Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Sant’Alberto Magno a cura di Ermes Dovico
IL CASO

Payback, l'eredità di Draghi che sta affossando la Sanità

Uno degli ultimi "regali" di Draghi: il payback esteso anche alle aziende di dispositivi medici che non fanno extra profitti. Ora dovranno restituire una quota per ripianare il superamento del tetto di spesa regionale. Così le pmi andranno in ginocchio e il comparto sanità dovrà tagliare ancora di più. 

Politica 03_01_2023

La sanità pubblica del nostro Paese, peggiorata con la gestione del Covid, attraversa ormai da anni una crisi in cui il rischio di un vicino tracollo a danno non solo delle aziende sanitarie, ma anche dei singoli cittadini, è una realtà che per ora, nonostante la gravità, viene quasi del tutto ignorata.

A scatenare la tempesta è stata una decisione del governo precedente presa nel settembre scorso, per fronteggiare uno sforamento della spesa sanitaria a disposizione delle Regioni dell'ammontare di oltre due miliardi negli anni compresi tra il 2015 e il 2018, e di un miliardo e parecchie centinaia di migliaia di euro per il periodo che va dal 2019 al 2021.

Un grave buco finanziario che lo Stato ha pensato di affrontare ripescando dal cassetto il decreto che riguarda il meccanismo del payback previsto inizialmente (con il decreto-legge del 19 giugno 2015, n.  78, convertito poi in legge) per le case farmaceutiche e già motivo di contenziosi con le stesse, ma ora diretto anche alle aziende produttrici dei dispositivi medici, fino ad oggi escluse per la loro bassa percentuale di spesa a carico delle Regioni (si parla del 5/10%).

Con il decreto Aiuti bis poi convertito in legge (la n. 142 del 21 settembre 2022), le aziende fornitrici di dispositivi medici si sono trovate a dover ripianare il superamento del tetto di spesa regionale per gli anni indicati, rimborsando parte dei debiti fatti dalle Regioni con le gare per gli acquisti sanitari.

Un’azienda che ha venduto tramite gare di appalto dispositivi medici alla pubblica amministrazione deve ora restituire alla propria Regione una quota calcolata sulla spesa extra dell’ente rispetto al tetto dei fondi sanitari a disposizione, basata sui fatturati delle imprese al lordo dell’iva, e non sugli utili di settore.

Secondo il testo di legge, le aziende sono chiamate ad assolvere ai propri adempimenti in ordine ai versamenti in favore delle singole regioni e province autonome, entro trenta giorni dalla pubblicazione dei provvedimenti regionali e provinciali. Nel caso in cui queste non adempiano all'obbligo del ripiano citato nella norma, “i debiti per acquisti di dispositivi medici delle singole regioni e province autonome, anche per il tramite degli enti del servizio sanitario regionale, nei confronti delle predette aziende fornitrici inadempienti sono compensati fino a concorrenza dell'intero ammontare”. Dunque, le imprese si ritroverebbero comunque costrette a rifornire la Regione per le gare di appalto indette, senza percepire alcun compenso.

Alle aziende partecipanti ai bandi di gara promossi dalla PA non è possibile conoscere i deficit all’interno del bilancio annuale della Regione finché questi non sono resi pubblici. Esse, inoltre, sono vincolate da un contratto in cui i quantitativi del materiale, il materiale stesso e il prezzo sono determinati, e la mancata fornitura agli ospedali dovuta a qualunque circostanza, rappresenta un’interruzione di pubblico servizio (perseguibile penalmente) con conseguente segnalazione all’Anac e acquisto in danno da parte della pubblica amministrazione.

Ma la beffa sta anche nel fatto che per gli anni che vanno dal 2015 al 2018, le imprese hanno pagato le imposte in base al bilancio effettivo per ciascun anno, attualmente però si ritrovano a restituire alla Regione somme di cui allora non erano a conoscenza e che potrebbero essere superiori di molto all’utile dichiarato, rischiando di determinare perdite oggi e per gli anni a venire. 

Questa situazione, che sembra interessare esclusivamente le aziende, ha invece ripercussioni sull’intera sanità pubblica e mette a nudo l’ennesimo aggiramento delle norme costituzionali, delineando conseguenze che graveranno su tutto il sistema sanitario. Si può infatti dedurre che le pmi impossibilitate a fare fronte alle somme richieste si vedranno costrette a chiudere, lasciando il mercato alle multinazionali che riusciranno a sopravvivere (pur dovendo versare cifre ingenti) tagliando il personale, in un momento già di profonda crisi e disoccupazione.

Inoltre, per fronteggiare le perdite del payback, le stesse aziende si troveranno a dover aumentare i prezzi del materiale per avere un guadagno tale da vivere e mantenere le spese e il personale. L’eventualità poi che in un futuro non troppo remoto la Regione sfrutti nuovamente il payback, porterà le imprese a realizzare una gara a rialzo per compensare l’aumento di prezzo della merce. 

Di conseguenza le Regioni dovranno spendere di più nell’acquisto dei dispositivi medici, e se non saranno in grado di fronteggiare spese maggiori rispetto al tetto prefissato, acquisteranno meno materiale riducendo il numero delle operazioni fattibili, rischio che dipenderà anche dai mancati approvvigionamenti agli ospedali da parte delle aziende (sia pmi ma anche più grandi) gravate dal payback. 

Si tratta di supposizioni, ma il meccanismo del payback, applicato con una legge retroattiva, non può che portare all’eliminazione di tali aziende, che a differenza delle case farmaceutiche, non hanno extra profitti e si trovano già ad affrontare una situazione difficile a causa dell'attuale crisi economica.

Inoltre, in un campo dove il rischio di impresa non si traduce più in guadagno, con una spada di Damocle che deprezza il valore dell’attività anche nel caso di una vendita della stessa, e con un meccanismo sprezzante l'istituto giuridico del contratto e quello delle gare di appalto, lavorare risulta sempre più difficile e le nuove generazioni cercheranno altrove terreno fertile per le imprese.

Se il progetto dello Stato è quello di fare chiudere le piccole ma numerose aziende italiane, favorendo le multinazionali e rischiando un tracollo della sanità pubblica, la strada è quella giusta, senza contare come tale decisione in un modo o nell’altro riguarderà anche ciascun cittadino. Rimane la speranza nell'avanzamento dei ricorsi fatti dalle aziende ancora in attesa dei provvedimenti per le induzioni di pagamento, che permetteranno di procedere con le cause e cercare fino all’ultimo di arginare un'imminente catastrofe sanitaria.