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Polonia-Germania, la Lettera che favorì la riconciliazione

“Vi tendiamo le nostre mani accordando perdono e chiedendo perdono”. Il 18 novembre di 56 anni fa, i vescovi polacchi scrissero una lettera ai vescovi tedeschi che incise profondamente sull’opinione pubblica favorendo la riconciliazione delle due nazioni. Oggi si apre una mostra a Roma a ricordo dell’importanza di quella lettera nella storia dell’Europa.

Cultura 18_11_2021

L’Unione Europea ha i suoi “padri” fondatori che si conoscono bene: Robert Schuman, Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer. A loro si aggiungono altri personaggi come Joseph Bech, Jean Monnet, Paul-Henri Spaak, Altiero Spinelli. Ma nella storia europea ci sono anche tante persone meno conosciute che hanno dato un loro contributo, non meno importante, nella costruzione dell’Europa unita.

Tra questi si deve annoverare sicuramente l’arcivescovo di Breslavia (Wrocław, in polacco), Bolesław Kominek. A lui nel 2015 è stata dedicata un’interessantissima mostra nei Musei Vaticani. Ma perché l’arcivescovo (dal 1973 cardinale) Kominek dovrebbe essere riconosciuto come padre dell’Europa? Perché era un sincero e convinto promotore della riconciliazione tra i polacchi e tedeschi e senza la riconciliazione tra la Polonia e la Germania non sarebbe stato possibile includere nel processo di unificazione del continente europeo anche i Paesi dell’Est. Fu proprio lui il principale autore della famosa “Lettera dei vescovi polacchi ai vescovi tedeschi” spedita alla fine del 1965, in concomitanza con la chiusura del Concilio Vaticano II. La Lettera, firmata da tutti i vescovi polacchi presenti a Roma, contiene l’ormai storica frase: “Vi tendiamo le nostre mani accordando perdono e chiedendo perdono” (nella foto in alto, la prima pagina della lettera scritta in tedesco dai vescovi polacchi, insieme all'annuncio delle celebrazioni del Millennio del Battesimo della Polonia).

La Polonia e la Germania sono due Paesi vicini ma spesso nemici. Nel 1939 la Germania nazista scatenò la Seconda Guerra Mondiale e la Polonia fu la prima e la più grande vittima della follia nazista: circa 6 milioni di polacchi morirono a causa della guerra e dell’occupazione tedesca e il Paese fu distrutto economicamente. Nel 1945, i leader delle grandi potenze vincitrici della coalizione antitedesca concordarono delle risoluzioni riguardanti la divisione della Germania in zone di occupazione e stabilirono le modifiche dei confini del continente che implicavano lo spostamento dei tedeschi dall’Europa centrale e orientale mentre i territori dell’est della Polonia furono incorporati all’Unione Sovietica. In questo modo la Polonia perse il 17% della sua popolazione e il 45% del suo territorio, ma, a titolo di compensazione, ricevette alcuni territori orientali del Terzo Reich, che costituivano le province di Slesia, Pomerania occidentale e Prussia orientale oltre al territorio della Città Libera di Danzica. Il confine tra la Polonia e la Germania, stabilito sui fiumi Oder e Nysa, divenne il motivo principale delle tensioni nelle relazioni post-belliche tra i due Paesi. Un esodo forzato di intere popolazioni causò grandi sofferenze e scavò un fossato profondo tra i tedeschi e i polacchi.

Vent’anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, i vescovi cattolici polacchi, nel contesto del Vaticano II, scrissero la famosa Lettera di riconciliazione. Il suo autore fu appunto l’arcivescovo di Breslavia, monsignor Kominek (nella foto accanto, un monumento in suo onore a Breslavia). La sua città fu l’unica grande città europea dove si verificò uno scambio totale di popolazione: centinaia di migliaia di tedeschi furono rimpiazzati da altrettanti polacchi. Nessuno come lui conosceva le relazioni polacco-tedesche, perciò Kominek si rendeva conto che senza la riconciliazione tra la Polonia e la Germania non ci sarebbe stata un’autentica riconciliazione e la pace in Europa.

Anche se l’importanza del messaggio dei vescovi polacchi non fu subito compresa dai vescovi tedeschi, incise profondamente sull’opinione pubblica delle due nazioni e iniziò il processo di avvicinamento: nel 1970 il cancelliere tedesco Willy Brandt firmò a Varsavia un trattato con la Polonia, attraverso il quale la Germania riconobbe la nuova frontiera occidentale polacca; la rinascita democratica in Polonia nel 1989, iniziata sotto la spinta di san Giovanni Paolo II e con la nascita del sindacato “Solidarnosc”, ha portato successivamente alla caduta del Muro di Berlino; nel 2004 ha fatto il suo ingresso nell’Unione Europea.

In Polonia è nata un’iniziativa per il conferimento alla “Lettera dei vescovi polacchi ai vescovi tedeschi” del Marchio del patrimonio europeo. Alla Lettera è dedicata una mostra fotografica curata dal Centro Memoria e Futuro di Breslavia e che viene esposta all’Istituto Polacco a Roma diretto da Łukasz Paprotny. Per l’inaugurazione è stato scelto il giorno del 18 novembre, data simbolo in cui fu redatta la lettera nel lontano 1965. I contenuti saranno illustrati da Wojciech Kucharski, curatore della mostra, e da Andrzej Jerie, vicedirettore del Centro Memoria e Futuro, promotore e organizzatore dell’esposizione. Ospite d’onore l’ambasciatore della Repubblica di Polonia presso la Santa Sede, Janusz Kotański.

L’inaugurazione sarà seguita da una tavola rotonda intitolata “Attualità del Messaggio dei vescovi polacchi ai vescovi tedeschi per l’Europa odierna”, moderata da Gianfranco Svidercoschi, vaticanista che ha vissuto gli eventi del Concilio Vaticano II in prima persona come inviato dell’Ansa, con la partecipazione di Wojciech Kucharski, Marek Mutor, direttore del Centro Memoria e Futuro, e Andrzej Grajewski, storico e giornalista.