Pier Silvio Berlusconi lancia un'Opa su Forza Italia, contro Tajani
La famiglia Berlusconi, soprattutto il figlio Pier Silvio, sta assumendo il controllo di Forza Italia e vuole rinnovare la classe dirigente: via Tajani, troppo poco carismatico. Dopo la morte di Silvio, il suo partito è sempre più simile a un'azienda.
L’ultima sortita di Pier Silvio Berlusconi ha scosso profondamente gli equilibri già fragili di Forza Italia, lasciando emergere con chiarezza una dinamica che molti osservatori politici intuivano da tempo: l’era del partito personale di Silvio Berlusconi è finita, e ciò che resta è una forza politica che, con un consenso ormai ridotto a una cifra, si ritrova sempre più nelle mani della famiglia fondatrice, trasformata in un vero e proprio partito-azienda funzionale agli equilibri interni del gruppo e alle sue relazioni con il governo guidato da Giorgia Meloni.
Ormai è ben chiara una cosa: la famiglia Berlusconi ha da tempo lanciato una sorta di Opa su Forza Italia, che vuole definitivamente trasformare in un partito-azienda, sua diretta emanazione. Probabilmente, nessuno dei famigliari del Cavaliere entrerà mai in politica ma, attraverso operazioni aziendali e finanziarie e svecchiando la nomenklatura di Forza Italia, intende contare sempre di più e condizionare i decisori istituzionali, a partire dal Presidente del consiglio.
Pier Silvio ormai parla a tutto campo, si è perfino sbilanciato sull’agonia del Gruppo Gedi, con i quotidiani Repubblica e La Stampa, storicamente ostili, ormai in liquidazione, e non ha escluso di comprarli. È evidente che la strategia è proprio quella di condizionare (anche con nuovi media) la vita pubblica, senza però sporcarsi le mani direttamente nell’agone politico.
Le parole di Pier Silvio, che di fatto hanno commissariato Antonio Tajani invocando un rinnovamento della classe dirigente e l’ingresso in Forza Italia di volti nuovi, hanno aperto una frattura evidente tra l’attuale leader formale del partito e la proprietà, accentuando la percezione che il peso politico di Tajani sia destinato a ridimensionarsi.
In questo scenario emergono due figure in pole position per interpretare il futuro assetto del partito: Roberto Occhiuto, governatore della Calabria, e Alberto Cirio, governatore del Piemonte, entrambi amministratori relativamente popolari e considerati dalla famiglia Berlusconi capaci di garantire una presenza più dinamica e più vicina agli interessi del gruppo. La loro ascesa potenziale rappresenta il segnale più evidente della volontà di superare un modello di leadership percepito come troppo burocratico e statico.
Allo stesso tempo, però, l’area vicina a Marina Berlusconi si muove con crescente decisione, e in questo contesto la figura di Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera e tra i più fedeli all’asse Marina–Pier Silvio, appare sempre più ingombrante per i vertici tradizionali del partito. Mulè da tempo lavora a costruire una rete influente all’interno del movimento, posizionandosi come possibile punto di riferimento di una nuova stagione forzista che si ispiri più alla gestione aziendale e meno alla spontaneità carismatica che caratterizzava l’epoca del fondatore.
A completare questo quadro in fermento si aggiunge anche il possibile riassetto del settore comunicazione del movimento fondato da Silvio Berlusconi, dove l’ingombrante figura di Mauro Crippa, storico capo della comunicazione di Mediaset, potrebbe avere un ruolo determinante nel ridimensionare il potere di Simone Baldelli, coordinatore della comunicazione di Forza Italia e figura legata a doppio filo all’attuale leadership di Tajani.
Il messaggio, nella sua durezza implicita, è chiaro: la comunicazione politica del partito non sarà più appannaggio esclusivo della cerchia tajaniana ma tornerà a essere un’estensione dell’impostazione mediatica del gruppo. È tuttavia impossibile comprendere la portata di questa trasformazione senza mettere a fuoco il confronto con la gestione berlusconiana del passato.
Con Silvio Berlusconi vivo e pienamente attivo, Forza Italia godeva di un consenso ampio e di un potere politico reale; era un partito personalistico, certo, ma guidato da un leader capace di determinare l’agenda, di mediare con gli alleati e di imporre una visione. La forza del fondatore teneva insieme anime diverse, garantiva stabilità e autorevolezza e, soprattutto, impediva ogni tentativo esterno di ingerirsi nella vita interna del partito. Oggi, invece, con un elettorato drasticamente ridotto e una presenza marginale nella coalizione di governo, Forza Italia si ritrova priva di quella dimensione carismatica e costretta a ripiegarsi su sé stessa, diventando un partito sempre più azienda e sempre meno movimento politico autonomo.
In questo vuoto di potere, la famiglia Berlusconi ha progressivamente assunto un ruolo di supplenza, utilizzando il partito come strumento di interlocuzione con Palazzo Chigi e come leva di lobbying nei confronti di Giorgia Meloni. Questo processo, iniziato in modo strisciante subito dopo la scomparsa del Cavaliere, sta ora accelerando vistosamente sotto la spinta di Pier Silvio, che non nasconde il desiderio di costruire una classe dirigente più controllabile e più in sintonia con le strategie del gruppo.
Le reazioni interne non sono mancate, e se Tajani continua a difendere la sua leadership richiamandosi alla legittimità congressuale e all’unità del partito, appare evidente che il suo spazio di manovra si sta restringendo. Molti parlamentari osservano, attendono e si riposizionano, consapevoli che nelle dinamiche di un partito-azienda la linea politica e le carriere personali dipendono sempre meno dal consenso e sempre più dalle esigenze della proprietà.
Il futuro di Forza Italia, quindi, si gioca su un equilibrio delicato: da una parte la sopravvivenza di un partito storico del centrodestra, dall’altra la crescente percezione che esso sia ormai uno strumento nelle mani della famiglia Berlusconi. La sortita di Pier Silvio non è un episodio isolato, ma il segnale che l’assetto attuale è destinato a cambiare profondamente e che il dopo-Berlusconi, finora rinviato o anestetizzato, è finalmente arrivato con tutte le sue contraddizioni.


