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Il rapporto

Pillole abortive, perché gli effetti avversi sono sottostimati

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C’è discrepanza tra i numeri forniti dall’industria dell’aborto sulle complicazioni legate all’uso del mifepristone (RU486) e del misoprostolo e quelli di studi più oggettivi. Dagli USA un’analisi su tre importanti motivi per cui gli effetti avversi sono molto sottostimati.

Vita e bioetica 09_10_2025

Perché le complicazioni delle pillole abortive sono sottostimate? A questa domanda risponde un rapporto di Randall K. O’Bannon, pubblicato nel settembre 2025 dal National Right to Life, un gruppo pro vita statunitense. L’analisi prende in considerazione alcuni studi recenti, insieme a dati ufficiali di enti federali come la Food and Drug Administration (FDA), dichiarazioni di pubblico dominio e tendenze dominanti nei media.

La suddetta domanda si collega alla discrepanza che non di rado emerge tra le diverse ricerche, a seconda di chi le promuove e conduce. L’industria dell’aborto sostiene che l’uso del mifepristone – la prima delle due sostanze che vengono assunte secondo lo schema ordinario dell’aborto chimico (l’altra è il misoprostolo) – comporti serie complicazioni in meno dello 0,5% dei casi. Un dato che cozza decisamente con i risultati di altre ricerche. Ad esempio, un importante rapporto pubblicato nell’aprile di quest’anno dall’Ethics & Public Policy Center (EPPC), che ha preso in esame le richieste di rimborso assicurativo relative a 865.727 aborti con il mifepristone avvenuti negli Stati Uniti tra il 2017 e il 2023, ha rilevato che quasi l’11% delle donne (10,93%) ha avuto complicazioni gravi entro 45 giorni dall’aborto chimico. In pratica, si tratta di circa 22 volte tanto quello che dicono i promotori della pillola. Un dato, quello trovato dall’EPPC, che è peraltro più vicino ad altre ricerche sull’uso della pillola abortiva in Canada, Regno Unito e Finlandia.

Perché una così marcata discrepanza? Il rapporto di O’Bannon sottolinea tre componenti principali. La prima è che i fornitori e promotori di pillole abortive suggeriscono alle donne di nascondere le complicazioni legate all’uso del mifepristone (RU486) e di dire al medico – mentendogli – di aver avuto un aborto spontaneo. Al riguardo, già nel 2020, il sito web di Aid Access (organizzazione che fornisce le pillole abortive via posta) dava questi consigli alle donne: «Se pensi di avere una complicazione, dovresti andare immediatamente dal medico. Non devi dire al personale medico che hai cercato di procurarti un aborto; puoi dirgli che hai avuto un aborto spontaneo... I sintomi di un aborto spontaneo e di un aborto con pillole sono esattamente gli stessi – aggiungeva l’organizzazione abortista – e il medico non sarà in grado di vedere o rilevare alcuna prova di aborto, purché le pillole si siano completamente dissolte».

Nel 2024, la fondatrice di Aid Access, la dottoressa olandese Rebecca Gomperts, parlando a proposito delle donne che hanno usato pillole abortive e necessitano di andare al pronto soccorso, diceva a una rivista femminista statunitense (Ms.): «Se devono andarci, vogliamo che possano andarci senza paura e senza timore di essere perseguite, purché forniscano le informazioni giuste [sic!] e dicano che hanno avuto un aborto spontaneo e non che hanno assunto pillole abortive». Dunque, mentire per evitare di essere perseguite. Ma come nota il rapporto di National Right to Life, anche dopo la sentenza Dobbs (2022), «nessuno Stato persegue penalmente le donne che cercano o tentano di abortire. Le donne possono rivelare il responsabile delle loro lesioni senza timore di essere smascherate o perseguite penalmente». Cioè, omettere di segnalare che la complicazione è dovuta alla pillola abortiva “salva” non le donne, bensì coloro che forniscono, prescrivono o somministrano la stessa pillola.

Inoltre, non è vera l’equivalenza medica tra aborto spontaneo e aborto indotto chimicamente. Come spiega la ginecologa Ingrid Skop, direttrice degli affari medici dello Charlotte Lozier Institute, «la pillola abortiva compromette il sistema immunitario, il che significa che le donne che manifestano complicazioni hanno un rischio maggiore di infezioni, inclusa una sepsi insolita. La pillola abortiva aumenta anche il rischio di emorragia». Corollario della disinformazione di matrice abortista è il ribaltamento della realtà: da un lato, si trasmette l’idea che il mifepristone – usato per uccidere i nascituri – sia sicuro per le donne; dall’altro, la gravidanza finisce per essere considerata particolarmente pericolosa, a motivo dell’incremento fittizio degli aborti registrati come “spontanei”, quando invece sono volontari.

La seconda componente sottolineata dal rapporto è il comportamento dei media, che per la gran parte seguono la narrazione dell’industria dell’aborto, tendente appunto a minimizzare gli effetti avversi o ad attribuirli ad altre cause. E lo fanno nonostante la stessa FDA riporti il dato di 36 donne morte e diverse migliaia di complicazioni, anche gravi, a seguito dell’assunzione del mifepristone, da quando è stato approvato (28 settembre 2000) al 31 dicembre 2024. Riguardo al numero di complicazioni ufficiali, va ricordato che esso è ampiamente sottostimato, sia perché chiaramente riguarda solo gli effetti avversi giunti alla conoscenza della FDA (e da questa al pubblico) sia perché la stessa agenzia statunitense del farmaco non richiede più, dal 2016, di riportare le complicazioni dovute alle pillole abortive, fatta eccezione per la morte delle donne.

Terza componente della distorsione: il modo in cui l’industria dell’aborto qualifica gli effetti avversi legati alle pillole abortive. Esemplificativo, a tal proposito, è uno studio (pubblicato nel 2015) sulle visite al pronto soccorso in California, condotto da un gruppo di ricercatori guidato da Ushma Upadhyay. Esaminando le cartelle cliniche delle donne che hanno abortito con il mifepristone, Upadhyay e colleghi hanno riferito di aver riscontrato solo lo 0,31% di complicanze «gravi» (ricoveri ospedalieri, interventi chirurgici, trasfusioni di sangue). Questa è una delle ricerche più citate a sostegno della presunta “sicurezza” del mifepristone e per dire che le complicazioni gravi siano appunto inferiori allo 0,5%. Ma il trucco sta nella classificazione della gravità, perché tra le complicazioni “minori” lo studio di Upadhyay include situazioni come lesioni del collo dell’utero richiedenti suture, aborti falliti o incompleti, emorragie, infezioni, interventi chirurgici di aspirazione e perfino perforazioni uterine. Includendo tutte queste complicazioni post-aborto chimico, come nota O’Bannon, la percentuale sale al 5,19%: perciò più di una donna su venti dello studio in questione ha avuto effetti avversi tali da richiedere l’accesso al pronto soccorso.

Altri studi, in alcuni casi di sostenitori dell’aborto più obiettivi, hanno trovato percentuali anche più alte, ma pure quel 5% e rotti, che si riferisce solo alle conseguenze fisiche (e non anche a quelle psichiche e morali, che sono concretissime), ci ricorda che l’industria dell’aborto – oltre ad essere ostile ai bambini nel grembo materno – è incompatibile con la “salute delle donne”.

Almeno un ultimo aspetto va sottolineato: il rapporto del National Right to Life ricorda che il fatto di sottoporsi a un aborto chimico aumenta i rischi legati a una gravidanza extrauterina. Cioè, se una donna ha una gravidanza ectopica non diagnosticata e assume mifepristone e misoprostolo (che non “funzionano” in questa situazione), potrebbe confondere determinati sintomi (ad esempio crampi e sanguinamenti) con i sintomi di un ordinario aborto chimico e così non cercare in tempo le cure necessarie, a rischio della propria vita.



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