le rapide della bioetica il vostro compagno di avventura ve lo siete già persi al primo gorgo, quando avete iniziato a parlare di “dati sull’aborto”. Dove sta il problema? Il problema sta nel fatto che, come diceva Tristram Engelhardt, siamo stranieri morali, cioè che i lettori della NBQ (lettori da due volte a settimana in su) e i lettori di GQ (una sorta di “Cioè” per adulti) parlano due lingue diversissime. Forse i primi capiscono i secondi, ma state pur certi che i secondi, se vi va bene, grondando noia da tutti i pori a sentire certi discorsi.

Torniamo all’esimio Ancona e al convegno di cui sopra, in cui guarda caso qualche lettore della NBQ (da cinque volte a settimana in su) era presente ed invece lo sfogliatore di GQ brillava per la sua assenza. La verità dell’ingiustizia profonda di certe scelte e delle norme che legittimano queste scelte deve essere spiegata ponendosi sulla frequenza d’onda del nostro interlocutore, cioè usando il suo immaginario, le sue espressioni, la sua sensibilità, il suo senso estetico, facendo leva su ciò che gli sta a cuore. Si parte da lì per non rimanere al suo livello, ma per portarlo un scalino più su, gradualmente. D’altronde questo è il significato dell’incarnazione. Le porte del Cielo non si sarebbero mai spalancate per noi terrestri se il Cielo non avesse deciso di toccare terra. Non si tratta di annacquare il vino buono, ma di fare un prudente e graduale corso di sommelier a chi è astemio. 

In altre parole esistono le ragioni fondanti e le ragioni motivanti. Le prime sono le argomentazioni più corrette, perché le più vere, per dire no all’aborto, all’eutanasia etc. Ma non è detto che siano le migliori per convincere il nostro collega o cognato. Se ad esempio io incontro un serial killer che ritiene giusto in coscienza sterminare chi gli pare e piace, ma «guai se mi tocchi la mamma», io per convincerlo che andare in giro ad ammazzare la gente non è proprio cosa edificante, non partirò da discorsi a cui il nostro è assolutamente impermeabile – la vita è un diritto fondamentale, non fare agli altri quello che non vorresti che fosse fatto a te, etc. – bensì partirò dalla mamma. Dalla sua di mamma e da quelle delle sue vittime. 

Inutile quindi – solo in certi contesti, si badi bene – battere il chiodo su legge naturale, volontà di Dio, dignità della persona umana e via dottrinando. Perché l’amico con cui state parlando di aborto negli spogliatoi, dopo la già citata partita di calcetto, vi ascolterà come si ascolta un cinese che parla mandarino. Se invece, tra una battuta sulle donne e una sull’Inter, gli fate sentire con il vostro smartphone il cuore di un bambino nel ventre della madre ecco che il mandarino inizierà a non sembrargli più tanto ostico. E, con tutto il rispetto per il nostro direttore, non vi servirà neppure leggere la NBQ sette giorni su sette.